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"Nessuno in nessun luogo" di Donna Williams (1999)

Recensione di Marina Montagnini

Nessuno in nessun luogo

Donna Williams 

1999, Armando Editore

pagg. 188 

Donna sostiene che l’autistico può tentare di esserci a patto di far scomparire il mondo con le sue terribili potenzialità d’urto: sarà allora qualcuno in nessun luogo, oppure deve sopprimere l’autoconsapevolezza: nessuno in qualche luogo. Una terza soluzione è dissociarsi e manovrare personalità fittizie come Karol: sorridente, buffa, chiacchierona, socialmente accettabile:

“Era come se dovessi ingannare la mia stessa mente parlando in quel modo casuale e ricercato.

Era come se fossi emotivamente sovraccarica e le parole non potessero in alcun altro modo sfuggire dalle mie labbra.” (1999, 40).

Tutto deve essere decifrato, come se dovesse passare attraverso una specie di complicata procedura di controllo. La gente deve ripeterle diverse volte la stessa frase perché Donna l’ascolta un pezzo per volta e il modo in cui la sua mente spezzetta la frase la lascia con un messaggio indecifrabile.  “Era come se qualcuno giocasse con il volume della televisione… Tutto ciò su cui non riuscivo ad avere un completo controllo, mi coglieva sempre di sorpresa, spesso causandomi un trauma. Era spesso simile all’effetto di un film a tre dimensioni, quando ci si abbassa e ci si sposta perché tutto sembra piombarti addosso… Il solo mezzo per uscirne era chiudere fuori tutto ciò che potesse raggiungermi e turbarmi, in particolare il contatto fisico o l’affetto” (54).

I problemi percettivi che simulano cecità, mutismo, sordità o scomparsa del significato sono “la conseguenza di interruzioni provocate da un’estrema tensione…, una ipersensibilità emotiva che scatena nel cervello risposte chimiche e ormonali di protezione” (163). Sarebbe presente una sorta di “meccanismo d’arresto automatico che blocca il sovraccarico emotivo” (163). Questo meccanismo sarebbe presente anche nelle persone normali ma viene attivato solo nelle emergenze traumatiche, e solo per brevi periodi. Lo scopo finale della sua terribile lotta per preservare sia il sé sia il mondo per Donna è “semplicemente esistere” (168), in contrapposizione con la costante tentazione di far sparire sé stessi o il Mondo.

Il Mondo le lascia delle tracce, piccoli oggetti insignificanti, su cui può operare classificazioni di eventi in modo rassicurante. Pur nella sua vita randagia, Donna non abbandona mai le sue collezioni di oggetti speciali: “I posti, le esperienze, le persone a cui mi ero affezionata, il mio senso di sicurezza e la mia capacità di capire i nessi tra le cose, tutto era racchiuso all’interno di queste collezioni. Potevo dividere tutto in categorie e afferrare il concetto di ordine, di coerenza e di appartenenza. Potevo vedere quale fosse il ruolo di ciascuna cosa, in rapporto alla successiva, a differenza dei miei rapporti con le persone. Diversamente dalla mia vita, ognuna delle mie cose speciali aveva il suo innegabile posto entro lo schema delle cose… Quando mettevo in ordine le mie piccole cose, potevo cogliere visivamente il senso fuggevole di appartenenza che non riuscivo a provare con le persone e attraverso questo riuscivo a sperare che un giorno sarebbe stato possibile.” (130).

Le ultime pagine finali sono meravigliose, una specie di prolungata poesia. Donna ha ormai 26 anni ed è finalmente entrata in contatto con sé stessa e il mondo. Viene invitata ad un campeggio per bimbi autistici. Ci va, nonostante la paura. Alla fine della giornata i bambini devono andare a letto e una bimba viene presa dal panico. Il personale tenta maldestramente di calmarla. Una donna la stende sul letto con una bambola. Donna riflette amaramente quanto poco quel simbolo dell’odiato mondo del contatto con gli umani possa fornire conforto alla bimba. Dopo un po’ è esasperata dal ripetersi di manovre goffe e sbagliate e interviene. Butta via la bambola e porta una spazzola.

Ci passa sopra una mano in modo che la bimba avverta il lieve rumore di fruscio. Si accompagna con una melodia che usava da bambina per calmarsi. La bimba smette di urlare. Donna lascia appositamente degli spazi vuoti nel canto, omette delle note. La bambina li riempie. Donna lascia più vuoti. La bimba li riempie finché canta con Donna che accompagna la melodia battendo il ritmo sul proprio braccio. Lascia che la bimba si abitui poi inizia a battere sul braccio della bimba. La bimba accetta e comincia a sua volta a battere il ritmo sul proprio braccio; infine, la bambina si calma.

Mi sembra una descrizione incantevole di come avvicinare e calmare un autistico, analoga alla descrizione dell’approccio con Robbie nel primo libro (Williams D., 1994).

L’attacco di panico o l’onda distruttiva di alta marea, il Grande Nulla Nero, cos’è in definitiva? Donna dice: “dopo 26 anni avevo imparato che non stava arrivando la morte, ma le emozioni… [ma] quasi mi sarei uccisa per essere sicura di non doverci passare ancora una volta” (95). A mio parere diventa forte il sospetto che di fronte a queste violentissime dis-regolazioni emotive ci sia un fattore organico sconosciuto e che la ipersensibilità periferica non sia il motore principale del disturbo.

Come ho detto nella precedente recensione, la biografia di Donna potrebbe essere una estesa descrizione del “buco nero”, la depressione psicotica in cui cade il bimbo autistico quando si rende conto, troppo presto, di essere separato dalla madre. I lunghi resoconti introspettivi di Donna sono lucidi ma talvolta compare una qualche deriva bizzarra che porta il lettore a sospettare la psicosi.

(Tustin F., 1981).

 

Bibliografia

 

Williams D. (1999). Nessuno in nessun luogo. Roma, Armando, 2006.

Williams D. (1994). Qualcuno in qualche luogo. Roma: Armando editore, 2005

Tustin F. (1981). Stati autistici nei bambini. Roma, Armando, 2000.

Anche questa recensione è contenuta  nella raccolta nell’articolo Biografie autistiche

Marina Montagnini, Venezia

Centro Veneto di Psicoanalisi

 m.montagnini@iol.it

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