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Birger Sellin (1993) Prigioniero di me stesso. Viaggio dentro l’autismo.

Recensione di Marina Montagnini

Birger Sellin (1993) Prigioniero di me stesso. Viaggio dentro l’autismo.

…canto la canzone dalla profondità dell’inferno  

e chiamo tutti i muti di questo mondo

fate di questo canto la vostra canzone… (Sellin B., ed. it 1995,1)

 

Tra gli scritti autobiografici questo proviene veramente dal “cuore dell’inferno” perché Birger è un autistico molto grave che non parla e ha spesso degli accessi in cui urla e si morde. Il giornalista che ha curato l’introduzione del suo libro si chiede come possa convivere in uno stesso individuo un aspetto esteriore tanto “ritardato” con una produzione letteraria tanto affascinante.

Il bambino si era sviluppato normalmente per un anno e mezzo, aveva imparato a parlare precocemente ma intorno al secondo anno di età era precipitato in un ritiro sempre più grave, perdendo l’uso della parola. Passava il suo tempo sfogliando e strappando velocemente i libri o facendo filare tra le dita le sue biglie. Ricevette la diagnosi di ritardo per danno cerebrale.

Gli psicoanalisti, specialmente se terapeuti di bambini e adolescenti, conoscono questa evenienza. Alcuni bimbi mostrano delle anomalie fin dall’inizio, si può dire fin dalla nascita. Generalmente sono gli stessi familiari a notarle: “sembra venuta da un altro pianeta”, dice ad esempio il papà di Carly (Fleischmann, 2012). In altri casi, come in questo, l’autismo si sviluppa con un certo ritardo, dopo un primo periodo di sviluppo normale. Come mai?

Alcuni autori (Tustin,1981) ipotizzano che in realtà il periodo normale non lo sia a tutti gli effetti, anzi nasconda il perdurare di una simbiosi fusionale tra la madre e il bimbo che si spezza con ritardo, man mano che i normali processi neuro e psico-integrativi procedono con il tempo.Il neonato si illude “di avere sempre con sè una madre perfetta capace di assicurare una soddisfazione sensuale estatica ed istantanea” (Ibibem, 116) ma questa illusione non può durare all’infinito. Quando il bambino diventa consapevole della sua separatezza dal corpo della madre, si sente divelto da lei, traumaticamente, e prova una angoscia intollerabile: “il buco nero con la puntura cattiva”, come si espresse uno dei bimbi in terapia con Francis Tustin (Ibidem, 103). Ciò provoca un crollo senza speranza. Nel caso di Birger, negli anni seguenti ci fu un solo sprazzo di speranza quando Birger disse chiaramente a suo padre: “Ridammi la biglia!”. Ma Birger non parlò mai più, poi finalmente imparò la scrittura assistita.

Da quel momento ai genitori si rivelò un mondo del tutto inaspettato. Birger scrisse che già dall’età di cinque anni sapeva scrivere in tedesco e fare i conti e che aveva letto i libri che sfogliava e strappava, fotografando mentalmente i testi. Aveva letto molti poeti, Rilke, Nietsche, libri scientifici…

I suoi messaggi provengono da “un’isola che intuisce la riva”, “un’isola non me”, un’isola di profonda solitudine, in cui si sente prigioniero.

La sua scrittura è poetica, disperata o speranzosa, umoristica, critica e autocritica o sostenuta da un accento bizzarro e artificioso. Il nucleo più autentico sembra essere una terribile angoscia, inspiegabile, tema dominante anche in Donna Williams (1994, 1999). Birger dice che non parla perché la parola è troppo preziosa per esserne “degno”, mentre in un altro brano scrive: “ho notato che in noi c’è la facoltà di parlare ma che da qualche parte deve esserci un blocco per questo motivo non è nemmeno possibile agire o scrivere da soli in modo giusto” (119). Anche Tito parla di un blocco che inibisce la parola e la motilità volontaria.

Secondo Birger non esistono autistici stupidi. Dunque ancora una volta occorre andare al di là delle apparenze e trovare i talenti nascosti. Happè (2009) sostiene che un autistico su dieci, ma forse sono molti di più, ha un talento superiore alla media delle altre proprie abilità.

Come altri autistici scrittori di autobiografie, anche Birger pensa che all’origine dell’autismo ci sia una eccessiva ipersensibilità periferica: “un ruolo di primo piano lo svolge una tremenda sensibilità di tutti i sensi” (63).

Birger sottolinea che ha sentimenti come tutti e capisce i sentimenti degli altri.

In contrasto con “La teoria della mente” (Baron-Cohen, 1995) riporto un brano esplicito e commovente: “una volta in questa metropolitana mi è successo che una donna mi abbia guardato con affetto era bello ci penso spesso con fiducia e non lo dimenticherò ma molti sguardi sono tanto difficili da sopportare e portano con sé una sofferenza senza pari… tutti devono potere amare gli uominiinscatola perché le loro anime sono chiare e innocenti come bambini appena nati” (53, 89). 

Per quanto desideri essere normale come tutti, egli osserva in sé stesso una inquietudine snervante che da piccolo mitigava con le stereotipie e adesso con la scrittura. “attualmente soffro soprattutto per l’inquietudine interna in me tutto si agita e ribolle come in un pandemonio… una generale confusa inquietudine psichica di una forza folle e di un potere fastidioso mi fa davvero impazzire… ripeto di continuo in modo interiormente suggestivo una frase lascia perdere l’angoscia non lottare contro di essa ma l’angoscia si rivela una malvagia mignatta simbiotica e semplicemente non vuole lasciarmi libero mi distrugge” (111).

Birger è un osservatore perspicace delle proprie strutture interne ma non riesce a descrivere un semplice avvenimento esterno: la realtà concreta gli sfugge, in parte perché non ne comprende il senso e in parte perché la teme come imprevedibile e incontrollabile: “gli uomini sono imprevedibili e mostri terribili… nei momenti critici di inquietudine interiore mi ritiro sempre dentro un mesenzame purtroppo questi meccanismi non funzionano più molto bene per questo negli ultimi tempi urlo tanto e ho bisogno in maniera veramente assurda di snervanti logoranti azioni coatte”

(95).

Birger può usare con un certo impaccio solo un dito alla volta per cui nei suoi scritti non usa la punteggiatura; non ho voluto modificare il testo che forse anche per questo motivo acquista una maggiore forza evocativa.

 

 

 

 

Bibliografia

 

Baron-Cohen S (1995) L’autismo e la lettura della mente. Roma: L’Astrolabio, 1997.

 

Fleischmann A & C (2012) La voce di Carly. Milano: Mondadori, 2013.

www.carlysvoice.com.

 

Happè F & Vital P (2009) What aspects of autism predispose to talent? Philosofical transaction of the Royal Society B, 364, 1369-1375.

 

Sellin B (1993) Prigioniero di me stesso. Viaggio dentro l’autismo. Milano Bollati Boringhieri 1995.

 

Tustin F (1981). Stati autistici nei bambini. Roma: Armando, 2000.

 

Williams D (1994) Qualcuno in qualche luogo. Roma: Armando editore, 2005.

 

Williams D (1999) Nessuno in nessun luogo. Roma: Armando editore, 2006.

 

 

 

Marina Montagnini, Venezia

Centro Veneto di Psicoanalisi

 m.montagnini@iol.it

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Marina Montagnini ha curato una serie di recensioni di autobiografie di persone autistiche, raccolte poi in un lavoro antologico.

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