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Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana

 

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Autobiografie Autistiche

Le vite delle persone autistiche raccontate da loro stesse

di Marina Montagnini

biografie autistiche

Gli scritti autobiografici degli autistici possono insegnarci qualcosa sull’autismo? Penso di sì perché ci danno uno straordinario documento dall’interno di quel mondo che a noi pare tanto bizzarro e anormale. “Un antropologo su Marte” come Temple Gardin, trasmette le sue osservazioni su sé stessa ma anche sul nostro mondo alieno che a lei sembra incomprensibile. Le sue osservazioni sono intelligenti e profonde, di un candore disarmante, privo di qualsiasi artificio. A tutti gli effetti sono le osservazioni di una scienziata che non si limita alla aneddottica ma si confronta continuamente con le scienze esatte. Baron-Cohen, direttore dell’Istituto di ricerca sull’autismo all’Università di Cambridge, non ricusa di prendere in considerazione le idee di Grandin e la cita senza imbarazzo nella sua produzione scientifica.

Dunque può essere importante anche per noi psicoanalisti prendere in esame queste autobiografie come utile elemento di confronto con le teorie che sono state elaborate sull’autismo.

Sul sito del Centro Veneto di Psicoanalisi mi sono dunque impegnata a proporre una serie di recensioni, libro per libro, delle autobiografie che ho nel tempo incontrato.

(I link attivi segnalano le recensioni già online, le altre sono in programma)

Pensare in immagini” – T. Grandin (TG)

La macchina degli abbracci – T. Grandin (TG)

Il cervello autistico – T. Grandin  (TG)

La voce di Carly (CF) – Fleischmann A & C

How can I talk if my lips don’t move? Inside my autistic mind  – T. Mukhopadhyay (TM)

Siate diversi. Storie di una vita con l’Asperger – J E Robison (JR)

Nato in un giorno azzurro. Il mistero della mente di un genio dei numeri. – D. Tammet (DT)

Qualcuno in qualche luogo. – D. Williams (DW)

Nessuno in nessun luogo. – D Williams (DW)

Il mio e loro autismo. Itinerario tra le ombre e i colori. – D.  Williams (DW)

Prigioniero di me stesso. Viaggio dentro l’autismo. – B. Sellin (BS)

Offrirò una panoramica dei libri che ho letto e ho meditato intersecandoli tra loro, alla ricerca di risposte, di invarianti. Se è vero che ognuno vive l’autismo in modo idiosincrasico è vero anche che ognuno lo vive al modo dell’altro, almeno per certi aspetti.

Aspetti che riassumo in forma di elenco:

Disturbi sensoriali: tutti gli autori considerati, Temple Grandin (TG), Donna Williams (DW), Tito Mukhopadhyay (TM), Birgen Sellin (BS), Carly Fleischmann (CF), manifestano ipersensibilità sensoriale periferica, acuità sensoriale e distorsione/confusione della elaborazione centrale delle informazioni sensoriali.

Un bimbo potrebbe non imparare il linguaggio perchè il suo udito intermittente non ne raccoglie abbastanza. Gli studi sperimentali di Baron-Cohen confermano una acuità sensoriale molto superiore alla norma, questa dote può essere all’origine di un deficit perchè causerebbe un sovraccarico sensoriale confusivo che porterebbe a black out intermittenti. In ricaduta il sistema nervoso sarebbe cronicamente iperattivato o del tutto azzerato. Per esempio una stanza illuminata da una lampada fluorescente può dare l’impressione di una stanza pulsante che si illumina e si spegne a 60 cicli al secondo, come fosse molto peggio di una discoteca; il disturbo che ne consegue può provocare un attacco di panico, una crisi di rabbia o una cecità transitoria.

Tutte le autobiografie autistiche alla fine concordano sul fatto che l’autismo sia in definitiva un problema di elaborazione delle informazioni. L’iperafflusso sensoriale a livello periferico è documentato dal lavoro di ricerca del gruppo di Baron-Cohen (2009) e si può supporre che l’ipersensibilità periferica si accompagni ad ulteriori sovraccarichi e deformazioni ai diversi livelli del sistema nervoso centrale. In altre parole gli autistici sono sottoposti ad un iperafflusso sensoriale senza filtri per cui hanno troppo materiale da processare, in parte lo elaborano con grande spesa di pensiero, in parte lo tengono in memoria e lo processano in seguito, in parte bloccano l’afflusso concentrandosi sulle stereotipie o imparando un qualche sistema di filtraggio. In definitiva l’autistico ha troppo da pensare o troppo poco e i talenti ristretti ad un solo interesse rappresentano il compromesso tra queste due coazioni (Montagnini, 2014).

Le cose si complicano con Donna Williams che scrive soprattutto per capirsi e non per essere compresa dai neurotipici. Qui il motore dell’autismo sembra una paura senza nome, un “buco nero” che può essere evitato solo tenendo il sé lontano dalla autoconsapevolezza. Ma Donna è intenzionata coraggiosamente a raggiungere sé stessa, in un cammino di autoanalisi eccezionale e difficile da capire.

L’autobiografia di Donna Williams si sviluppa in tre libri (1994, 1999, 2004) ed è il documento che mi sembra avvicinarsi di più all’enigma dell’autismo. Tutto l’autismo sarebbe una strategia di sopravvivenza di fronte al pericolo reale di morire per sovraccarico emozionale, dovuto ad una costituzionale ipersensibilità o distorsione emotiva, o forse anche a quella particolare forma di psicosi che descrive la Tustin, basata su di una brusca e precoce consapevolezza della separatezza del neonato dal corpo della madre che crea “un buco”, “una ferita”.

Dunque il motore primo sarebbe l’ipersensibilità emotiva e non l’ipersensibilità sensoriale.

Il terrore, “il grande nulla nero” (DW), ricorda moltissimo “il buco nero” di cui parla Frances Tustin, psicoanalista che propone una spiegazione psicogenetica dell’autismo. L’autobiografia di Donna Williams potrebbe fornire molti appoggi alla teoria di Francis Tustin.

Sovraccarico sensoriale: E’ una conseguenza, comune a tutti, dei disturbi del sensorio che provoca una disfunzione della capacità di elaborare le informazioni che arrivano dall’esterno. Induce crisi di panico e di rabbia e una serie di tecniche a scopo calmante: stereotipie, stati di trance, visione periferica. Tutti recuperano una migliore sintonia con le sensazioni prodotte dal corpo girando velocemente su sè stessi o dondolandosi.

Modalità di pensiero: il pensiero si avvale del senso più acuito: quello visivo per TG, DW, BS, quello uditivo/visivo per TM. Si pensa per immagini non verbali in modo non logico ma iperassociativo, partendo da una immagine molto specifica, spesso condensata in un simbolo bizzarro, utilizzando poi la propria ricchissima videoteca, iperdettagliata.

Per esempio l’insegnante più cara, simbolizzata da una scodella, si associa a tutti gli insegnanti di una vita, pervenendo alla fine al concetto di “insegnante” in generale (TM). E’ un metodo induttivo che parte dai dettagli.

L’immagine è tridimensionale e può essere osservata da ogni vertice osservativo, da sopra, da sotto, di lato; si può metterla in movimento come se fosse un film. In questo modo TG collauda i suoi progetti ingegneristici. Il pensiero si costruisce come un puzzle o come un software.

A volte la vista fotografa il campo osservativo, per esempio le pagine di un libro e le riproietta in un secondo tempo, consentendo una tranquilla lettura del libro fotografato. Questo talento spiegherebbe molte abilità Savant.

Capacità di provare emozioni: è comune a tutti. L’emozione dominante è la paura. TG suppone che si attivi una ipervigilanza come negli animali da preda, come se si attivasse un antico istinto antipredatorio. Questo spiegherebbe la necessità di mantenere sempre tra sè e gli altri una certa “distanza di fuga”, spiegherebbe il ritiro, le difficoltà di socializzazione, la paura del contatto (peraltro agognato), il bisogno di prevedibilità e “sameness”, in modo da mantenere un certo controllo sull’ambiente circostante. Le emozioni semplici (paura, rabbia, gioia, tristezza) sono sentite e comprese dentro di sè e dentro agli altri, mentre è difficile capire le emozioni complesse e i fini indizi che le denunciano nelle interazioni sociali. Sono troppo difficili da comprendere le relazioni amorose, la sessualità, l’astuzia, l’ipocrisia, il conformismo, le regole della buona educazione sociale. Questi elementi mettono a repentaglio le spiegazioni dell’autismo basate sulla “teoria della mente” di Utah Frith e di Baron-Cohen. Gli autistici menzionati sono in grado di capire il punto di vista altrui ma non sanno comunicarlo e farne buon uso nelle interazioni sociali.

Diagnosi: Tutti concordano sulla necessità di parlare di un continuum di tratti autistici che vada da casi più gravi ad altri meno gravi. In particolare è senza senso distinguere l’autismo a basso rendimento da quello ad alto rendimento perchè tutti gli Autori sono stati autistici molto gravi o ancora adesso lo sono (BS ha l’aspetto di un gravissimo handicappato mentale, urla e si morde, anche se ha scritto un libro al computer, come TM non ha nessun accesso al linguaggio parlato, anche CF non ha l’accesso alla parola verbale, è stata una autistica gravissima fino a 10 anni ed è diventata una celebrità nei media e alla TV).

Il più delle volte il passaggio da un basso ad un alto rendimento avviene nel corso del tempo nello stesso individuo in funzione di varie circostanze fortunate, tra le quali la più importante sembra la dedizione precoce e continua della propria madre.

Abilità Savant: Nel 10% dei casi gli autistici sono Savant. (In una percentuale molto più alta i Savant sono autistici). Picchi di grande talento e/o abilità Savant sono presenti in tutti gli Autori: le abilità ingegneristiche basate sulla memoria visiva di TG, l’uso autodidatta del pianoforte di DW, il talento matematico di TM, il talento poetico di BS. I geni dell’autismo sarebbero alla base della creatività e della inventiva secondo Baron-Cohen (Baron-Cohen, 2020).

Organogenesi: Gli Autori si schierano tutti per l’ipotesi poligenetica dell’autismo. L’autismo è presente in più del 60% dei gemelli omozigoti monocoriali. Genitori e parenti degli autistici sono spesso molto dotati e mostrano tratti autistici più o meno lievi. I premi Nobel spesso hanno figli autistici e la seconda cugina di Einstein era autistica. I maschi sono più frequenti, in un rapporto di 1 a 5 con le femmine.

Benchè gli autistici abbiano una scarsa probabilità di avere figli, i geni dell’autismo non si sarebbero estinti perchè, nelle opportune combinazioni e in una lieve espressività, avrebbero dei vantaggi selettivi, essendo connessi con l’intelligenza ipersistemizzante, più tipica del cervello maschile, rispetto alla intelligenza empatica, più tipica della intelligenza femminile. L’ipersistemico funziona secondo uno schema “input-operazione-output”, che porta alla invenzione creativa.

Il ruolo della terapia psicoanalitica

Il mio parere può sembrare paradossale dopo quanto detto sulla organogenesi poligenetica dell’autismo. Sarebbe questo un buon motivo per escludere l’autismo dalla competenza psicoanalitica? Non lo credo perchè nella terapia dell’autismo la psicoanalisi mette a disposizione una particolare abilità a empatizzare con identità altre, con l’alieno che c’è dentro e fuori di noi, con l’estraneo e lo straniero. Non solo, l’autistico desidera uscire dalla sua prigione (BS) e questo è possibile solo se il terapeuta riesce ad avvicinarlo con cautela e gentilezza, desensibilizzando, per così dire, il suo apparato mentale sempre teso, spaventato e vigilante. L’autistico desidera il contatto emotivo e affettivo con l’altro anche se sembra rifiutarlo. Tutti gli Autori ne parlano e alcuni si soffermano sulle capacità calmanti e deliziose dell’abbraccio. TG inventa “La macchina degli abbracci” in analogia con la struttura di contenimento usata per i bovini durante le pratiche veterinarie o la macellazione; DW, avvolta da una spessa trapunta protettiva, chiede al fratello un abbraccio, anche se dopo pochi secondi deve urlare: “Basta!” per non cadere nel sovraccarico e nel panico. Gli Ahumada, una coppia di psicoanalisti Argentini, usa una terapia davvero cauta e gentile che porta i bimbi autistici ad una completa guarigione. Essi sostengono che da 0 a 3 anni c’è una “finestra terapeutica” per la psicoanalisi dell’autismo e raccontano dettagliatamente la terapia di 5 bambini autistici. Lila per esempio è priva di linguaggio, inizia la terapia a 19 mesi, e guarisce completamente nel corso di due anni. Il metodo usato ha delle analogie con l’approccio di DW con Robbie, un autistico gravissimo, ospedalizzato, adulto, non autosufficiente: nel giro di pochi minuti Robbie diventa capace di accettare e prendere gli oggetti che DW gli porge, davanti agli operatori sbalorditi.

DW con gli autistici che incontra fa miracoli e li descrive minutamente sia nelle coordinate del comportamento sia nelle intuizioni teoriche sottese. Ne parlerò quando presenterò “Nessuno in nessun luogo”, “Qualcuno in qualche luogo”, “Il mio e loro autismo” insieme agli altri libri che troverete nei link proposti.

Bibliografia

Fleischmann A & C (2012) La voce di Carly. Milano: Mondadori, 2013.

www.carlysvoice.com

 

Grandin T (1995). Pensare in immagini. Trento: Edizioni Erikson, 2011.

Grandin, T (1996). My experiences with Visual Thinking. Sensory Problems and Communications Difficulties. Web page Article from the Center for the Study of Autism.

Grandin T (2005). La macchina degli abbracci. Parlare con gli animali. Milano. Adelphi. 2007.

Grandin T (2013). Il cervello autistico. Milano: Adelphi, 2014

 

Mukhopadhyay R T (2008) How can I talk if my lips don’t move? Inside my autistic mind. New York Arcade Publishing 2011

Robison J E (2011). Siate diversi. Storie di una vita con l’Asperger. Roma: Armando, 2013.

Sellin B (1993) Prigioniero di me stesso. Viaggio dentro l’autismo. Milano Bollati Boringhieri 1995.

Tammet D (2006). Nato in un giorno azzurro. Il mistero della mente di un genio dei numeri. Milano: Rizzoli, 2008.

 

Williams D (1994) Qualcuno in qualche luogo. Roma: Armando editore, 2005

Williams D (1999) Nessuno in nessun luogo Roma: Armando editore, 2006

 

Marina Montagnini, Venezia

Centro Veneto di Psicoanalisi

 m.montagnini@iol.it

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