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Tracce e stimoli...

in previsione del convegno "L'Es a cent'anni dal l'Io e l'Es"

di Patrizio Campanile

In previsione e preparazione del convegno “L’Es a cent’anni da l’Io e l’Es” del 3 Dicembre 2022, pensiamo sia interessante tenere a mente alcune tracce e alcuni stimoli.

Quando, negli ultimi tempi della sua vita, scrive il Compendio di psicoanalisi ove riprende in modo sistematico e definitorio la materia che, presentata nel L’Io e l’Es, ha sistematizzato nella seconda topica o teoria strutturale, Freud ribadisce che per affrontare ciò che ci è sconosciuto (e sconosciuto è tutto ciò che sta tra il corpo in senso stretto, biologico, e il suo funzionamento da una parte, ed i nostri atti di coscienza, dall’altra) non possiamo che ricorrere a costruzioni ausiliarie. Per questo, da sempre, aveva cercato di mappare tale spazio intermedio e sconosciuto proponendo le sue rappresentazioni topiche. Lo svolgimento di questo compito, dice, “non è potuto avvenire senza la formulazione di nuove ipotesi e la creazione di nuovi concetti […] Tali ipotesi e concetti possono rivendicare lo stesso valore di approssimazione alla verità di analoghe costruzioni ausiliarie in altri campi delle scienze naturali, e sono in attesa di modifiche, rettifiche e determinazioni più rigorose grazie all’accumulo e alla selezione delle esperienze. È inoltre in perfetto accordo con le nostre aspettative che i concetti fondamentali della nuova scienza, i suoi princìpi (pulsione, energia nervosa eccetera) rimangano indeterminati per un periodo di tempo piuttosto lungo, come lo sono stati i concetti e i princìpi delle scienze più antiche (forza, massa, attrazione)”.

È stato sufficiente un secolo per arrivare a determinazioni più rigorose ed eventualmente pervenire a modifiche e rettifiche come Freud aveva previsto e forse auspicato? Quanto la psicoanalisi del dopo Freud si è cimentata in questo compito e quanto lo sta tuttora ritenendo necessario?

Questi alcuni interrogativi di carattere generale che stanno sullo sfondo ad ogni approfondimento, ma intento di questa giornata è dedicare attenzione a quella che appare a tutt’oggi l’istanza più oscura, meno chiarita, probabilmente meno usata come punto di riferimento per sviluppare la teoria e la teoria della clinica: l’Es. Dall’eredità arcaica alle pulsioni … si aprono miriadi di interrogativi e difficoltà per i diversi orientamenti psicoanalitici.

Eppure, affrontare questo terreno potrebbe essere un buon tramite per sviluppare confronti e collaborazione con chi si occupa del corpo in senso stretto, del suo funzionamento e delle relative alterazioni e quindi delle malattie che per lo psicoanalista in seduta sono una realtà che affronta sempre come fenomeno psicosomatico giacché è comunque il soggetto di quel tale corpo che viene incontrato e di cui la coppia analitica si deve prendere cura.

La psicosomatica non è certo uno dei campi universalmente più approfonditi e la nozione di conversione, che pure serviva a legare i destini di impulsi e rappresentazioni ad eventuali loro esiti nel corpo, è pressoché scomparsa come concetto ritenuto utile e per questo impiegato. 

Si tratta di questioni che possono esser liquidate come troppo astratte nella loro valenza teorica, ma che potrebbero essere un terreno di sviluppo per la ricerca psicoanalitica e non trascurabile nella clinica.

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Freud ha ripetutamente lamentato che il punto di vista economico fosse erroneamente trascurato; quanto la nozione di energia psichica è utile nella clinica? E quanto una generica considerazione dell’energia psichica può eventualmente essere sufficiente in assenza del riferimento alla pulsione?

Questo riferimento è ancora riconosciuto come strettamente legato alla biologia? Biologia che, accanto alle vicissitudini della specie umana, creano, per Freud, un deposito nell’Es. Lì, dice, dobbiamo supporre “un processo che non essendo né conscio né preconscio si svolge fra importi energetici in un substrato di cui non riusciamo a farci un’idea” (1932, 199).

Questa energia è energia pulsionale? E cosa intendere per pulsione? Di per sé va considerata pulsionale o va supposta un’energia indifferenziata, depulsionalizzata, neutralizzata? Ed allora, prima o dopo, può esser utile raffigurarsi un’energia non pulsionale?

La supposta da Freud ed eventuale regressione dell’Es (1922, 516) può essere in qualche modo collegata al venir meno della qualità pulsionale a causa di un ritorno a mera istintualità?

Questi alcuni interrogativi derivanti dalla lettura de L’Io e l’Es.

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Dieci anni dopo la stesura di questo saggio, Freud nella Lezione XXXI precisa: “Questo pronome impersonale sembra particolarmente adatto a esprimere il carattere precipuo di questa provincia psichica, la sua estraneità all’Io” (1932,184). In questo modo viene indicato “quanto nel nostro essere vi è di impersonale e, per così dire, di naturalisticamente necessitato” (ibid), essendo questa “la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità” (1932, 185). Se quel ‘naturalisticamente necessitato’ ripropone le questioni ora citate, la considerazione di un percorso dall’impersonale al personale ha aperto un orizzonte che nei decenni successivi ha portato al centro della ricerca psicoanalitica la questione del soggetto, del suo costituirsi, degli eventuali sviluppi o regressioni.

 

Nello stesso testo Freud introduce un’idea che complica ulteriormente la materia: l’Es, dice, va pensato come stratificato (185). Ne ricaviamo un’immagine complessa ed articolata. Non solo: Es ed Io non vanno pensati come nettamente distinti; anzi dopo aver distinto, dice Freud, dobbiamo riunire e per rappresentarne i confini, volendo usare i colori, andrebbero individuate “aree cromatiche sfumanti l’una nell’altra” (190). E’, però, lo stesso Es che va pensato come stratificato per rappresentare, si può supporre, diversi gradi in cui si strutturano diversi livelli della realtà psichica e dell’intreccio somatopsichico.

Quanto la supposta resistenza dell’Es (vedi Analisi terminabile e interminabile, 1937) va ascritta agli ‘strati’ più profondi, dove eventualmente la pulsione di vita non ha ancora preso il controllo, sempre da supporre parziale, della pulsione di morte?

Si aggiunga: nella rappresentazione che dà dell’apparato psichico nella Lezione XXXI (189) l’Es è rappresentato “aperto all’estremità verso il somatico, da cui accoglie i bisogni pulsionali” (185). Cioè: l’Es mira a rappresentare un momento ipotetico (con uno spostamento dal temporale allo spaziale) in cui le spinte provenienti dal corpo trovano una prima collocazione nell’apparato psichico? Entrano cioè a far parte del sistema articolato, stratificato e mobile inconscio↔preconscio↔conscio. Dirà Freud nel Compendio (1938): nell’Es le pulsioni “trovano, in forme che non conosciamo, una prima espressione psichica” (572).

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Un problema non da poco è la collocazione del rimosso: “confluisce con la parte rimanente dell’Es” (188). I contenuti respinti vanno collocati nel corpo o in uno degli ‘strati’ più profondi dello psichico, laddove maggiormente psichico e corporeo coincidono. Sono riconducibili a questi interrogativi la questione della conversione ed ancor più quella della psicosomatica.

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Anche la questione tempi non è da poco: quando avviene la differenziazione iniziale dell’Io dall’Es? Iniziale, in quanto poi i rapporti tra i due ‘territori’ non sono definitivamente e rigidamente stabiliti (“Wo Es warsoll Ich werden“, tradotto da OSF “Dove era l’Es, deve subentrare l’Io”, Lez. XXXI, 190). Iniziale, ma non così primaria se, come dice Freud “la differenziazione si compie all’epoca della piccola infanzia” e se, come spiega Musatti nell’Avvertenza Editoriale ai Tre Saggi (1905), la locuzione usata da Freud, früher Kindheit, rinvia ad un periodo che va dai due anni e mezzo ai sei anni (cfr. OSF, vol. IV, 445-6)

Per affrontare ciò che ci è sconosciuto (e sconosciuto è tutto ciò che sta tra il corpo in senso stretto, biologico, e il suo funzionamento da una parte, ed i nostri atti di coscienza, dall’altra), secondo Freud, non possiamo che ricorrere a costruzioni ausiliarie. Per questo, da sempre, ha cercato di mappare tale spazio intermedio e sconosciuto proponendo le sue rappresentazioni topiche. Lo svolgimento di questo compito, dice, “non è potuto avvenire senza la formulazione di nuove ipotesi e la creazione di nuovi concetti […] Tali ipotesi e concetti possono rivendicare lo stesso valore di approssimazione alla verità di analoghe costruzioni ausiliarie in altri campi delle scienze naturali, e sono in attesa di modifiche, rettifiche e determinazioni più rigorose grazie all’accumulo e alla selezione delle esperienze”.

E’ stato sufficiente un secolo per arrivare a determinazioni più rigorose ed eventualmente pervenire a modifiche e rettifiche come Freud aveva previsto e forse auspicato? Quanto la psicoanalisi del dopo Freud si è cimentata in questo compito e quanto lo sta tuttora ritenendo necessario?

Patrizio Campanile, Venezia

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patrizio.campanile@libero.it

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