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Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana

 

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L’uomo viene vissuto dal suo inconscio e se fosse il contrario?

di Guido Buffoli

(Padova) Membro Associato della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Veneto di Psicoanalisi.

Dopo tanto tempo il tema è ancora più attuale e rilevante. Nel titolo della mia relazione ho sostituito la parola Es con inconscio.

Definire l’Es e l’Io non è scontato. Nel titolo del convegno c’è prima l’Io poi l’Es, la mia domanda iniziale “se fosse il contrario?” trae spunto dalle rappresentazioni di Groddek che a proposito dell’Es diceva: “L’uomo è animato dall’Ignoto, una forza meravigliosa che dirige ad un tempo ciò che egli fa e ciò che gli succede. La proposizione “io vivo” è solo parzialmente corretta; essa esprime soltanto una parte ristretta e superficiale del principio fondamentale “L’uomo è vissuto dall’Es”: prima mettendo un accento positivo alla forza animativa che può alludere all’eros degli antichi, poi si allude al rapporto dell’Io che rimanda ad una sudditanza depressiva dall’Es.

Freud ha affermato che l’Es: “E’ un caos, che si riempie di energia proveniente dalle pulsioni, ma non ha un’organizzazione, non promuove alcuna volontà generale, ma il concetto di mancanza di organizzazione viene ridotto a mancanza relativa se questa viene ricondotta all’assenza delle relazioni caratteristiche dell’organizzazione dell’Io.”

La definizione di Io è di un’istanza che Freud distingue dal punto di vista topico, dinamico ed economico, come relazione di dipendenza sia dall’Es, dal Super-io e dalla realtà, istanze che si irradiano quindi in ambiti e finalità diverse. Nella seconda topica la differenziazione radicale fra le diverse istanze si trasforma in processi di differenziazione progressiva. Freud insiste sulla continuità nella genesi delle diverse istanze, che conduce dal bisogno biologico all’Es e da questo all’Io ed al Super-io. Laplanche conclude quindi alla voce Es: “In questo senso la concezione freudiana dell’apparato psichico si presta ad una interpretazione biologizzante o naturalizzante” (149).

A proposito di biologia nasce prima l’uovo o la gallina? Viene prima l’Es e poi l’Io? Si può dire che l’Io deriva da sensazioni corporee soprattutto da quelle della superficie del corpo, questo ricorda la differenza popolare fra il sentire “a pelle”, o al sentire di “pancia “. La pelle rappresenta il confine che ci racchiude e quell’area di limite dove si scambiano molte cose fra il dentro ed il fuori.

I progressi scientifici, processando numeri di variabili molto grandi, consentono rappresentazioni più allargate della genesi dell’Io e del suo funzionamento e di come la complessità del pensiero può influenzare l’Es.

È importante avere un buon istinto, un buon fiuto, avere naso, in questo gli animali ed i bambini ci battono utilizzando facoltà regredite nell’adulto, ma non scomparse se, come diceva una canzonetta oltre al fiuto, “ci vuol davvero orecchio anzi parecchio…” e l’umanità ha parlato anche di terzo occhio.

Psicoanalisi, neuropsicologia, pedopsichiatria con le intuizioni di Winnicot, e più recentemente i contributi di Golse sul corpo-pensiero e sulle competenze del neonato, hanno fatto passi avanti per integrare corpo e psiche, con linguaggi comuni e per capire la struttura dei pensieri, ma rispetto ad altre aree scientifiche, siamo ancora indietro.

C’è stato un recente convegno, intitolato “30 anni di neuroni a specchio”, scoperte che ritenevano spiegare l’etiopatogenesi di malattie psichiche come l’autismo e l’asperger, suscitando molto interesse ma, più recentemente anche opposizioni.

Vero o meno, sono note le nostre reazioni anticipatorie, mimiche e motorie, come succede quando si imbocca un bambino o un malato, o si guarda un evento sportivo.

La scienza dice di cosa è fatto il corpo nostro corpo, ma non di cosa sono fatti i pensieri, che per lo più riteniamo entità astratte, senza consistenza, e non chiarisce se sono chiusi nel corpo e nella mente, e se e si espandono fuori di noi.

Nella serie televisiva “The good doctor”, il protagonista, un ragazzo definito autistico, in realtà più simile ad un asperger, traumatizzato dal padre e dalla morte del fratello, scappato di casa, finisce al pronto soccorso dove un neurochirurgo se ne prende cura. Il medico nota come il ragazzo si lasci assorbire dai libri di medicina, lo aiuta a studiare. Alla fine si laurea e specializza in medicina, maturando una conoscenza anatomofisiologica stupefacente, che risulta determinante in molte difficili operazioni chirurgiche. Tuttavia le relazioni con colleghi e pazienti sono prive di empatia. Non so quale fosse l’intento del regista, ma la trama mostra nel protagonista oscillazioni di funzionamento scissi dell’Es e dell’Io, e sottolinea come la sua iperazionalità cognitiva poco gli servisse ad affrontare l’irruzione delle emozioni angosciose che lo paralizzavano,

Io ed Es rimandano anche alla visione del libero arbitrio in opposizione al sovradeterminismo e al volere degli dei.

Nel film “Hidalgo oceano di fuoco”, durante una massacrante gara a cavallo nel deserto, tipo Parigi Dakkar, un cavaliere, sbalzato di sella, finisce nelle sabbie mobili, il concorrente successivo si ferma per soccorrerlo, ma la vittima lo esorta a lasciarlo lì, perché era il volere di Allah che lui perisse così. Il soccorritore gli fa notare che non poteva sapere se invece il volere di Allah fosse quello che venisse salvato.

Quanti Io esistono e quanti Es?

L’uomo popolarmente viene visto, sia come una formica in balia della vita, sia come il peggior predatore della natura e dei suoi simili. In questa ultima visione Io ed Es, carichi di pulsioni aggressive primitive di aggressività ed avidità non fanno entrambi bella figura.

Se possiamo usare il concetto corpo-pensiero, questa complessità materiale, considerando l’enorme aumento della popolazione dagli albori del mondo e di conseguenza l’aumento proporzionale dei corpo-pensieri, allora si potrebbe dire che sia l’Io dell’uomo ad influenzare l’Es, così come l’umanità influisce sulle trasformazioni climatiche, modificando e forzando gli equilibri naturali.

È più facile dire di cosa è fatto il nostro corpo, piuttosto di cosa sono fatti i pensieri. Conosciamo l’anatomia e la fisiologia del sistema nervoso, le vie afferenti ed efferenti, la biochimica dei neurotrasmettitori e del sistema sensoriale che riguarda sensazioni ed emozioni. Ma, per lo più, continuiamo a considerare i pensieri entità astratte prive di energia e materia, quindi non corpo-pensieri.

Per pensare al corpo-pensiero ed in particolare al corpo dei pensieri, può essere utile ricordare, a proposito della nascita psicologica del pensiero, che alcuni Autori ritengono sia la trasformazione del registro sensoriale nel registro percettivo ed emozionale dell’esperienza del pensiero.

In parallelo, nel bambino si può parlare anche di un corpo che, da proto-percezione, come le cellule staminali indifferenziate, via, via si specializza fino a diventare, dopo la nascita corpo-pensiero.

Se i pensieri sono di materia concreta, allora gli scambi interattivi fra Es e Io sono attivamente molto complessi e produttivi e dipendono anche dalla loro diversa consistenza e durata di azione. Ritengo che Freud avesse preconsciamente intuito, superando il dualismo cartesiano, questi insiemi materiali di corpo-pensieri riferendosi all’Es come caos pieno di energia.

La dinamica di scambi fra Es ed Io dipende dalla consistenza e movimento dei corpi-pensieri umani, insieme a quelli della natura-ambiente. Possiamo aggiungere nell’’Es e nell’Io i pensieri della natura, se crediamo che anche gli animali, i vegetali, i minerali pensino. Se ammettiamo l’esistenza dei corpi-pensieri con una reale consistenza, come si contattano fra loro e con quelli di altre persone: si mescolano, si posano da qualche parte e che durata hanno?

Sappiamo di essere fatti di atomi e di cellule che si muovono e scambiano energia, tuttavia non ci soffermiamo sulle micro-visioni e ci meravigliamo quando la scienza ci mostra il micro e macromondo che ci circonda. In una vignetta un bambino, dopo aver saputo che con il microscopio si potevano vedere microbi e batteri, con un martello percuoteva il pavimento, suscitando il sorriso dei genitori. Ma al microscopio si vedevano batteri malridotti con bende, gessi e stampelle e uno diceva all’altro che non bisognava mai sottovalutare i bambini ed i loro poteri.

Se l’uomo oltre ad emettere gocce fluidi, vibrazioni, calore, magnetismi, sparge anche pulviscoli di pensiero fuori e dentro di sé, moltiplicati per i miliardi di persone, si potrebbe valutare quanto e come questo influenzi l’Es. Mentre riguardo ai confini dell’Io la consistenza dei pensieri, per quanto magnetica, gassosa ecc. potrebbe farli immaginare come corpo-pensieri che si toccano e mescolano. Questo avviene sfuggendo alla nostra consapevolezza o esistono funzioni della nostra mente in gradi di percepire anche queste dinamiche? L’area dei fenomeni paranormali e della magia ha sempre colpito la curiosità umana, anche di fronte ad illusionisti e prestigiatori, fino a desiderare che il trucco non esista.

Eduardo De Filippo, a proposito di una sua commedia “La grande magia” aveva detto che la vita è un eterno gioco basato sull’illusione e sulla fede, dove i destini degli uni sono legati a quelli degli altri secondo trame e fili che non sono dati di vedere. Allora quanto ci può essere di Es e di Io nell’illusione e nella fede?

Dipende da “A che gioco giochiamo?”, in quanta parte c’è una riproposizione della organizzazione del caos, o da quanto sia un esercizio adattativo alla vita dell’Io.

Anche il Paracelso di Schnitzler conclude: “Non è che un gioco il nostro agir terreno. Anche se ci sembrò così grande e profondo…Qualcuno gioca con i soli, con le stelle. Io gioco con le anime. Un senso lo troverà solo chi lo cerca…Giochiamo sempre chi l’intende è saggio”.

Nella psicoterapia dei bambini, per accedere al loro corpo-pensiero spesso si ricorre al gioco, come osservatori o partecipanti, in questo secondo caso, se non è un gioco goduto anche dal terapeuta il tentativo non funziona. Perché i bambini, come diceva la Doltò, sono telepatici e sensorialmente più immersi nella giungla del divenire. Avvertono non solo quello che gli trasmettiamo con la voce, i gesti, la prossemica e le parole, ma anche se i nostri corpo-pensieri sono disponibili a toccare i loro, con i giusti holding ed handling. C’è il rischio, che il giocatore-terapeuta, spinga alcune istanze dell’Io a non rimanere animativo, ma a dirigere il gioco, o a lasciarsi trascinare nelle correnti dell’Es con reazioni di ipo-iperattività, emotiva e motoria che si potrebbe paragonare ad un disturbo transitorio del controtransfert tipo ADHD.

Ogni bel gioco dura poco, anche volendo rappresentare il rapporto Io-Es come un puzzle di pulsioni e corpo-pensieri è importante domandarsi quanto le persone hanno imparato a muoversi in questa, che più che una selva oscura, possiamo chiamare giungla, quindi altrettanto come ci si muove negli intrichi delle relazioni, anche loro fatte di suoni, liane, bambù, acquitrini, paludi, qualche radura e deserti.

La trasformazione della visione dei pensieri in quella più reale dei corpo-pensieri non è differibile, ma va detto, che senza allenamento e adeguati corsi di adattamento e sopravvivenza gli esploratori possono perdersi nelle valli come Eco, o nelle fonti di acqua chiara come Narciso. Ci si può consolare però dicendo come Lucio Battisti nell’omonima canzone “Acqua azzurra, acqua chiara” … posso finalmente bere.

Sarebbe bello, nella pratica analitica vedere e sentire come si incrociano i corpo-pensieri del paziente e del terapeuta, se potessimo tracciarli, colorarli o sonorizzarli per veder dove vanno a posarsi, tenersi a distanza, evitarsi, o avvicinarsi con dinamiche ancor più difficili da analizzare riguardo a transfert e controtransfert, sicuramente utili però.

Ricordo il primo colloquio di ammissione con Cesare Musatti dove, per sondare le mie motivazioni a diventare psicoanalista. mi fece presente che con i pazienti adulti e nevrotici poteva essere una bella barba, risposi che mi occupavo di più di terapia infantile e con un sorriso mi disse che allora era meglio.

Le esperienze legate alla terapia con i bambini, la neuropsichiatria infantile, la pedopsichiatria anticipata da Winnicott, i contributi di Golse riguardo alla conoscenza del neonato. fanno pensare con più attenzione non solo al corpo del bambino, ma al suo corpo-pensiero.

Quest’Autore fa presente che anche la psicoanalisi, dopo tutte le intuizioni freudiane ha a volte tralasciato il corpo che invece in una disposizione empatica controtransferale del bebè ci riporta a quel corpo palpitante di funzioni e pulsioni.

Il corpo è l’oggetto dello scandalo, ma anche il centro della riflessività sensoriale del pensiero. Golse ricorda come pensare ed agire sono unica cosa per il bebè e l’immagine motoria le rappresenta, perciò, la conoscenza del proprio vissuto controtransferale diventa essenziale per il pedopsichiatra per via del forte meccanismo proiettivo del bambino.

Nella pedopsichiatria si possono indicare quattro aree da approfondire riguardo al neonato: le competenze interattive precoci, la sintonizzazione affettiva, le dinamiche transgenerazionali, il passaggio dalla diade alla triade. Competenze distinguibili in: biologiche (con riferimenti all’imunologia, alla prenatalità), comportamentali (con riferimento alla pressione uterina ed ai successivi dialoghi tonici), affettive, fantasmatiche e proto-simboliche.

 Le competenze del neonato sono maggiori di quanto si creda e avvengono attraverso una percezione amodale facendogli trasferire ciò che sente su altri canali ad es. la sensazione tattile può essere trasferita a quella visiva.

Considerando queste competenze precoci dovremmo rivedere i concetti di stato indifferenziato madre-bambino ed occuparci maggiormente dei processi di proto-differenziazione collegati alle variazioni dello stato biopsichico della madre. Ad es il suo battito cardiaco potrebbe, con le sue diverse ritmicità, strutturare imprinting percettivi come proto-segnali delle diverse percezioni emotive. Farà quindi differenza per un feto, nell’evoluzione delle proto-emozioni, l’aver vissuto l’esperienza uterina con un sottofondo bradicardico adagio lento, oppure andante ma non troppo, o mosso con brio ecc. e con quali alternanze percentuali sia passato da serie di crescendi e diminuendi.

Prima dello sviluppo embrionale c’è il concepimento, un bisogno di due persone di dare un nuovo corpo ai loro pensieri, poi lo sviluppo fetale un mondo para acquatico di esperienze percettive simili ai principi ritmici della danza, poi la nascita di un bambino che salverà il mondo come a Natale.

Il neonato, per affrontare il nuovo mondo di pensiero e linguaggio, deve ridurre le sue codificazioni a strutture modali e per capirlo e capirci dovremmo utilizzare rappresentazioni comodali attraverso un rapporto empatico con la comunicazione del corpo del bambino per percepire la speciale amazzonia dei corpi- pensieri che lo circonda e ci circonda.

L’incontro con bambini psicotici mi ha fatto riflettere, sulla difficile individuazione di dove stessero l’Io e l’Es, sia loro che miei, sulla difficoltà a stabilire un’empatia e proto-giochi in cui era difficile individuare un senso ed una comunicazione, magari solo proiettata su e dentro di me.

Su e dentro, fanno differenza, infatti diciamo “prendere su di sé” o “stare a cuore”.

Le difese autistiche nelle loro diverse forme possono fare parte di una funzione resiliente dell’Io, o di una pulsione antisofferenza dell’Es, ipotizzando che in questi bambini predominino attività di destrutturazione della consapevolezza, per difendersi dall’angoscia panica di pensieri esterni ed interni, vissuti come concretamente esplosivi. In questi incontri ci si disorienta, specie all’inizio, perché non sappiamo se dall’altra parte esista un Io, o quali residue funzioni dello stesso da poter contattare, o se il caos dell’Es concentra la sua energia su una resilienza, che non concede alcuna distrazione né contatti.

Allora come rappresentarci il gioco autistico o pensare di partecipare al gioco goduto?

Corpo-pensiero e bambini psicotici fanno riflettere, sulla difficile individuazione di dove stiano l’Io e l’Es, sia loro che nostri, sulla difficoltà a seguire la prossemica dei corpi-pensieri, ed individuare residue forme di comunicazione e possibili proto-giochi. 

Allora cos’è il gioco autistico e pensare di parteciparvi in modo goduto?

A che gioco potevo giocare con M. che correva per la stanza, buttando per aria oggetti e giocattoli alle sue spalle senza badare che andassero in pezzi, dovendo io schivarli ed evitare che rompessero le finestre, in che senso movimento e pensiero erano per lui tutt’uno? Poteva essere un movimento di fuga, come animali gli animali per difesa dai predatori, poteva essere una scarica motoria reattiva a sentirsi rinchiuso, o come il soldato della canzone “Samarcanda” che cavalcava per sfuggire alla morte. Avrei potuto giocare a rincorrersi, a prendersi, senza il rischio di essere vissuto come il predatore, il carceriere o la morte?

Gettando via gli oggetti che andavano in pezzi mi teneva occupato, mi mostrava il timore di andare in pezzi e di essersi rotto già tante, troppe volte, o mi sfidava per vedere se mi preoccupavo più di lui che degli oggetti delle cose della stanza, o come Attila gettava lo scompiglio nel mio esercito?  I miei corpo-pensieri correvano per cercare pulviscoli dei suoi corpi-pensieri per stargli dietro.

  1. ogni tot si fermava, sguardo fisso e si buttava a sedere su di me-poltrona…

Avvicinò la faccia alla mia guardandomi intensamente, e mi cacciò un dito in bocca con mia sorpresa ed irrigidimento. Passò il dito sui miei denti sopra e sotto. Mi domandavo che fare, con l’unghia mi graffiò il palato: “Aia! che gioco era?” Riuscii a trattenere l’istinto di afferrargli la mano e ad attivare il corpo-pensiero reattivo, rilassando i muscoli del collo e della mandibola.

Mi fece sentire che avrebbe potuto uncinarmi il palato rimanendo indeciso per un attimo, come i cani che ti mordono senza affondare i denti. Fra il mio Io ed il mio Es non sapevo se stare fermo, come un morto di fronte ad una belva, o rilassato per ascoltarlo ed evitargli la paura di uno scontro dei nostri corpi-pensieri. Penso sia arrivato quest’ultimo messaggio perché, dopo aver ripassato il dito sui miei denti sopra e sotto, lo ha tolto, mi ha guardato con occhi da Io e dato un fugace bacio sullabocca, forse per guarire la bua. Mia o sua?

Forse i corpo-pensieri meno consapevoli di entrambi, si sono fermati, toccati unendo l’eros positivo dell’Io e dell’Es?

Che gioco fare con F. che, come un canguro, saltava dal divano alle sedie e sul tavolo, per slanciarsi per aria braccia aperte, a volo d’angelo, costringendomi a prese improvvisate per afferrarlo prima che si schiantasse… Mi domandavo se corresse il rischio di farsi male, per vedere se qualcuno lo salvava, se agisse impulsi autodistruttivi, o esprimesse il bisogno di un corpo canguro, uccello per sottrarsi al peso. Di fronte a questi agiti era difficile trovare parole-interpretazioni e stare al gioco, mi sentivo più la rete di protezione, che l’allenatore dell’atleta agli anelli, o alla sbarra.

Il bambino atleta passava velocemente da un attrezzo all’altro, ed ero in ansia di non arrivare in tempo a sostenerlo in caso di caduta. A chi ha figli sarà capitato che ti si slancino addosso a corpo morto, con M. la sensazione cinetica era ben più forte.

Quanto F. si dimostrava atletico, altrettanto risultava impacciato nel bere e nel mangiare, infatti, dopo aver sbriciolato in bocca la brioche correva al lavandino, con il bicchiere si buttava in gola l’acqua che, per grandi difficoltà di coordinazione di deglutizione, gli andava di traverso e non riusciva a bere, con frustrazione di un’esigenza primaria. F. fra soffocamenti, tosse, sputacchi, andava su tutte le furie, ma ripeteva i tentativi per rabbia e per calmare la sete.

Dall’anamnesi emergeva che fin dalla prima infanzia aveva manifestato problemi simili, legati alla poppata ed allo svezzamento. Anche in questo caso l’intreccio fra Es ed Io non mostrava confini netti, se si pensa che l’allattamento era risultato problematico fino da prima della nascita psicologica del pensiero e del progressivo svilupparsi dell’Io.

Forse la frustrazione di F. l’aveva spinto a trovare abilità senso-motorie sostitutive al piacere orale precluso. La sete è una gran brutta cosa, a parte coloro che vivono in paese con scarsità di acqua, anche chi viene operato può aver sperimentato cosa voglia dire passare giorni senza bere, specie un tempo, dove dopo appendictomie non erano utilizzate le flebo. Anche soffocare non è bello e avere la sensazione che quando bevi l’acqua invece di andare nello stomaco possa finire nei bronchi.

Mi domandavo come contenere i tentativi rabbiosi di F. e consentirgli di trovare, nel suo turbinio, un piccolo spazio temporale che gli facesse funzionare il riflesso di deglutizione, quel tanto da impedire il passaggio in trachea. Mentre F. riempiva d’acqua il lavandino aprendo al massimo il getto, feci scivolare in acqua degli oggetti di plastica, fra cui anche un bicchiere più piccolo e qualche tappo di diverse dimensioni. Li fece cadere fuori del lavandino, li raccolsi e cominciando dal più grande, li sciacquai diminuendo molto il getto. F. fissò l’acqua che fuoriusciva dal contenitore, me lo prese di mano e si sparò al solito l’acqua in bocca gorgogliando furente.

Passai gradualmente ai contenitori più piccoli fino all’ultimo tappino. F. lo appoggiò con l’acqua sulle labbra che gli colò sugli angoli della bocca, si leccò le gocce poi riprovò e riuscì a deglutire senza strozzarsi. Placato e meravigliato riuscì a ripetere l’operazione lentamente con un tappo più grande. Aveva mostrato interesse e riflessione in questi rapidi passaggi, poi prese da una tasca una caramella appiccicosa e forse succhiata e me la infilò in bocca con un mezzo sorriso.

Anche in questo caso dove erano i confini fra l’istinto primordiale della sete e i frammenti dell’Io che costruiscono difese alla frustrazione?  F. si era fermato ed aveva fatto un’esperienza da cui aveva imparato a regolare la deglutizione. Ma c’era stata anche una esperienza relazionale e perfino una riconoscenza consentendo al suo Io di compiere il gesto della caramella? Distingueva la sua bocca dalla mia? Il feto succhia il dito nell’utero ed il neonato fuori, ha bisogno di ritrovare la sensazione erogena ombelicale per attuare con coordinazione la deglutizione.

In fin dei conti l’oralità nella diade madre bambino si esprime nei fantasmi del neonato con immagini di suzione ed assorbimento ed attraverso il rapporto con il seno si realizzano soddisfazioni vitali primarie. Probabilmente F. aveva avuto serie difficoltà in quei rapporti.

Ricordo la rappresentazione di “madre devota” coniata da Winnicott e della preoccupazione materna primaria che, molto sviluppata verso la fine della gravidanza dura ancora poche settimane dopo la nascita del bambino. Poi la madre tende a rimuovere il ricordo, quasi una malattia che poi guarisce. Molte donne, buone madri in tanti modi, non sono sempre capaci di questa malattia normale, che permetterebbe loro di adattarsi con delicatezza e sensibilità ai bisogni del bambino, o che lo sono con un figlio e non con un altro. La madre devota offre al bambino le condizioni che permetteranno alla sua costituzione di evidenziarsi, allora la continuità di vita del bambino verrà disturbata molto poco dalle pressioni ambientali. Così si assicura la strutturazione dell’Io basata sulla continuità dell’essere e non interrotta dalle reazioni all’urto dell’ambiente. Gradualmente i bisogni del corpo si trasformano in bisogni dell’Io man mano che una psicologia nasce dall’elaborazione immaginativa dell’esperienza fisica.

A questi livelli di gravità il terapeuta potrebbe raggiungere, come la madre, uno stato di devozione, dovendo però, a sua volta, ben più rapidamente ammalarsi e guarire.

Magari, di fronte alle reazioni di rabbia e disperazione di M. e di F., che mi avevano proiettato istanze reattive depressive di dubbio ed impotenza, senza rendermene ben conto, può essere che anch’io sia guarito in fretta, dimenticando queste sensazioni ed abbia potuto occuparmi delle sue necessità fisiche ed emotive consentendo momenti di ossigeno al loro corpo-pensiero.

Aveva ragione Cesare Musatti, con i bambini non ci si annoia mai. Si deve reinterpretare di continuo il concetto di sana neutralità, riconoscere transfert e controtransfert in un turbinio di alternanze, dove le istanze dell’Io e dell’Es si rincorrono, si sfiorano, si scontrano attraverso i corpo-pensieri, fino a quando, se si è stati abbastanza devoti, il bambino si ferma, magari per un attimo, distogliendosi dall’oggetto su cui è fissata la sua attenzione sensoriale. Sembra un momento di sospeso-incanto in cui avverte riconosciuto un suo corpo-pensiero, di cui era poco consapevole, allora inizia ad accorgersi e fare esperienza della presenza dell’altro, e se va bene lascia che ci si prenda cura delle sue ferite.

Il tema Io ed Es, di cui mi sono occupato in piccola parte, mi ha permesso di prospettare una visione nelle relazioni, anche in quelle terapeutiche della concretezza dei corpo-pensieri e delle loro complesse dinamiche intra- extrapersonali.  Non credo che l’Es possa pienamente identificarsi con il luogo della enorme aggregazione dei corpo-pensieri, ma che, a seconda di quanto l’Io possa accedervi, questo caratterizzi la sua organizzazione.

Potrebbe esserci un altro contenitore, diverso dall’Es, che mi sono permesso di chiamare “umanosfera”, in parallelo con l’atmosfera, che similmente ci circonda e protegge, utilizzando le radiazioni energetiche positive dell’Es, e filtrando quelle psichiche nocive.

Un umanosfera che raccoglie, con il contributo di tutti, le forme più evolute delle millenarie ricombinazioni di corpo-pensiero espresse da sane elaborazioni che non soccombono ai conflitti ricorrenti dell’umanità, preservandole dagli inquinamenti più primitivi, tossici, caotici e poco green.

 

Bibliografia

Buffoli G. (2020). “Preconscius”. Roma, Albatros.

Buffoli G. (2021). Edipo e dopo?.  Roma, Albatros.

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Winnicot D. (1971). Gioco e realtà.  Roma, Armando Editore, 2020. 

Guido Buffoli, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

buffoliguido@gmail.com

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