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L’errore di Freud

* L’articolo è stato recentemente pubblicato nel volume: F. Busch & N. Delgado, The Ego and the Id 100 Years later, IPA, 2023, pp.1-13 e viene qui ripubblicato per gentile concessione dell’Editore Routledge Taylor & Francis Group.

di Mark Solms

(Cape Town) Membro ordinario con funzioni di training della South African Psychoanalytical Association. Membro della British Psychoanalytical Society e della American Psychoanalytic Association.

Ho sostenuto altrove che Freud ha commesso due errori tra loro correlati in L’Io e l’Es (Solms, 2013, 2018, 2019, 2021). Questi errori sono stati: (1) incorporare il sistema topografico C (Conscio) nella sua concezione strutturale dell’Io e (2) incorporare il sistema topografico Inc (Inconscio)  nella sua concezione strutturale dell’Es. Credo che il problema che ha spinto Freud a proporre una nuova concezione “strutturale” della mente si risolverebbe meglio assegnando la funzione di coscienza all’Es, anziché all’Io, e distinguendo tra il sistema Inc e l’Es. L’invito a contribuire con un capitolo al presente libro* mi offre l’opportunità di sostenere queste argomentazioni con un’analisi dettagliata del testo originale di Freud (1923).

Il problema che ha spinto Freud a rivedere il suo modello topografico, e a sostituirlo con quello cosiddetto strutturale, è riassunto sinteticamente nella seguente affermazione:

“Constatiamo che l’Inc non coincide con il rimosso; rimane esatto asserire che ogni rimosso è Inc, ma non che ogni Inc è rimosso. Anche una porzione dell’Io, una porzione Dio sa quanto importante dell’Io, può essere, e anzi indubitabilmente è Inc” (Freud 1922, 480).

La parte dell’Io a cui Freud si riferiva è quella che gestisce i meccanismi di difesa. Questa parte dell’Io non è sotto controllo volontario; è inconscia, e non solo in senso descrittivo: è dinamicamente inconscia.

Su questa base Freud riconobbe di aver sbagliato a equiparare l’Io alla coscienza o alla capacità di coscienza, poiché non esiste una relazione speciale tra l’Io e “la proprietà di essere coscienti” (ibid.). Stando così le cose, si potrebbe pensare che avrebbe concluso che la proprietà di essere coscienti appartiene a qualche altro sistema mentale, ma non è così.

Perché no? La risposta è fornita dal fatto che l’Io “noi lo vediamo estendersi dal suo primo nucleo che è il sistema P (Percettivo), così da comprendere innanzitutto il Prec (preconscio) che si appoggia ai residui mnestici” (ibid., 486). Questo è assiomatico: l’Io nasce attraverso l’influenza della realtà esterna, quindi deve essersi “sviluppato […] dal sistema P come da un nucleo” (ibid., 487).  Freud spiega inoltre che ciò significa che l’Io deriva in ultima analisi da stimoli sensoriali, “il corpo e soprattutto la sua superficie è il luogo dove possono generarsi” (ibid., 488), e che quindi può essere descritto come “una entità corporea […] ma anche la proiezione di una superficie” (ibid., 488). Conclude: “Volendo cercare una analogia anatomica la cosa migliore è identificarlo con l’“Homunculus” del cervello degli anatomici il quale si trova nella corteccia cerebrale a testa in giù” (ibid., 489). Fin qui tutto bene. Ma ora ci troviamo di fronte al primo errore di Freud. Sei anni prima di scrivere questo lavoro, Freud (1915) decise che il sistema P doveva essere combinato con il sistema C (Coscienza). Di conseguenza, coniò il termine ibrido “sistema PC“.

Il presupposto su cui si basava l’identificazione della coscienza con la percezione (1915) viene ribadito da Freud in L’Io e l’Es:

“La coscienza costituisce la superficie dell’apparato psichico; l’abbiamo cioè attribuita, in quanto funzione, a un sistema spazialmente collocato al primo posto, se si procede dal mondo esterno. Spazialmente non solo in senso funzionale, del resto, ma questa volta anche nel senso della dissezione anatomica. Anche la presente indagine deve partire da questa superficie percipiente. Innanzitutto sono C tutte le percezioni: quelle che ci giungono dall’esterno (le percezioni sensoriali)” (Freud 1922, 482).

Questo non è corretto dal punto di vista dei fatti. Non è vero che tutte le percezioni sensoriali sono coscienti fin dall’inizio. Mi sorprende che Freud abbia affermato questo, dal momento che la percezione subliminale è facilmente riconoscibile nella vita di tutti i giorni (e, come vedremo più avanti, la sua affermazione è contraddetta anche da ciò che dice sui meccanismi di difesa). Comunque sia, alla fine del XX secolo l’esistenza (e l’ubiquità) della percezione inconscia è stata ampiamente dimostrata con una serie di metodi sperimentali. Le prove accumulate sono riassunte in una nota rassegna di Kihlstrom (1996), il cui titolo dice tutto: “Percezione senza consapevolezza di ciò che si percepisce, apprendimento senza consapevolezza di ciò che si apprende”.

In parole povere, siamo consapevoli di ciò che percepiamo solo se vi prestiamo attenzione. Sarebbe stato più corretto, quindi, per Freud collegare la percezione con la funzione dell’attenzione, piuttosto che con la coscienza, e assegnare questa funzione – l’attenzione – all’Io (cosa che, in effetti, ha sempre fatto; ad esempio, Freud, 1900, 1911). La funzione attentiva dell’Io ha totalmente a che fare con la sua funzione difensiva, la cui natura inconscia ha fornito l’impulso per L’Io e l’Es

Allora la domanda diventa: se la coscienza non fluisce attraverso i sensi, da dove nasce? L’evidenza empirica che dà una risposta a questa domanda è emersa per la prima volta dieci anni dopo la morte di Freud. Moruzzi e Magoun (1949) scoprirono che se la corteccia viene separata da una parte del tronco encefalico nota come sistema reticolare attivante, viene resa inconscia. Molte osservazioni successive di tipo analogo hanno stabilito con certezza che tutta la coscienza dipende dall’attivazione della corteccia da parte del sistema reticolare attivante. In altre parole, la coscienza corticale è una forma secondaria e derivata di coscienza. La misura in cui la coscienza corticale dipende dall’eccitazione del tronco encefalico è ampiamente dimostrata dall’identificazione di Fischer et al. (2016) di una regione “specifica per il coma” nel sistema di attivazione reticolare: per cadere in coma è sufficiente subire una lesione di 2 mm3 nel complesso parabrachiale.

Queste scoperte dimostrano che, lungi dall’emergere dalla superficie dell’apparato mentale, la coscienza nasce dal suo interno più profondo. Freud (1922) afferma esplicitamente che la sua ipotesi alternativa (citata sopra) derivava non solo dal suo studio metapsicologico (1915), ma anche dalle idee esposte in Al di là del principio di piacere. Lì Freud (1920, 210) scrisse:

“Poiché la coscienza fornisce essenzialmente percezioni di eccitamenti che provengono dal mondo esterno, nonché sensazioni di piacere e dispiacere che possono derivare dall’interno dell’apparato psichico, si può assegnare al sistema P-C una collocazione spaziale […] Esso dovrà trovarsi al confine tra l’esterno e l’interno, essere rivolto al mondo esterno e includere gli altri sistemi psichici. Osserviamo che queste nostre ipotesi non rappresentano affatto una audace novità, ma si ricollegano alla anatomia cerebrale, che localizza “la sede” della coscienza nella corteccia, e cioè nello strato superiore e più esterno dell’organo centrale, quello da cui gli altri strati sono avvolti. L’anatomia cerebrale non ha bisogno di preoccuparsi del perché – in termini anatomici – la coscienza sia collocata proprio alla superficie del cervello anziché ben protetta in qualche sua parte più intima e profonda”.

L’ironia è che la coscienza è, in effetti, ospitata nell’interno del cervello. Ho citato questo passaggio non solo per rivelare l’ironia, ma anche per rispondere a una preoccupazione che può essere sorta nella mente di alcuni lettori: perché sto usando i risultati neuroanatomici per risolvere questioni metapsicologiche? Il brano chiarisce che Freud ha tratto dall’anatomia cerebrale la sua ipotesi di una relazione intrinseca tra coscienza e percezione (così come diverse altre sue osservazioni, alcune delle quali citate qui). Stando così le cose, è del tutto legittimo correggere il suo assunto sulla base dei successivi sviluppi di quella disciplina.

C’è qualcos’altro nel passo appena citato che richiede la nostra attenzione. Freud afferma che la coscienza consiste non solo in percezioni provenienti dal mondo esterno, ma anche in “sensazioni di piacere e dispiacere che possono sorgere solo dall’interno dell’apparato psichico” (corsivo aggiunto dall’Autore). È strano, quindi, che egli affermi allo stesso tempo che il sistema P-C “deve essere rivolto al mondo esterno” (corsivo aggiunto); ma è quello che dice.

Questo perché Freud adottò un altro presupposto dell’anatomia cerebrale, ossia che anche le sensazioni di piacere e di dispiacere vengono registrate nella coscienza solo quando raggiungono la corteccia superficiale. Ecco la sua dichiarazione più esplicita (e ultima) in tal senso:

“Il diventar cosciente è legato innanzitutto alle percezioni che i nostri organi di senso ricavano dal mondo esterno. Dal punto di vista topico, dunque, è un fenomeno che si verifica nello strato corticale più esterno dell’Io. Eppure noi otteniamo delle informazioni consce anche dall’interno del corpo, dai nostri sentimenti [Gefühle], i quali influenzano la nostra vita psichica più imperiosamente che non le percezioni esterne […] Giacché queste sensazioni [Empfindungen][1] (le chiamiamo così per distinguerle dalle percezioni coscienti) promanano anch’esse dagli organi terminali e noi le concepiamo tutte come prolungamenti e propaggini dello stato corticale, possiamo continuare a ritenere valida l’affermazione di prima. L’unica differenza sarebbe che per gli organi terminali delle sensazioni e dei sentimenti il corpo stesso farebbe le veci del mondo esterno” (1938, 588-589 – corsivo aggiunto).

L’ipotesi che i sentimenti siano registrati attraverso organi terminali enterocettivi che sono “prolungamenti o propaggini” della corteccia è molto discutibile. La prova più evidente contro questa ipotesi è il fatto che i bambini nati senza corteccia (una condizione chiamata idranencefalia) non solo sono coscienti – poiché il loro sistema cerebrale è conservato – ma sono anche sensibili alle emozioni. La Figura 1 mostra la scansione cerebrale di uno di questi bambini e la Figura 2 mostra la risposta di piacere quando il fratellino viene messo in grembo. Diverse altre linee di evidenza puntano alla stessa conclusione, ovvero che gli affetti non sono generati nella corteccia ma nel tronco encefalico. Ad esempio, la stimolazione elettrica dei nuclei reticolari profondi – ma non della corteccia – genera stati affettivi intensi (ad es., Blomstedt et al, 2008); l’imaging cerebrale funzionale di persone colpite da forti emozioni rivela che l’attività cerebrale correlata non è localizzata nella corteccia ma nel tronco encefalico e nelle sue vie ascendenti di eccitazione (Damasio et al, 2000); la manipolazione farmacologica dei sistemi neurotrasmettitoriali originati nel sistema reticolare attivante costituisce il pilastro della moderna terapia farmacologica psichiatrica (ad es., serotonina, dopamina, noradrenalina; Solms, 2021);[2] e così via.

 

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[1] Il termine tedesco Empfindungen è appena distinguibile dalla parola inglese “feelings”. I lettori dovrebbero tenerlo a mente ogni volta che la parola “sensazione” di Strachey appare nelle mie citazioni di Freud.

[2] Cfr. Freud (1938, 609): “Può darsi che in futuro qualcuno ci insegnerà come influenzare direttamente, con speciali sostanze chimiche, le quantità energetiche e la loro ripartizione nell’apparato psichico. E forse verranno alla luce altre potenzialità della terapia che adesso non possiamo neppure sospettare”. 

Figura 1 - Risonanza magnetica del cervello di un bambino idranencefalico, che mostra l'assenza di corteccia.
Figura 1 - Risonanza magnetica del cervello di un bambino idranencefalico, che mostra l'assenza di corteccia.
Figura 2 - Bambino idranencefalico che mostra una normale risposta emotiva.
Figura 2 - Bambino idranencefalico che mostra una normale risposta emotiva.

Tutto ciò dimostra che il sistema di attivazione reticolare non si limita ad “accendere le luci” in senso puramente quantitativo (come pensavano originariamente Moruzzi e Magoun, 1949), ma genera effettivamente qualità piacevoli e spiacevoli. Poiché sappiamo già che tutta la coscienza dipende dall’eccitazione del tronco encefalico, questa evidenza suggerisce che la forma fondamentale della coscienza è l’affetto (per una rassegna, si veda Panksepp, 1998; Merker, 2007; Damasio, 2010; Solms, 2021).

In questo contesto, è estremamente interessante che gli Autori appena citati sostengano che le sensazioni piacevoli e spiacevoli sono, per citare Freud (1915, 17-8) “una misura delle operazioni che vengono richieste alla sfera psichica in forza della connessione con quella corporea”. In altre parole, la sensazione è la manifestazione cosciente delle oscillazioni della domanda pulsionale:

“L’Es, tagliato fuori dal mondo esterno, ha un suo proprio mondo di percezione. Esso avverte con straordinaria acutezza certe alterazioni del suo proprio interno, particolarmente le oscillazioni delle tensioni dovute alle pulsioni[1] , che si fanno coscienti sotto forma di sensazioni nella serie piacere-dispiacere. Com’è naturale, è difficile indicare per quali vie e con l’aiuto di quali organi sensoriali terminali si effettuino tali percezioni. Una cosa però è certa: le autopercezioni (i sentimenti in genere e le sensazioni di piacere-dispiacere) governano con dispotica violenza i decorsi dell’Es. L’Es obbedisce all’inesorabile principio del piacere” (Freud, 1938, 625).

Ora, se la coscienza non ha origine nella corteccia (che Freud equiparava alla percezione e all’Io), ma piuttosto nel sistema reticolare attivante, e se quest’ultimo sistema è la fonte di quella che Freud chiamava energia pulsionale, allora dobbiamo concludere che l’Es (e non l’Io) è la sorgente della coscienza.

Lo stesso Freud ha considerato questa possibilità:

“Mentre il rapporto della percezione esterna con l’Io è del tutto chiaro, quello della percezione interna con lo stesso Io richiede una indagine particolare: esso fa sorgere nuovamente un dubbio sulla legittimità di ricondurre tutta la coscienza all’unico sistema superficiale P-C. La percezione interna fornisce sensazioni relative a processi appartenenti ai più svariati, e certamente anche ai più profondi strati dell’apparato psichico: di tali sensazioni si sa poco; la cosa migliore è ancora rifarsi al modello costituito dalla serie piacere-dispiacere. Queste sensazioni sono più primordiali, più elementari delle sensazioni provenienti dall’esterno, e possono prodursi anche in stati di coscienza crepuscolare. Mi sono occupato altrove della loro grandissima importanza economica e del loro fondamento metapsicologico. Sono sensazioni plurilocalizzate al modo stesso delle percezioni esterne, e possono provenire contemporaneamente da luoghi diversi, per cui le loro qualità possono essere diverse e persino fra loro opposte” (Freud, 1922, 484).

Quindi, la relazione delle sensazioni con l’Io ha fatto sorgere nella mente di Freud il comprensibile dubbio se avesse ragione a collegare tutta la coscienza con il sistema superficiale P Come risolse questo dubbio? Così ha proseguito:

“Le sensazioni con carattere di piacere non presentano in sé stesse nulla di propulsivo, mentre le sensazioni di dispiacere presentano questo elemento propulsivo in grado elevatissimo. Spingono al cambiamento, alla scarica; perciò interpretiamo il dispiacere come una accentuazione, il piacere come una riduzione dell’investimento energetico. Se ciò che diventa cosciente come piacere o dispiacere viene indicato come un “quid” quantitativo-qualitativo nel corso dell’accadere psichico, si presenta il problema se questo “quid” possa divenire cosciente là dove si trova, o se debba invece venir trasmesso fino al sistema P” (1922, 85).

Questa è proprio la domanda giusta. Come ha risposto Freud? Disse: “L’esperienza clinica decide per la seconda soluzione” (ibid.); cioè, che il “quid” (richiesta pulsionale) viene avvertito coscientemente solo dopo essere stato trasmesso al sistema P. Freud spiega che: “esso [il “quid“] può esercitare una forza motrice senza che l’Io si accorga della coazione” (ibid.). Quindi, il “quid” si comporta esattamente come la percezione esterna: diventa cosciente solo se l’Io vi presta attenzione. Ma Freud ha affermato in precedenza che la percezione è sempre cosciente. Questo non è coerente. Se la percezione e il “quid“, entrambi, possono talvolta influenzare l’Io senza che questo se ne accorga, allora una mancanza di attenzione da parte dell’Io non può essere usata come base per concludere che il “quid” (ma non la percezione) è inconscio “nel posto in cui si trova”.

Questo ci porta al cuore della questione: al problema innanzitutto che ha spinto Freud a rivedere il suo modello topografico. Ci porta al problema della difesa e al fatto che l’Io esercita le sue difese in modo inconsapevole.

Questo problema ci porta a un’altra contraddizione nel ragionamento di Freud. Egli ha affermato che la percezione è intrinsecamente cosciente, ma ha incluso tra i meccanismi di difesa dell’Io la scotomizzazione (e altri, tra cui il disconoscimento)[2] – un non “accorgersi” degli eventi percettivi esterni. Un modo per risolvere queste incongruenze e contraddizioni è concludere ciò che ho suggerito che Freud avrebbe dovuto concludere: se non esiste una relazione speciale tra l’Io e la coscienza, allora forse l’Io è inconscio e deriva la sua coscienza da qualche altro sistema mentale. Questa conclusione sarebbe più coerente con i fatti neuroscientifici che abbiamo appena esaminato. La corteccia, con la sua funzione percettiva (e le sue funzioni attentive e difensive, tutte assegnate da Freud all’Io), è intrinsecamente inconscia e deriva la sua coscienza dal sistema reticolare attivante, con la sua funzione pulsionale (che può essere assegnata solo all’Es). Poiché la pulsione e la coscienza affettiva diventano una e la stessa cosa,[3] siamo costretti a concludere che il “quid” di Freud è sentito coscientemente “nel posto in cui si trova”.

Ne deriva la seguente semplice formulazione: l’Io inconscio, con le sue funzioni difensive, cerca di ottenere il controllo della coscienza affettiva. Questo obiettivo dell’Io può essere raggiunto in vari modi. All’estremo teorico, l’Io può convertire interamente la coscienza affettiva in coscienza cognitiva. Questo coincide con il caso fittizio del signor Spock, in cui la spinta (affettiva) – o la “richiesta di lavoro fatta alla mente” – esercitata dall’Es sull’Io produce un lavoro (cognitivo) perfettamente efficiente. All’estremo opposto, l’Io può fallire completamente nel raggiungere questo obiettivo, nel qual caso sarà sopraffatto dagli affetti e reso cognitivamente incapace. A un altro estremo ancora, l’Io può escludere completamente la coscienza affettiva dal suo ambito (cognitivo). In questo modo l’Es genera affetti negativi di cui l’Io non è a conoscenza; una situazione abbastanza comune, come ogni psicoanalista potrà testimoniare.[4]

La formulazione da me proposta è coerente con quanto affermato da Freud a proposito delle sensazioni che diventano coscienti direttamente. Le idee inconsce, invece, diventano coscienti solo indirettamente, cioè solo quando sono collegate a rappresentazioni verbali della P. “Ciò non vale per le sensazioni (interne), le quali si trasmettono direttamente. In altre parole, la distinzione tra C e Prec non ha alcun significato quando si tratta di sentimenti; il Prec qui manca”. (ibid.,491). Ciò significa che quanto si frappone tra la domanda pulsionale e il cosiddetto sistema P-C. è soltanto l’Io Inc; cioè i meccanismi di difesa.

Tutte le varietà comuni di difesa possono essere collocate tra gli estremi teorici che ho appena descritto. Mi concentrerò ora su una di esse, la sublimazione, ma prima devo discutere un’ulteriore contraddizione nella teoria strutturale di Freud.

Questa contraddizione è contenuta in due frasi che ho già citato:

“Una cosa però è certa: le autopercezioni (i sentimenti in genere e le sensazioni di piacere-dispiacere) governano con dispotica violenza i decorsi dell’Es. L’Es ubbidisce all’inesorabile principio di piacere” (Freud, 1938, 625, corsivo aggiunto).

Anche ne L’Io e l’Es, Freud (1922) parla del “principio di piacere che nell’Es esercita un dominio incontrastato” (489, corsivo mio). Come può il principio di piacere regnare nell’Es se è inconscio? Che senso hanno il piacere e il dispiacere se non li si sente? Sicuramente il principio di piacere regola la coscienza affettiva. Ecco perché Freud dice che l’Es è “guidato dal principio di piacere, vale a dire dalla percezione di dispiacere” (ibid., 509, corsivo mio). Se intendesse dire che i sentimenti diventano coscienti solo quando raggiungono la corteccia (il sistema P, il nucleo dell’Io), allora il principio di piacere dovrebbe esercitare un’influenza dall’alto verso il basso sull’Es. Questo non ha senso. Il principio di realtà esercita un’influenza dall’alto verso il basso; il principio di piacere esercita un’influenza dal basso verso l’alto, dall’Es all’Io.

 È notevole che questa contraddizione logica nel modello strutturale non sia stata notata prima; è diventata evidente solo quando sono stati rivelati gli errori empirici riassunti sopra (Solms, 2013).

Contro questa idea di base, è interessante notare che Freud ha fatto molte altre affermazioni in L’Io e l’Es che implicano, allo stesso modo, che la domanda pulsionale deve essere sentita direttamente. Ecco alcuni esempi rappresentativi. Quando introdusse per la prima volta la nozione di “quid“, a p. 485, scrisse: “Chiamiamo “quid” quantitativo e qualitativo ciò che diventa cosciente come piacere e dispiacere nel corso degli eventi mentali” (corsivo aggiunto). Come può qualcosa di inconscio essere qualitativo? Dall’inizio alla fine degli scritti di Freud (cioè dal 1886 al 1938), egli ha usato il termine “qualità” per indicare la caratteristica più essenziale della coscienza (come fanno ancora i filosofi; cfr. “qualia“).[5] Nella stessa pagina, Freud afferma che questo “quid” equivale a “sentimenti inconsci”. È costretto ad aggiungere subito che questa frase è in realtà “condensata e non del tutto corretta”. Questo perché, ancora una volta, dall’inizio alla fine dei suoi scritti, Freud ha sempre insistito sul fatto che i sentimenti devono essere coscienti. Ecco solo un esempio:

 “Fa certamente parte della natura di un sentimento il fatto che esso sia avvertito, e quindi noto alla coscienza. La possibilità di uno stato inconscio sarebbe dunque completamente esclusa per i sentimenti, le sensazioni (interiori), gli affetti” (Freud, 1915, 60, corsivo mio).

La nozione di “sentimenti inconsci” deve quindi essere completamente esclusa. La nozione diventa coerente solo se viene ampliata fino a significare “cognitivamente inconscio ma affettivamente consapevole”. In altre parole, l’espressione “sentimenti inconsci” denota propriamente la situazione che ho descritto sopra, in cui l’Io respinge difensivamente le richieste dell’Es (cioè gli affetti). Appena due anni dopo, Freud (1924) ammise che “dovremmo abbandonare l’espressione ‘inconscio senso di colpa’, che è comunque psicologicamente scorretta, e parlare invece di ‘bisogno di punizione’” (12). Quest’ultimo bisogno è ovviamente sentito; ciò che è inconscio è la conoscenza della sua origine.

In modo simile, Freud ci dice in L’Io e l’Es che “gli investimenti oggettuali provengono dall’Es, il quale avverte gli impulsi erotici come bisogni” (492, corsivo dell’Autore). Ciò che rende erotiche le tendenze erotiche è il fatto che si sentano tali, ovviamente. Ciò è coerente con la precedente osservazione di Freud secondo cui la domanda pulsionale (cioè il “quid“) possiede caratteristiche sia quantitative che qualitative. Il fatto che le tendenze erotiche provengano dall’Es deve essere letto anche in relazione alla seguente affermazione:

“La percezione ha per l’Io la funzione che nell’Es spetta alla pulsione. Per l’Io, la percezione svolge il ruolo che nell’Es spetta alla pulsione. L’Io rappresenta ciò che può dirsi ragione e ponderatezza, in opposizione all’Es che è la sede delle passioni. […] L’Io può essere paragonato, nel suo rapporto con l’Es, al cavaliere che deve domare la prepotente forza del cavallo, con la differenza che il cavaliere cerca di farlo con mezzi propri, mentre l’Io lo fa con mezzi presi a prestito” (ibid., 488, corsivo aggiunto).

Più avanti – sempre riferendosi alle scelte erotiche oggettuali dell’Es – Freud afferma che l’Io ottiene il controllo su di esse “sia pure al prezzo di mostrarsi assai arrendevole nei confronti delle esperienze dell’Es stesso” (ibid., 492).

Questo ci porta, infine, alla questione della sublimazione. Freud scrive: “Il problema della qualità degli impulsi pulsionali e della loro persistenza nelle varie vicissitudini è ancora molto oscuro e a tutt’oggi non è stato preso in considerazione quasi affatto” (ibid., 506 corsivo mio). Una di queste vicissitudini, continua, è una desessualizzazione della pulsione libidica, che diventa quindi un’ “energia neutra e dislocabile” (ibid., corsivo dell’Autore). Questo può solo significare che ha perso la sua qualità erotica.       Continua: questa energia spostabile è la libido desessualizzata, essa può anche essere definita energia sublimata; essa si atterrebbe infatti fermamente a quello che è il fine principale dell’Eros […] Se includiamo in questi spostamenti anche i processi di pensiero, intesi nel loro più ampio significato, pure il lavoro intellettuale risulterebbe sostenuto dalla sublimazione di di forze motrici erotiche [Triebkraft]”[6] (507).

Questo è un modello esemplare del processo che ho formulato in precedenza su come l’Io inconscio, attraverso la sua funzione difensiva, ottenga il controllo sulla coscienza affettiva. È così che la richiesta pulsionale di lavoro esercitata dall’Es produce un lavoro efficiente da parte dell’Io. La sublimazione, sostengo, è il mezzo attraverso il quale la forma primaria, affettiva, della coscienza viene convertita dall’Io nella forma secondaria, cognitiva.

Ci sarebbe molto altro da dire su come la domanda pulsionale si trasforma in percezione cosciente (cfr. Solms, 2021). Allo stesso modo, considerando quanto Freud ha detto sul tema dell’allucinazione in L’Io e l’Es, purtroppo non ho spazio per descrivere come la percezione sia intesa nelle moderne neuroscienze come “allucinazione controllata” ( Hohwy, 2013; Clark, 2015): la percezione comporta la proiezione verso l’esterno, sulla realtà esterna, di “previsioni” (quelle che Freud chiamava “desideri”) che sono secondariamente limitate dagli “errori di previsione” in arrivo (quelli che Freud chiamava “test di realtà”).

Comunque sia, devo utilizzare lo spazio rimanente per fare alcune osservazioni sintetiche sul rapporto tra l’Es e l’Inc.

Non voglio che la mia affermazione che l’Es è cosciente – che è la fonte primaria della coscienza, la sorgente dell’essere senziente – sia letta come un diniego dell’esistenza (e dell’importanza) dell’Inc. Sto affermando solo che non sono la stessa cosa.

L’Es è un sistema pulsionale, ma l’Inc è fondamentalmente un sistema di memoria (cosa che un’occhiata ai diagrammi del capitolo 7 de L’interpretazione dei sogni basta a dimostrare). Il primo sistema investe il secondo. Quindi, non possono essere la stessa cosa. Come disse Freud (1894) all’inizio della sua metapsicologia: “Un ammontare affettivo […] si propaga sulle tracce mnestiche delle rappresentazioni quasi [come] una carica elettrica sulle superfici dei corpi (134). Strachey ha definito questa distinzione (tra ammontare affettivo e tracce mnestiche delle idee) l’ipotesi “fondamentale” di Freud.

Ciò che distingue l’Inc non è il fatto che si tratti di un serbatoio di affetti – ciò che Freud in seguito chiamò energia pulsionale, o libido (in L’Io e l’Es ha identificato l’Es come questo “serbatoio”). Piuttosto, ciò che distingue i sistemi di memoria Inc e Pcs è il fatto che le energie pulsionali che li investono si comportino in modo diverso nei due sistemi: gli investimenti Inc sono “liberamente mobili”, mentre gli investimenti Pcs sono “vincolati”. Questo, a sua volta, sottende la distinzione tra processi primari e secondari. Ripeto: l’energia che produce queste due modalità di investimento non proviene dai sistemi di memoria in sé, ma piuttosto dalle richieste che vengono fatte loro in conseguenza della connessione della mente con il corpo.

Quello che propongo qui è semplicemente che le richieste pulsionali nascono dall’esterno dell’Inc e del Pcs, entrambi – che provengono dall’Es. La pulsione richiede all’Io di svolgere il lavoro necessario per soddisfare i bisogni dell’organismo, cosa che può fare solo attingendo a precedenti “esperienze di soddisfazione” (che gradualmente integrano e aumentano quelle che Freud chiamava memorie “ereditate”, che sono propriamente descritte come “istinti”, in contrapposizione alle “pulsioni”). In breve, i sistemi di memoria dell’Io derivano dall’apprendere dall’esperienza.

Ma, come mostra il titolo della recensione di Kihlstrom (citata sopra), l’apprendimento può avvenire sia con che senza “consapevolezza di ciò che si apprende”. Il sistema Inc di Freud coincide, quindi, con quello che gli scienziati cognitivi chiamano oggi sistema di memoria “non dichiarativo”, mentre il Pcs coincide con quello che oggi viene chiamato sistema di memoria “dichiarativo”. Il sistema non dichiarativo (che, come il processo primario di Freud, funziona in modo automatico, stereotipato e rapido) è principalmente sottocorticale,[7] mentre il sistema dichiarativo (che, come il processo secondario, funziona in modo volontario, flessibile e “tiene a mente” le cose) è corticale. La cosa più importante da notare è che nessuno di questi sistemi è localizzato nel tronco encefalico (e nelle strutture correlate) che costituiscono il substrato anatomico delle pulsioni.

I lettori che desiderano saperne di più su questi sistemi di memoria e su ciò che le neuroscienze contemporanee ci insegnano al riguardo, possono consultare proficuamente Solms (2018). Lì sostengo, proprio come Freud in L’Io e l’Es, che “l’Inc [non dichiarativo] non coincide con il rimosso; è ancora vero che tutto ciò che è rimosso è Inc ma non tutto ciò che è Inc è rimosso. Anche una parte dell’Io – e il Cielo sa quanto importante – […] è indubbiamente Inc” (18). Gli psicoanalisti interessati a far progredire la nostra metapsicologia hanno molto da guadagnare informandosi loro stessi su ciò che si è appreso dopo Freud (1922) sulla distinzione tra l’Inc rimosso e quello non rimosso.

 

[Traduzione di Patrizia Montagner]                                

 

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[1] La traduzione di Strachey del termine Trieb di Freud come “istinto” è fuorviante. Di conseguenza, l’ho cambiato in “pulsione” in tutte le citazioni di Freud qui utilizzate. [N.d.T.: In O.S.F. figura “bisogni” e quindi nel riprendere il brano il termine è stato modificato in “pulsioni”.]

[2] Cfr. Freud (1923, 613): “Il delirio si è sovrapposto, come una specie di rammendo, laddove in origine si era prodotta una lacerazione nel rapporto dell’Io con il mondo esterno”.

[3] I bisogni corporei (il bisogno di idratarsi, di dormire, di urinare, di respirare, ecc.) lo dimostrano. Sono sempre presenti, ma diventano pulsioni (richiedono alla mente di lavorare) solo quando li sentiamo.

[4] Qui riconosciamo l’ossimoro “sentimenti inconsci”.

[5] Cfr. Freud (1950a [1895], 308): “La coscienza ci dà quelle che vengono chiamate qualità – sensazioni che sono diverse in una grande molteplicità di modi”.

[6] Tradotto da Strachey come “forze motrici”.

[7] Si trova principalmente nei gangli basali, nell’amigdala e nel cervelletto.

Bibliografia

Blomstedt P., Hariz M., Lees A. et al. (2008). Acute severe depression induced by intraoperative stimulation of the substantia nigra: a case report. Parkinsonism and Related Disorders, 14: 253–6.

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Mark Solms, Cape Town (SA)

SAPI, BPS, APA

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