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Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana

 

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Nota introduttiva

di Maria Ceolin

(Padova), Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana, Segretaria Scientifica del Centro Veneto di Psicoanalisi.

Questo KnotGarden raccoglie i lavori presentati al 12° Colloquio di Venezia, promosso dal Centro Veneto di Psicoanalisi, che ha avuto luogo presso l’Ateneo Veneto l’8 e 9 ottobre 2023.

 

Primo Colloquio dopo la Pandemia, la scelta del tema, ’Diniego, illusione, speranza’ non poteva non collocarsi nell’onda lunga di quanto di inusuale, spaventoso, totalizzante avevamo vissuto, per il desiderio di riflettere ancora su quanto si era messo in atto di fronte ad un reale che, in una dimensione di globalizzazione drammatica, aveva sommerso gli esseri umani dell’intero pianeta in un’atmosfera senza scampo, senza via di fuga.

Persi all’improvviso i contesti sociali depositari della stabilità dell’Io, i luoghi, i tempi, le abitudini quotidiane, perse le relazioni di prossimità con l’altro la cui vicinanza era diventata il pericolo maggiore, un pericolo potenzialmente mortale, la pandemia ha rappresentato un allarme difficile da mettere da parte,[1] e rappresenta ancor oggi una trama in cui appaiono con evidenza le fragilità del nostro funzionamento, e la fragilità su cui poggia il lavoro di cultura e di civilizzazione. Per questo può offrire e chiedere ulteriori esercizi di pensiero.

 

Gli iniziali sentimenti di solidarietà, la ricerca di condivisione – ‘andrà tutto bene’…‘insieme ce la faremo’ – al cui interno la salvezza dell’uno corrispondeva a quella dell’altro, si sono presto trasformati nell’incredibile individualistico far-west della corsa ai vaccini in cui la preoccupazione per la propria salvezza contrastava quella per i più deboli, gli anziani, i maggiormente esposti per condizioni di lavoro, o, all’opposto, nelle teorie complottiste di chi li considerava certamente inutili o nocivi e, negando l’esistenza del virus, manifestava una insofferenza individualistica verso le restrizioni generalizzate prescritte dai governi, ai quali si imputava l’invenzione[2] di un ‘terrore sanitario’, di uno stato d’eccezione che imponeva l’arbitraria sospensione del diritto, denegando che di stato d’eccezione si trattava davvero.

 

Credo sia opportuno interrogarsi su quanto non solo l’eccessivo carico d’angoscia, ma forse anche la risposta ipertecnologica alle criticità sociali (se pur utile, pericolosamente estraniante) che, in tempo di covid ha permesso di mantenere la comunicazione, abbia contribuito a provocare uno scivolamento dello ‘spazio transoggettivo’ della soggettività verso sistemi difensivi poco autoconservativi. La trasmissione reticolare e orizzontale delle nuove tecnologie produce, infatti, ‘camere d’eco’, bolle di comunicazione, che catturano i singoli individui nei legami emotivi scarsamente critici della ‘psicologia delle masse’.

 

Da allora, mi pare, in ogni grande questione che riguarda il nostro tempo, in ogni drammatico evento come le guerre in corso, assistiamo alla immediata radicalizzazione di opposti schieramenti, ad una polarizzazione tossica (Blass, 2023) che porta con sé la perdita di compassione per la sofferenza di ogni vittima perché evita di vedere e sentire ciò che accade nell’altro, di vedere e sentire l’altro come simile, in una tendenza a considerare falso tutto ciò che non rientra nella propria posizione, per eludere ogni conflitto interiore, ogni pensiero che, nelle contraddizioni della complessità, metta a rischio di entrare in collisione con se stessi.

 

Rifiutando di riconoscere e ammettere la realtà di una percezione che appare intollerabile, è dalla realtà esterna che il diniego si difende, permettendo quel gioco illusionale che sostiene il narcisismo e preserva dall’angoscia. Angoscia di castrazione ma anche della morte che, nello scritto sul Feticismo, Freud avvicina nel racconto di due giovani pazienti che, scindendo la loro vita psichica, si rendevano conto della morte del padre ma anche no (1924, 495).[3]

Ma se la negazione è una strada tortuosa che permette a una verità rimossa di affiorare negandola, il diniego è una difesa prepotente che, mentre ci concede di vedere ciò che vogliamo e rigettare il resto, scinde e amputa l’Io, influenza la nostra capacità di giudizio, la sincerità e la profondità della nostra relazione con noi stessi e con il mondo.

Ci interroga su verità e menzogna, sullo spessore ‘umano’ dell’umanità e sui modi del suo impoverimento.

Laplanche e Pontalis si chiedono se ‘il diniego che ha conseguenze così evidenti nella realtà, anziché un ipotetico ‘fatto percettivo’, non riguardi un elemento fondatore della realtà umana’ (1981, 125). E il rigetto (Verwerfung) possa avere a che fare con “un ritiro del significato, un rifiuto di attribuire un senso al percepito” (ibidem, 395).

 

Quanta verità può sopportare, quanta verità può osare un uomo? questa è diventata la mia vera unità di misura, sempre più. L’errore (- la fede nell’ideale -) non è cecità, l’errore è viltà Ogni risultato, ogni passo avanti nella conoscenza è una conseguenza del coraggio, della durezza con se stessi, della pulizia con se stessi… “ (Nietzsche, 1992, 12-13).

 

Freud mitiga la ‘durezza’ severa di Nietzsche, richiamando “l’esistenza del mondo della fantasia, un regno che a suo tempo, quando fu instaurato il principio di realtà, fu separato dal mondo esterno reale […] come una sorta di ‘territorio protetto’ non inaccessibile all’Io ma ad esso legato in modo labile” (1924, 43).

‘Territorio protetto’ che apre la strada a quell’area intermedia fra processo primario e secondario, area di gioco illusorio che struttura la creatività tramite il ‘credere senza riserve a ciò che si desidera’ (Russo, 2006, 235) a cui, in seguito, Marion Milner e Winnicott assegneranno un grandissimo valore.

Pur riaffermando ne L’avvenire di un illusione (1927) il valore della verità e delle conquiste della ragione, Freud distingue l’illusione come sistema cristallizzato di credenze da un’illusione soggettiva che solo momentaneamente sospende il riconoscimento della realtà.

Dalle illusioni si entra e si esce, non sono necessariamente false credenze, ciò che le caratterizza è la motivazione ad appagare i desideri (461), bisogna quindi ‘essere pronti a rinunciare a una parte notevole dei nostri desideri infantili, per riuscire a tollerare che alcune nostre aspettative si rivelino illusorie’ (483).

 

Così scrive Pontalis: “questi brandelli di corda caduti da un peschereccio, raffigurano ciò che si deposita nella mia memoria: -dei piccoli resti- quanto sono preziosi per me! – che saranno presto sommersi dall’alta marea, ma che riappariranno, questi o altri, quando il mare di nuovo si ritirerà…” (2023, 75).

Come il movimento di va e vieni delle onde del mare che porta alla spiaggia tracce, resti di vita per poi lasciarli al mare, e riportarli, e ancora, e ancora, l’avvicendarsi di illusioni e delusioni, smussando i dicotomici confini di troppo rigide separazioni, sostiene la fiducia nelle perdite e i ritorni.

 

E la speranza? Non sempre è considerata una virtù.

Il mondo classico, di cui contrastava gli ideali di saggia fermezza, la raffigura prevalentemente come un ingannevole dono, una vana, vuota e fatua illusione.

Il cristianesimo, invece, legandola alla fiducia nei confronti di qualcosa che non è ancora ma che con assoluta certezza sarà, ne fa un atto di fede: “ebbe fede sperando contro ogni speranza” scrisse San Paolo di Abramo. E in Filone Alessandrino essa diviene una definizione dell’umano: “l’uomo per eccellenza è colui che spera”.

All’opposto Michaelstadter imputa alla speranza la colpa di disertare la vita nell’attesa di qualcosa che deve sempre venire e non è mai, essa porta con sé il sacrificio del presente.

Mentre Ernst Bloch, ne Il principio speranza (2019), tentando di coniugare cristianesimo e marxismo, la considera all’interno di un ottimismo militante che vede speranza e utopia elementi essenziali dell’agire e del pensare umano, concrete forze nell’impegno di costruire la realtà.

Al suo sguardo diretto al futuro, giustificato dal fatto che la verità più profonda dell’essere è il non-essere-ancora, Bloch stesso inserisce un’importante alternativa che concepisce la speranza come immersione nel presente: dobbiamo dirigere il faro della speranza su ogni attimo della nostra vita, altrimenti la sua luce si perde nella notte del futuro…

Per Bloch, scrive Magris, “la speranza non nasce da una visione rassicurante del mondo bensì dalla lacerazione dell’esistenza umana che crea una insopprimibile necessità di riscatto, una ‘fame’ di giustizia, di libertà, di dignità, anche di felicità” (2019).

 

La speranza può allora essere pensata come ciò che anche in situazioni di estrema difficoltà ci dà la capacità di resistere, di preservare quella spinta alla vita che custodisce la nostra umanità, che fa vincere Eros. E può essere ancora il passato, di nuovo le tracce, così rilevanti nel pensiero psicoanalitico, ad assumere il compito di mantenerla in vita.

 

Come ci mostra Silvia Amati Sas (1994), la tendenza all’alienazione e all’adattamento riguarda ogni essere umano poiché, nelle situazioni di estremo pericolo, una tendenza universale del funzionamento psichico sarà regredire a posizioni ambigue, pre-conflittuali,[4] conformarsi al contesto per mantenere la continuità, fino ad “adattarsi a qualsiasi cosa”, a qualunque forma di violenza, rendendola ovvia, familiare, addirittura rassicurante.

Occupandosi in modo pionieristico della cura psicoanalitica di persone provenienti dai Paesi latino-americani vittime di violenza di Stato, ha potuto scoprire come il nodo di “resistenza” alla distruzione psichica durante le torture fosse collegato al fare appello alle tracce di una relazione nel proprio mondo interno, alla preoccupazione per qualcuno di caro da proteggere (i propri figli, un compagno in clandestinità…).

Ha dato così forma all’immagine dell’oggetto da salvare, un oggetto creato e custodito dentro di sé che, rievocando al proprio interno la relazione di aiuto sperimentata all’inizio della vita, rappresenta una relazione interna di fiducia dove non c’è né abbandono né tradimento, che permette all’Io di resistere, di preservare la ‘fede’ e la possibilità di salvare la vita psichica.

 

In diverso modo anche Marion Milner evoca l’‘eterno ritorno’ della circolarità del bene, quando connette la capacità di ‘tenersi’ all’interiorizzazione di un buon oggetto che tiene.

“’Tenere delicatamente le proprie ossa’. Come una volta ci teneva nostra madre.

Ora è l’opposto, siamo noi a tenere […] le proprie ossa, madre natura, lo spirito della propria madre, tenuto delicatamente dentro, con indulgenza […] con gratitudine […]  

il corpo che lei accudiva così teneramente viene ora tenuto gentilmente in ricompensa per le sue cure” (1987, 116).

 

 

 

[1] Più facile sembra essere, invece, – per ora – denegare altri pericoli incombenti, ad esempio l’emergenza climatica rispetto alla quale permane la diffusa illusione che sia possibile affrontarla senza mutare radicalmente, il paradigma tecnocratico, come rivela l’ingenua (o mistificatoria) formula ossimorica: ’sviluppo sostenibile’.

[2] Giorgio Agamben scrive in L’invenzione di un’epidemia: “Di fronte alle frenetiche, irrazionali e del tutto immotivate misure di emergenza per una supposta epidemia dovuta al virus corona…” (2020).

[3] In un altro scritto Freud riporta le parole di un bambino: si, lo so che il babbo è morto ma non capisco perché non possa cenare con noi.

 

 

 

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[4] Nei termini di Bleger le funzioni di discriminazione raggiunte dall’identità di integrazione ricedono il passo allo stato di non differenziazione che caratterizza l’identità di appartenenza (2010).

Bibliografia

Agamben G. (2020). L’invenzione di una epidemia. Quodlibet, 26-2-2020.

Amati Sas S. (2020). Ambiguità, conformismo e adattamento alla violenza sociale. Milano, Franco Angeli.

Blass. H. (2023). Behind the scenes of toxic polarization: consequences of a divided world. Autonomy, mortification and the loss of an anthropological universalism. I.P.A. Webinar 17-11-2023.

Bleger J. (1967). Simbiosi e ambiguità. Studio psicoanalitico. Roma, Armando, 2010.

Bloch E. (1954-1959). Il principio speranza, Milano, Mimesis, 2019.

Freud S. (1924). Feticismo. O.S.F. 10.

Freud S. (1927). L’avvenire di un’illusione. O.S.F. 10.

Laplanche J., Pontalis J.B. (1967). Enciclopedia della Psicoanalisi. Roma-Bari, Laterza, 1973.

Le Guen C. (2008). Dizionario Freudiano. Roma, Borla, 2013.

Magris C. (2019). La speranza che ci rende umani. Corriere della sera, 26 giugno 2019.

Michelstaedter C. (1910). La persuasione e la rettorica. Milano, Adelphi, 1982.

Milner M. (1987). L’alba dell’eternità. Un modo di tenere un diario. Roma, Borla, 1990.

Nietzsche F. (1888). Ecce homo. Come si diventa ciò che si è. Milano, Adelphi, 1992.

Pontalis J.B. (2013). Alta marea bassa marea. Roma, Alpes, 2013.

Russo L. (2006). Le illusioni del pensiero. Roma, Borla.

 

Maria Ceolin, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

mariaceolin81@mail.com 

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