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Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana

 

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Storia dei Colloqui Veneziani

di Alessandra Macchi e Marta Oliva

Storia dei Colloqui Veneziani

Introduzione

I colloqui veneziani sono ormai una tradizione del Centro Veneto di psicoanalisi nata alla fine degli anni ‘80, precisamente nel 1987, a partire dal desiderio di Giorgio Sacerdoti di rendere meno periferico il Centro Veneto di Psicoanalisi rispetto agli altri centri psicoanalitici presenti sul territorio italiano.

L’idea dei Colloqui Veneziani nasce quindi dalla volontà di far circolare il pensiero psicoanalitico e di farlo dialogare anche con altre discipline, come scriveva Agostino Racalbuto[1]; diventano pertanto uno dei modi del giovane Centro Veneto di Psicoanalisi (fondato nel dicembre del 1980) di inserirsi nel dibattito scientifico nazionale coinvolgendo analisti di altri centri SPI e di altre società internazionali (IPA) riunitisi per confrontarsi su un tema specifico.

Venezia è stata scelta come luogo nevralgico capace, anche per la sua bellezza e fascino, di stimolare la presenza e la partecipazione dei colleghi afferenti al CVP ma residenti in diversi luoghi del Triveneto; è stata inoltre, la prima città in cui gli psicoanalisti hanno cominciato a riunirsi prima che venisse individuata la sede di Padova. Venezia rappresenta quindi la possibilità di mantenere un legame con le origini[2],  con lo spirito che ha portato alla formazione del CVP e con il clima culturale che si respirava in quegli anni che è alla base dell’identità psicoanalitica del Centro stesso. A tal proposito, Alberto Schon, nostra memoria storica nel ricostruire le vicende del CVP, suggerisce che in quegli anni a Venezia era particolarmente vivace il dibattito e il confronto sulla riforma della Psichiatria; Basaglia era infatti veneziano, come lo stesso Sacerdoti che è stato primario dell’ospedale psichiatrico di San Servolo e San Clemente. Resnik stesso viveva nella città lagunare, tutte figure di spicco con pensieri tuttavia divergenti, talora conflittuali. I Colloqui Veneziani sono stati pensati dunque, anche come occasione per mettere in luce il pensiero psicoanalitico in un contesto storico in fermento sul piano culturale, scientifico e sociale da una parte e, dall’altra per“esprimere una gruppalità ben precisa (…) come discendenti dalla lezione psicoanalitica di Sigmund Freud”[3] .

 

A tal proposito Mario Magrini ricorda: “Era un momento molto significativo nella vita del Centro questo incontro con altri Colleghi, che proponeva un proficuo scambio culturale scientifico e umano.Vi era la possibilità per i più giovani di confrontarsi con i Colleghi più esperti, in un clima di confronto, di ascolto che portava ad un grande arricchimento scientifico e a contribuire al formarsi di una identità di appartenenza alla SPI. La sera precedente l’ultima mattina domenicale di lavoro i soci partecipanti ai lavori erano invitati ad una festa a casa di Sacerdoti. Questo era un momento dell’evento Colloquio molto sentito e partecipato dai Colleghi. Durante la serata i Colleghi più giovani si trovavano a contatto con Colleghi che avevano conosciuto o a distanza o nelle proprie letture in un  clima cordiale  e socievole”.

 

 

Ogni esecutivo ha, negli anni, partecipato alla preparazione di uno dei Colloqui Veneziani che si sono cadenzati ogni quattro anni con sede quasi sempre presso l’Ateneo Veneto, di luogo culturale prestigioso da circa due secoli.  Esso è crocevia tra discipline differenti unite però dalla curiosità e dal desiderio di conoscere, il cui scopo è “quello di cooperare allo sviluppo e alle divulgazione delle scienze delle arti e promuovere lo studio di quanto abbia a che fare con Venezia, la difesa del suo patrimonio e con la crescita sociale e culturale dei suoi abitanti”. Sacerdoti, era molto amico di Bianchini, che è stato presidente dell’Ateneo proprio in quegli anni, entrambi uniti non solo dall’amore per le arti e le scienze, ma anche dall’appartenenza alla cultura ebraica.

 

I Colloqui hanno affrontato tematiche ampie, complesse e incredibilmente attuali consentendoci di poter avviare una lettura di fenomeni legati alla teoria, alla clinica e alla tecnica psicoanalitica da una parte e dall’altra una lettura di fenomeni sociali e culturali. La corposità del materiale ci ha spinto a scegliere di proporvi solo alcuni degli aspetti trattati.

 

[1] A. Racalbuto, (2004), Premessa, in Verità storica e psicoanalisi Edizioni Borla (2004)

[2] Lo stesso Musatti era veneziano ed aveva organizzato nel dopo guerra il primo congresso della Società psicoanalitica  al Lido di Venezia, ed in seguito  aveva partecipato insieme a Sacerdoti al un congresso organizzato dal Comune di Venezia dal titolo “Cultura ebraica e psicoanalisi” presso l’Ateneo Veneto.

[3]  A. Racalbuto  (2004). Premessa, in Verità storica e Psicoanalisi Edizioni Borla  (2004)

I Colloquio, 1988, LA SEDUZIONE

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Il primo colloquio si è svolto nel 1988 con il titolo La seduzione.

L’allora esecutivo vedeva come Presidente Carla Zennaro e come Segretario scientifico Giorgio Sacerdoti. Sua è stata la presentazione del Colloquio a cui sono seguite (in ordine alfabetico) le relazioni di Gaddini De Benedetti, Lopez, Polojaz, Racalbuto, Saraval, Schon, Semi, Buffoli, Spacal. Da questo primo colloquio, come per tutti gli altri successivi, è nato un libro dallo stesso titolo: “La Seduzione” curato da Anteo Saraval, edito da Raffaello Cortina, che contiene i contributi degli autori al convegno.

Il superamento e abbandono della prima teoria sulla seduzione, che collegava l’origine del trauma infantile ad un abuso sessuale, apre di fatto la strada a concetti fondamentali della psicoanalisi quali quelli di Fantasma, di sessualità infantile, dell’Edipo.

Ci si pone domande importanti che riguardano gli aspetti seduttivi della psicoanalisi come teoria e presenti nella coppia analitica analista paziente. “Penso che anche la seduzione debba essere vista come una particolare modalità di relazione che interviene sempre nel corso di una analisi e che merita di essere compresa e interpretata piuttosto che respinta con timore e sospetto (Saraval,13). Siamo più abituati a vivere con il paziente, il dolore le angosce e la depressione piuttosto che il piacere.”

Saraval (cofondatore del CVP) invita l’analista ad essere consapevole di quanta seduzione possa esercitare ascoltando con attenzione, dimostrando interesse, prendendosi cura del paziente, di quanto fascino possa esercitare l’intimità del segreto condiviso in analisi. Semi pone l’attenzione sull’aspetto seduttivo contenuto nel contratto (“come invariante e promessa apparente di stabilità e per certi pazienti di interminabilità” 99) e nella regola fondamentale che impone al paziente un “discorso amoroso” tipico dell’innamoramento che fa perder la testa e che, per tal motivo, “fa ritrovare, per effetto della forza del desiderio, delle possibilità comunicative altrimenti censurate” (94).

Semi però, pone attenzione anche sul rischio che la tecnica della psicoanalisi stessa possa essere sedotta dai mutamenti sociali e storici soprattutto quelli che “tendono a togliere la parola all’individuo o a renderla inutile” (104). 

II Colloquio, 1993, TOLLERANZA E INTOLLERANZA

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Il secondo colloquio si tenne nel 1993 con il titolo di Tolleranza e intolleranza, pensato ed organizzato dall’esecutivo con Semi presidente e Schon segretario scientifico.

In quell’occasione le relazioni furono di Simona Argentieri, Luigi Boccanegra, Maria Rosa De Zordo, Giuseppe Di Chiara, Anna Foa, Giovanna Giaconia, David Meghnagi, Marino Milella, Fausto Petrella, Agostino Racalbuto, Giorgio Sacerdoti, Antonio Alberto Semi, Roberto Tagliacozzo, Ferdinando Vanni, Carla Zennaro.

Riportiamo di seguito la premessa dei curatori Giorgio Sacerdoti e Agostino Racalbuto, che con le loro parole ci fanno rivivere l’atmosfera in cui quelle giornate furono pensate:

“Questo volume, come tutti i volumi ha una sua storia (…) Successivamente al Colloquio tenuto a Venezia sulla «Seduzione» nel 1988, organizzato dal Centro Veneto di Psicoanalisi, Giorgio Sacerdoti, che ne era stato il promotore, aveva avanzato l’idea di un nuovo Colloquio sulla tolleranza. Dopo un periodo di gestazione, la proposta è stata ripresa da Agostino Racalbuto e riformulata nella riunione assembleare che il Centro mensilmente prevede. È stato deciso di organizzare allora un secondo Colloquio, questa volta su tolleranza e intolleranza. Di tutti i soci del Centro dunque, e della loro reciproca tolleranza, tale Colloquio è il frutto. Così nel maggio 1993, grazie anche all’ospitalità della Fondazione Querini Stampalia, Venezia è stata sede di un dibattito sul tema «Tolleranza e intolleranza», nel tentativo di confrontare e integrare modelli di intervento clinico e ambiti di psicoanalisi applicata con riferimenti storici e letterari.

I tempi che stiamo vivendo rendono quanto mai attuale l’argomento, visto che la nostra società è scossa da fenomeni politici, intolleranze religiose, contrasti di interessi etnici ed economici, perdita di una identità e di un pensiero forti. La dialettica tolleranza intolleranza costituisce oggigiorno una bipolarità in cui risulta spesso difficile scorgere i confini fra ciò che è sano, funzionale alla comunicazione tra pensieri, nature, culture diverse, e ciò che è sopraffazione o distruzione del significato e della scelta che il pensiero può offrire. Fra il «tutto va bene» di una tolleranza estrema e il «va bene solo questo» come Verbo dell’assoluto, possiamo forse dire che il grado di tolleranza di ciò che è intollerabile ha a che fare, soggettivamente, con la quota di «violenza» che ognuno di noi può integrare nel proprio funzionamento psichico; con il limite personale caratteriale, o gruppale, o etnico, o religioso o altro ancora, oltre il quale tale funzionamento non può accettare una verità «altra» e la disconosce”.

III Colloquio, 1996, Differenza, indifferenza, differimento.

 

Nel 1996 si è svolto il terzo colloquio veneziano dal titolo Differenza, indifferenza, differimento. Per questo colloquio, l’allora presidente del Centro Veneto, Giorgio Sacerdoti, e il segretario scientifico Agostino Racalbuto, vollero introdurre nel dibattito un “contrappunto di un cultore di altra disciplina”, con la relazione di Stefano Levi della Torre, pittore e studioso di ebraismo, dal titolo Ripetizioni. 

Anche da questo colloquio, come da tradizione, è nato un libro edito da Dunod, che raccoglie, sotto lo stesso titolo del convegno, le relazioni dei partecipanti. Ancora una volta, l’introduzione è firmata da Sacerdoti e Racalbuto, seguono le relazioni di Sacerdoti, Guido Buffoli, Maria Rosa De Zordo e Anna Trevisan, Giuseppe Di Chiara, Franca Munari, Stefano Bolognini, Andrea Braun e Patrizia Paiola, Fausto Petrella, Guglielmina Sartori, Maria Pierri, Enrico Mangini, Stefano Levi Della Torre, Antonio Alberto Semi, Agostino Racalbuto. Gli autori attraversano questi concetti da un punto di vista metapsicologico, interrogando prospettive intrapsichiche e relazionali, percorrendo la vastità dei temi collegati ad essi.

La differenza, per esempio, rimanda a molti concetti della psicoanalisi: alle differenze di sesso e di generazioni, all’acquisizione dell’identità e alla sua coesione (Petrella), alle differenze Sé-Altro, alla differenza tra stati mentali, alla differenza tra momenti di piacere e momenti di dispiacere, alla differenza tra allucinazione e soddisfacimento del desiderio (Munari citando Aulagnier, 41), alla differenza tra realtà interna e realtà esterna. Lo psicoanalista è allenato all’ascolto delle minime differenze che si verificano durante la seduta: lapsus, sfumature, pause, intonazioni, cambiamenti di atmosfera (Bolognini, 51). A sua volta il paziente è molto attento alla voce dell’analista nelle sue variazioni ritmiche, alla scelta delle parole, aspetti che spesso ricadono all’interno della dinamica transfert-controtransfert.

L’indifferenza può avere invece due vertici interpretativi: come mancanza o negazione di differenza, e come significato emotivo di anemotività, disinteresse, stato di non relazione e di vuoto del sentire (Munari, ibidem). Nella clinica, la non differenziazione tra Sè e l’Altro riguarda stati primitivi e narcicistici, in cui si è verificato un arresto del processo di individuazione e un fallimento della relazione primaria, che necessitano nel trattamento analitico di un lavoro “attraverso contatti e distacchi reciproci, in cui momenti di indifferenziazione sono necessari per arrivare alla differenziazione” (De Zordo, Trevisan 27). A questi livelli di funzionamento appartiene anche la difesa imitativa, grazie alla quale il Sé infantile rinuncia all’oggetto, lo annulla, diventando esso stesso l’oggetto capace di gratificazione per evitare il riconoscimento della dipendenza dall’altro come fonte di soddisfacimento, ma anche dal pericolo della frustrazione.  L’indifferenza come stato emotivo è invece temuta dal paziente paranoico che mostra una scissione tra vissuti di totale indifferenza nei confronti dell’oggetto e vissuti di magico collegamento con esso. (Sacerdoti, 3).

Il setting come cornice e come sfondo indifferente e muto “costituisce un punto di tensione attiva relazionale, dalla cui modulazione può dipendere la differenziazione e il riconoscimento dell’altro” (Braun, Paiola, 65) soprattutto in quelle situazioni in cui la simbiosi analitica, grazie ad occasionali variazioni del setting, è incrinata, esponendo il paziente ad un eccesso di stimolazione, di realtà esterna, all’individualità e alla separatezza dell’analista.

Il differimento attiene all’acquisizione del registro temporale e simbolico, alla capacità di attesa, alla possibilità di un lavoro psichico grazie all’influenza del processo secondario che organizza l’attività mentale rispetto all’imperiosità del pulsionale.  Riguarda anche la capacità dell’analista di sospendere e differire l’attività interpretativa e di mantenere la propria neutralità.

IV Colloquio, 2001, Verità storica e psicoanalisi

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Il quarto Colloquio è del 2001 e il titolo è Verità storica e psicoanalisi organizzato dall’esecutivo che vedeva Alberto Schon come Presidente e Agostino Racalbuto come Segretario Scientifico. Da questo Colloquio è stato pubblicato un testo che raccoglie i lavori presentati in quella giornata sempre dal titolo “Verità storica e psicoanalisi” edito da Borla. Il Colloquio (così come la premessa al libro) viene aperto da Racalbuto, ruolo che fino a quel momento era stato di Sacerdoti, morto nel 2000. Tema molto caro al Professore che viene menzionato da ciascun relatore con commozione e nostalgia. Si articolano poi i contributi di Milella, Saraval, Semi, Pierri e Paiola, Polojaz, Lopez, Mangini, Munari, Buffoli, Lagrasta, Berti Ceroni, Fonda, oltre a uno scritto di Sacerdoti. Il libro infatti si chiude con uno scritto di Sacerdoti dal titolo Verità storica e psicoanalisi.

Viene esplorato il concetto di verità storica secondo diverse declinazioni ma tenendo presente, come scriveva Musatti che “(…) ciò che l’analista vuole costruire non è la verità materiale degli eventi passati ma piuttosto la verità storica di essi, come il paziente li ha soggettivamente vissuti nel passato, perché li ha rimossi o dimenticati” (p. 168).

La psicoanalisi dunque come ricerca della verità e lo psicoanalista come suo ricercatore/archeologo si contrappongono alle mistificazioni, alle falsificazioni pur sapendo che la mente umana spesso la evita preferendo il falso e le illusioni, perché mantengono le velleitarie sicurezze e i riconoscimenti narcisistici; del resto l’inconscio diventa luogo delle verità rimosse perché scomode alla coscienza e le difese si oppongono alla scoperta della verità. Come dice Mangini nella sua relazione dal titolo “La verità storica, raccordo tra storia e psicoanalisi”, il lavoro psicoanalitico tende alla verità e ad una ricostruzione della storia del soggetto, dei suoi vissuti e dei suoi affetti, ma allo stesso tempo il paziente attua un movimento contrario che si allontana dalla verità attraverso le resistenze e le difese. Questo evidenzia la complessità dell’apparato psichico che si muove tra deformazioni e costruzioni di senso, in cui persino l’insight, come esperienza momentanea nell’hic et nunc di senso e scoperta o di verità intravista, sembra essere un flash di brecce di verità (98). “La qualità del sapere che si forma nell’analisi si connota come qualcosa di provvisorio insaturo e tessuto di verità psicoanalitiche limitate e parziali” (95). La verità storica quindi non può essere ridotta ad un fatto perché proprio per l’incessante lavoro psichico, può andare incontro a progressive configurazioni sempre più articolate nel corso dell’analisi e a trasformazioni psichiche (93). La verità storica è pertanto in continuo divenire (Munari,104)

V Colloquio, 2008, Le Fonti dello psichico

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Il quinto colloquio psicoanalitico si è tenuto nel 2008 con il titolo Le fonti dello psichico: nodi e snodi in psicoanalisi. A partire dal pensiero di Agostino Racalbuto” durante il mandato dell’esecutivo che vedeva Marco La Scala come Presidente e Maria Vittoria Costantini come Segretario Scientifico. Questo Colloquio ha avuto come spinta motrice quella di ripercorrere il pensiero di Agostino Racalbuto, scomparso tre anni prima. Il testo, pubblicato da Borla nel 2009, racchiude parte dei lavori presentati in quella giornata, oltre ad altri lavori che “rappresentano un prolungamento, un ampliamento e un’ulteriore elaborazione rispetto ai lavori del Colloquio (5)” come indicato da Marco La Scala nella premessa al testo stesso. Le relazioni sono state di Marco La Scala, Giuseppe Di Chiara, Enrico Mangini, Maria Vittoria Costantini, Antonio Di Benedetto, Paola Golinelli, Amalia Giuffrida, Celestina Pezzola, Francesco Conrotto, Franca Munari, Giuseppe Pellizzari, Giovanna Giaconia, Mario Magrini, Fausta Ferraro e Cristina Esposito.
Il libro si apre con uno scritto inedito di Racalbuto che pone idealmente le basi per il dialogo aperto con i colleghi analisti che hanno partecipato a questo Colloquio in sua memoria. È il tema dell’“originario” quindi, tema su cui Racalbuto ha dato un importante contributo, che viene approfondito nei lavori, l’analisi dei movimenti che portano dall’affetto-sensazione al pensiero vero e proprio.

La Scala sottolinea come i lavori presentati possano essere divisi in quattro gruppi: quelli legati al tema dell’Originario e alla nascita del pensiero simbolico, quelli legati all’organizzazione edipica, al maschile e al femminile, quelli che riguardano l’adolescenza definita da Racalbuto come un tempo “al limite” e infine quelli che riguardano la figura di Racalbuto come docente dell’Università di Padova.

Racalbuto nel suo lavoro inedito dice: “Come in una costruzione dove l’originario privo di senso, piuttosto che essere rinnegato e pur restando per alcuni suoi aspetti inconoscibile come nucleo narcisistico primitivo, va a costituire il seme e le fondamenta di un’identità di base e di una modalità di esistenza relazionale ispirata al piacere e alla scoperta di nuove prospettive…(37)”. Questo pensiero riassume il filo conduttore di tutti i lavori presentati che partono dall’importanza dell’originario per arrivare a una forma, per arrivare alla pensabilità.

Mangini nel suo lavoro “Ricordare e rimuovere l’originario psichico” sottolinea come la rimozione originaria possa essere considerata “tensione verso la simbolizzazione (50)” e difesa contro l’angoscia. “Così la pensabilità è frutto della convergenza tra un buon assetto difensivo e una tensione verso la creatività, come capacità di creare pensieri non ripetitivi, all’interno dell’oscillazione tra determinismo psichico e libero arbitrio (51)”. Questo si snoda, nella pratica clinica, nell’incapacità di un paziente di avere la possibilità di pensare liberamente, come se la mente fosse momentaneamente troppo piena, indisponibile. Mangini mostra come questo abbia una funzione difensiva ma anche paraeccitatoria “che consente di disporre di una mente abbastanza libera e disponibile a vari pensieri (51)”.

Il secondo filone di lavori si concentra, come già indicato, sull’organizzazione edipica a partire dalla rilevanza attribuita da Racalbuto al conflitto edipico nei suoi studi. Conrotto e Munari si concentrano, ad esempio, sulla simbolizzazione e sui fantasmi. Il fantasma di castrazione viene individuato da Franca Munari come motore della creatività in quanto l’Io si trova incessantemente a fare i conti con una mancanza che porta però allo sviluppo e all’individuazione. “Queste prospettive dunque ci riimmettono anche nell’ottica del “sessuale”, che si risignifica proprio transitando attraverso l’originario e la originaria relazione con l’oggetto (147)”. I lavori sull’adolescenza di Pellizzari, Giaconia e Magrini si concentrano sul rimescolamento a livello psichico caratteristico di questa fase evolutiva, sulla riattualizzazione del trauma originario, sul rapporto con la madre “prima seduttrice” (159) e sulla fatica da parte degli adolescenti a digerire e a integrare parte della violenza primitiva che si risveglia con il ritorno delle conflittualità edipiche.
Cristina Esposito si concentra, infine, su Racalbuto Professore della Facoltà di Psicologia e sul pensiero psicoanalitico all’interno dell’università e del panorama culturale italiano.

VI Colloquio, 2012, Metamorfosi della Pulsione

Metamorfosi della pulsione
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Il sesto Colloquio si è svolto nel 2012 con il titolo “Metamorfosi della pulsione” promosso dall’esecutivo che vedeva Enrico Mangini come Presidente e Patrizia Paiola come Segretario Scientifico. In quell’occasione ci sono stati interventi di Maria Pierri, Francesco Conrotto, Franca Munari, Enrico Mangini, Patrizio Campanile, Marco La Scala e Alberto Luchetti. I lavori presentati durante il sesto Colloquio psicoanalitico sono stati raccolti in un volume edito da Franco Angeli nel 2014 sempre dal titolo “Metamorfosi della pulsione” che raccoglie, oltre ai lavori presentati al Colloquio, anche altri scritti e punti di vista sul tema e che è stato curato da Franca Munari e Enrico Mangini.
Franca Munari nell’introduzione al volume sottolinea come il concetto di pulsione sia uno dei capisaldi della metapsicologia freudiana insieme all’inconscio, al complesso edipico, alla rimozione, alla prima e seconda topica, ma che a differenza di questi “non ha mai trovato nella cultura in genere ma anche in ambito strettamente psicoanalitico, la medesima fortuna e fama degli altri pilastri della teoria psicoanalitica (9)”. Freud stesso ha rimaneggiato più volte la teoria relativa alle pulsioni a partire dai Tre saggi (1905) quando questo concetto compare per la prima volta, per arrivare a Pulsioni e loro destini (1915), a La rimozione (1915) e a l’Io e l’Es (1922) mano a mano che il concetto di pulsione si è andato ad intrecciare con gli altri punti cardine del pensiero freudiano. Freud utilizza il vocabolo Trieb per differenziare la pulsione dall’istinto ma, come sottolinea Mangini nel suo lavoro, “occorre anche aggiungere che vi sono ancora molte zone d’ombra che favoriscono una qualche confusione concettuale ma anche inevitabili sovrapposizioni. Una questione è quella relativa alle pulsioni di auto conservazione e se debbano essere intese come pulsioni o come istinti (65)”. La teoria dell’appoggio, introdotta da Freud in una riedizione dei Tre Saggi del 1914 e ripresa da Laplanche (1967,1984) sottolinea il legame tra il somatico e lo psichico, ossia la necessità di un bisogno che sia stato in precedenza compreso e soddisfatto che possa permettere al desiderio di manifestarsi. A partire dalla dinamica dell’appoggio il pulsionale si svincola da una dimensione prettamente istintuale e autoconservativa. Fondamentale è il ruolo della rimozione originaria perché ci sia un apparato psichico capace di trasformare “il pre-rappresentativo e il non ancora rappresentabile (77)”. Freud esplora il concetto di pulsione da un punto di vista narcisistico ma riconosce anche l’importanza dell’oggetto per poter arrivare alla scarica e al piacere (28), come sottolinea Roussillon nel suo lavoro. Nel 1920, in seguito agli studi e alle riflessioni sul concetto di narcisismo, Freud rivede il dualismo pulsionale arrivando a identificare pulsioni di vita e pulsioni di morte come forze motrici dell’apparato psichico di ogni individuo. Campanile sottolinea come: “se parliamo di sentimenti…dovremmo tenere conto che essi non sono ascrivibili a una delle due pulsioni, giacché, per poter essere compresi, devono essere pensati…come l’espressione di un intreccio delle stesse (145)”.

VII Colloquio, 2016, Coazione a ripetere, ripetizione, trasformazione

Copertina Transfert di vita a cura di M. Pierri e M. V. Costantini
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Nel dicembre del 2016 si è svolto il VII colloquio venziano dal titolo “Coazione a ripetere, ripetizione, trasformazione” da cui due anni dopo è nato il libro a cura di Maria Pierri e Maria Vitoria Costantini “Transfert di vita: Coazione a ripetere, ripetizioni, trasformazione” edito da Franco Angeli.

In quell’occasione fu Maria Vittoria Costantini, presidente dell’Esecutivo del CVP con segretario scientifico Maria Pierri, a presentare ed introdurre i lavori delle giornate di studio. I relatori sono stati numerosi: Maria Pierri, Alberto Semi, Diomira Petrelli, Enrico Mangini, Franca Munari, Patrizia Paiola, Andrea Braun e Vlasta Polojaz, Stefano Bolognini, Renè Roussillon, Alberto Luchetti, Daniela Lagrasta e Celestina Pezzola, Emanuele Prosepe, Lorella Cerutti.

 

L’incipit del percorso teorico di questo colloquio parte dai testi freudiani di Ricordare ripetere ed elaborare del 1914 e di Al di là del principio del piacere del 1920. Nel primo testo compare per la prima volta il concetto di coazione a ripetere in relazione al transfert e alla resistenza secondo cui il paziente, anziché ricordare agisce nell’attualità conflitti del passato ripetendoli nella nevrosi di traslazione. La coazione a ripetere viene inserita nel contesto del processo analitico. Nel secondo saggio Freud lega la coazione a ripetere alla pulsione di morte osservando come i pazienti ripetano situazioni spesso penose e dolorose non riconducibili al principio di piacere arrivando a teorizzare così il dualismo pulsionale. La coazione a ripetere viene inserita nello statuto della metapsicologia e della teoria delle pulsioni come tendenza disorganizzatrice.

Gli autori ci accompagnano in un processo di integrazione di diversi concetti che, a partire dalla coazione a ripetere, trovano una loro significazione in un continuo interscambio tra teoria e clinica, tra pulsionale e il relazionale, “tra il mortifero e il vitale, l’immobile e l’evolutivo, la malattia e la relativa sanità” (Bolognini, 123). Come dice Roussillon “la ripetizione si presenta a volte come un processo fondamentale per l’integrazione psichica e dunque per la soggettivazione, a volte all’opposto come processo apparentemente disorganizzatore” (134). Ne sono un esempio della prima, il gioco del rocchetto descritto da Freud e il gioco dell’abbassalingua descritto da Winnicott: da una esperienza traumatica (l’assenza della madre per il piccolo Ernst, una grave gastroenterite per la bimba di 13 mesi visitata da Winnicott), passando attraverso la ripetitività del gioco, i bambini riescono a simbolizzare l’esperienza dolorosa, a trasformare qualcosa di irrapresentabile in qualcosa di pensabile. Questo accade anche all’interno della cornice del setting, che ripete le costanti e la ritmicità dell’holding materno (Pierri, 24), entro cui si sviluppa il processo analitico che, attraverso la dinamica del transfert e controtransfert, un “lavoro continuo e profondo” (Semi 35), trasforma in memoria la ripetizione. Braun e Polojaz evidenziano, attraverso una loro ricerca, quanto l’irrapresentato possa influire e ricadere nelle generazioni successive. Ma la coazione a ripetere interroga anche sulla pulsione di morte, che nella clinica riguarda l’aver a che fare, non tanto con le turbolenze pulsionali seppur anche distruttive, ma con il disinvestimento massiccio, lo slegamento e l’estinzione dell’eccitamento, ambiti che attengono ai fenomeni del “negativo” e del vuoto, a certe forme di anoressia e depressione, all’inerzia e alla anestesia psichica, alla pietrificazione dell’Io, al trauma narcisistico (Mangini, 86). Non siamo più nella logica del principio del piacere, secondo cui, ad un amento della tensione intrapsichica, vengono reinvestite le tracce mnestiche delle esperienze di soddisfacimento, l’allucinazione del desiderio che può essere riedita, richiamata, riesperita (Munari, 94), ma al di là. “Si ripete la storia non soggettivata, non fatta propria, non simbolizzata, che non è mai potuta arrivare all’Io” (Roussillon, 140). E’ attraverso l’oggetto materno in primis e, in seguito, l’analista che può assicurare una funzione legante e para-eccitatoria, che la coazione a ripetere può diventare elaborazione. Al di là del principio del piacere c’è dunque un oggetto e, dietro alla morte, la vita ( Pierri, Costantini, 7)

VIII Colloquio, 2020, Percorsi dall’oggetto al soggetto nel tempo della cura

L’intera conferenza è stata condivisa su Youtube, il video è raggiungibile da questo Link

 

L’ottavo Colloquio Psicoanalitico dal titolo “Percorsi dall’oggetto al soggetto nel tempo della cura” si sarebbe dovuto tenere nel novembre del 2020 ma, l’emergenza sanitaria legata alla pandemia, ne ha reso impossibile lo svolgimento.

Il Colloquio si è svolto in forma ridotta e in modalità telematica il 20 marzo del 2021. Questo Colloquio era stato pensato dall’esecutivo che vedeva Patrizia Paiola come Presidente e Cosima De Giorgi come Segretario Scientifico.

In quell’occasione Antonio Alberto Semi ha presentato un lavoro intitolato Soggettività e individualità nella cura attraverso il quale ha riflettuto sui concetti di “soggettività” e “individualità” per declinarli poi all’interno del metodo psicoanalitico e del processo di cura.

Semi dice: “Soggettività è poter riconoscere che in questo momento io sono così…” e continua dicendo “Soggettività dunque come fatto che topicamente si manifesta a livello conscio ma che, proprio per le proprie caratteristiche, segnala l’esistenza di qualcosa che conscio non è, che dunque e’ inconscio”.

Secondo Semi è necessario parlare di “soggettività” che deve essere considerata un fatto e non di soggetto perché in questo caso staremmo parlando di una categoria. Entra in scena, poi, l’individualità che è proprio ciò che differenzia “è ciò che consente l’individuabilità”. Semi ricorda, riprendendo le considerazioni di Freud, che si parte da un dato percettivo per arrivare poi all’individualità.

Il dato percettivo è la presenza di due esseri umani “il neonato e il soccorritore”. Secondo Freud è il bisogno insoddisfatto che determina l’unione tra due persone e che permette quindi di stabilire un contatto e una comprensione reciproca.

Semi sottolinea come sia importante cogliere quale bisogno debba essere soddisfatto nella cura perché paziente e analista riescano a capirsi. Ogni persona ha gli stessi bisogni e quindi l’individualità non porta solo ad individuarsi ma anche a stabilire punti di contatto e di vicinanza tra persone diverse.

D’altra parte, invece, la soggettività è ciò che permette alle diversità dei singoli di prendere forma sempre però tenendo presente la dimensione relazionale.

Il titolo della relazione di Paul Denis è stato Oggetti transferali e riorganizzazione del soggetto. L’autore si concentra sia sul concetto di oggetto che si caratterizza per essere il luogo dell’investimento che sul concetto di soggetto la cui definizione in psicoanalisi è più complessa.

Useremo quindi le parole di Denis: “Il “soggetto” non è quindi ridotto all’Io ma si riferisce a un insieme di componenti, una sorta di riunificazione che l’Io è chiamato a dirigere.

Ma questo insieme “soggetto” si riferisce certamente all’Io stesso ma anche agli altri. È un “Io stesso” capace di prendere in considerazione se stesso ( l’idea di “soggetto” implica una dimensione di riflessività: “sé stesso  come un altro” per usare parole di Paul Ricœur), ma anche di situarsi  tramite il rapporto con gli  altri: “sé stesso per  un altro” secondo la mia formulazione”. 

L’autore pone attenzione a quei momenti di crisi che rompono gli equilibri e la continuità del funzionamento psichico e che disorganizzano il soggetto. Il disequilibrio è costituito da un cambiamento di tipo economico.

Queste crisi possono essere contenute e gestite dall’individuo attraverso le risorse disponibili per rigenerare un nuovo assetto, oppure gravi, talora “catastrofiche” come, per esempio, un lutto e che necessitano della presenza di un oggetto capace di empatia e di identificarsi con la sofferenza profonda del soggetto. Questo oggetto diventa un oggetto transferale, ovvero un oggetto con il quale il paziente possa a sua volta identificarsi, poiché in grado di non lasciarsi sopraffare dalle emozioni che la crisi comporta accompagnando il paziente al suo superamento. 

La coppia analitica al lavoro, si compone quindi di un soggetto-paziente e di un oggetto-analista e attraverserà nel corso del trattamento piccole e grandi crisi. Denis ne segnala alcune: l’istaurarsi della situazione analitica e del setting in quanto completamente nuove e assolutamente diverse da qualsiasi altra forma di incontro, l’agito di parola e la relazione terapeutica negativa. In queste situazioni l’interpretazione sembra perdere la sua efficacia proprio perché c’è un eccesso al limite del traumatico.

Afferma Denis “Nella cura, la questione dell’elaborazione non si limita al superamento dei conflitti attraverso l’interpretazione. Si tratta di dare forma all’eccitazione provocata dalla situazione analitica stessa (…). Nel percorso dall’oggetto-analista al paziente-soggetto viene creato qualcosa che non esisteva prima”.

Alessandra Macchi, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

macchi.alessandra05@gmail.com

Marta Oliva, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

martaoliva@libero.it

IX Colloquio, 2023, Diniego, Illusione, Speranza

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Leggi gli interventi sul Numero 2023/ della Rivista KnotGarden

Il nono Colloquio Psicoanalitico, dal titolo Diniego, Illusione, Speranza si è svolto a Venezia il sette e l’otto ottobre 2023. Pensato dall’Esecutivo di Patrizio Campanile come presidente e Maria Ceolin come segretario scientifico, questo colloquio nasce in un delicato momento storico, di cui è evidentemente erede. Sul tramontare dell’emergenza pandemica, una guerra si era scatenata nel cuore della civile Europa: è il 24 febbraio 2022 quando la Russia invade militarmente l’Ucraina. Accade inoltre che, proprio il sette ottobre, scoppia un nuovo conflitto, ancora una volta non troppo distante dal cuore dell’Europa.  Le truppe dei miliziani di Hamas fanno una violenta strage a Gaza.

Due fenomeni, la pandemia e la guerra, che spingono a riflettere sull’essenza stessa della natura umana, e su quel delicato gioco di equilibrio che è necessario s’instauri nel rapporto tra Sé e l’Altro. Così Patrizio Campanile, in chiusura dei lavori, nel riassumere quanto detto durante queste due giornate offre una lettura di senso al tema Colloquio: “Tanto il grado di diniego messo in campo, quanto il potersi stabilizzare di un grado di illusione creativa e foriera di novità, quanto infine una dose realistica di speranza … tutti sono meccanismi o fenomeni (a seconda di come li vogliamo qualificare) su cui incidono i diversi equilibri che s’instaurano o sono possibili all’interno di ciascuno tra l’andare verso, il desiderare che implica la presenza dell’altro, ed il ritrarsi alla ricerca unicamente di un benessere narcisistico in questo caso non alimentato dalla relazione e dal rapporto con la realtà, ma che esclude l’altro ed eventualmente arriva a fondarsi sulla costruzione di una realtà immaginaria che consente un appagamento basato su fantasticherie o che arriva a vere e proprie costruzioni deliranti.”

Aprirà i lavori il Presidente della Società Psicoanalitica Italiana Sarantis Thanopulos a cui seguirà una nutrita e preziosa serie di interventi, in ordine, di: Laura Ambrosiano, Maurizio Balsamo, Lorena Preta, Antonio Alberto Semi, Enrico Mangini, Patrizia Paiola, Lucia Fattori, Marco La Scala, Patrizia Montagner, Elisabetta Marchiori.

Maria Ceolin, curerà a posteriori un numero della rivista Knotgarden, con gli atti del convegno e nell’introduzione ricorderà che l’eccessivo carico di angoscia rischia di produrre tra i singoli individui legami emotivi scarsamente critici che possono portare a radicalizzazioni in opposti schieramenti. Si assiste in queste circostanze alla “perdita di compassione per la sofferenza di ogni vittima perché evita di vedere e sentire ciò che accade nell’altro, di vedere e sentire l’altro come simile, in una tendenza a considerare falso tutto ciò che non rientra nella propria posizione, per eludere ogni conflitto interiore, ogni pensiero che, nelle contraddizioni della complessità, metta a rischio di entrare in collisione con se stessi” (Ceolin, 2023. Knotgardern 4/2023).

Gaetano Filocamo, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

gaetano.filocamo@hotmail.it

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