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“Il mio e loro autismo. Itinerario tra le ombre e i colori dell’ultima frontiera” Donna Williams

Recensione di Marina Montagnini

Il mio e il loro autismo

Il mio e loro autismo. Itinerario tra le ombre e i colori dell’ultima frontiera”

Donna Williams

1998, Armando Editore

pagg. 304

Questa recensione è contenuta  nella raccolta  ragionata delle  Biografie autistiche

Donna, al suo terzo libro autobiografico, è molto vicina ad una esposizione chiara di cosa sia l’autismo.

La vera personalità autistica non è conscia ma aspira a diventarlo, perché si sente truffata e derubata  di un incontro consapevole e continuativo con il mondo esterno non-autistico. Nella maggioranza dei casi però nulla deve lasciar trapelare una identità significativamente coinvolta, perché in questo stato l’autistico viene travolto da un sovraccarico emotivo insostenibile.

Molti autistici, soprattutto quelli ad alto funzionamento, non arriveranno mai alla auto-consapevolezza perché si sono accontentati di una personalità di facciata, difensiva, che è stata presa per vera da loro stessi e dal mondo esterno. L’apporto di Donna nel chiarire questa profonda alienazione mi sembra impareggiabile.

Donna distingue tra la sua vera identità autistica e due “facciate” più o meno adattate e funzionali cui ha dato il nome di Willie e Karol: Willie, la facciata logica, impersonale, è capace di ottime prestazioni automatiche se attinge dal magazzino di informazioni incamerate preconsciamente. L’altra facciata è Karol, ben accetta al mondo esterno perché costruita su imitazione di quanto solitamente una persona dovrebbe pensare, sentire e comunicare per sembrare normale; Karol ricorda la personalità mimetica di tanti autistici.

Donna, nella sua vera identità autistica, è una Savant: produce poesie, libri, suona il piano e compone musica, dipinge e scolpisce: lo ha fatto per anni senza sapere come, con una competenza talentuosa di cui è la prima a stupirsi, ora che a 30 anni, quando è finalmente nata al mondo, ha potuto connettere le sue opere a sé stessa. E’ sposata con Paul, Asperger, che conosciamo bene perché è Jan, nei suoi libri precedenti. Si è laureata, dopo tanti studi disordinati, è esperta di autismo, è stata più volte intervistata alla TV e tiene conferenze sull’autismo in tutto il mondo, presentando talvolta le conferenze di Temple Grandin. Ha tenuto una conferenza anche in Italia.

E’ in forte polemica con tutti i presunti esperti “arroganti e ignoranti” che si avvicinano agli autistici come “un dentista che usi strumenti da giardinaggio” invece di strumenti appropriati.

Rifiuta decisamente la “teoria della mente” (Baron-Cohen,1995) e spiega perché sia impossibile somministrare un test agli autistici. Spesso gli autistici a basso rendimento sono nascostamente molto intelligenti e più vicini a sé stessi, alla propria vera identità autistica, di quanto non lo siano gli autistici ad alto rendimento, semplicemente più compiacenti e più falsi.

La questione principale di tutti gli autistici è il sovraccarico di informazioni, che ognuno regge secondo la sua specifica declinazione, attraverso una serie infinita di compensazioni diverse.

Il sovraccarico è originato da problemi neurologici centrali o periferici, quindi l’autismo è una malattia organica dovuta ad uno squilibrio tra gli stimoli in entrata e la capacità cerebrale di elaborarli. Non si tratta sempre di una ipersensibilità sensoriale periferica (come pensavo all’inizio della mia ricerca) perché è il sovraccarico stesso che talora innesca l’ipersensibilità, generando un circolo vizioso che porta alle scariche di emergenza o all’arresto o alle stereotipie calmanti.

Senza mezzi termini questo meccanismo distorto di ricezione porta a un assassinio dell’anima che  l’autistico vorrebbe ma non può rifiutare. Donna si riferisca ad una sorta di violazione di sé stessi che chiama “auto-abuso” e si esprime nelle crisi autolesionistiche involontarie e irrefrenabili.

Il neonato nasce dotato di capacità sensoriali ma manca del tutto di quell’innesco automatico alla interazione con il mondo esterno che porta a percepire le sensazioni come dotate di significatività personale. Perfino le sensazioni basilari come la fame o la sensazione di una vescica piena non hanno significato: a 30 anni Donna deve essere interrotta dal marito nelle sue attività, per accedere al bagno o sfamarsi.

Le capacità sensoriali portano ad un accumulo ininterrotto di sensazioni che porteranno ad una “sensorialità seriale” memorizzata in modo molto accurato (Mukhopadhyay, 2008), su cui l’autistico non ha controllo né accesso spontaneo e volontario, tranne quando l’accesso viene attivato dall’esterno o da cause accidentali (un ricordo, una parola dell’assistente…).

Il mondo esterno richiede  che le sensazioni siano significative, attivanti, motivanti, e tutto questo è impossibile per cui le pretese che non possono essere soddisfatte innescano il sovraccarico.

Il mondo esterno diventa un nemico pericoloso per la sopravvivenza e il sovraccarico distorce anche le sensazioni che arrivano in ritardo, al di fuori del contesto, frammentarie. L’autistico può elaborare a distanza di ore, mesi, anni, le percezioni pervenute in precedenza oppure coglie significativamente una parola sola di una intera frase o di un discorso; coglie con la visione periferica, che lo disturba di meno, un singolo dettaglio di un viso, un singolo suono, perché se raccogliesse un numero maggiore di informazioni andrebbe in sovraccarico. Per difendersi si chiude e si isola, perdendo in continuazione la possibilità di sviluppare le capacità comunicative e sociali che già gli mancano in partenza.

Se sottoposto ad un bombardamento di stimolazioni può acquisire in modo acquiescente delle capacità apparentemente più normali e adattate che però lo allontanano ancora di più dal suo vero Sè; per esempio, svilupperà delle personalità di facciata, dissociandosi. A volte anche queste “facciate” sono meglio di niente e gli permetteranno di sopravvivere, ma occorrerà in seguito un recupero della vera identità.

Il neonato autistico soffre fin dall’inizio di iperemotività e “ansia da esposizione”.

Le emozioni sono flussi di marea soverchianti che non sa da dove vengono né cosa siano. Ogni esposizione lo confronta con richieste incomprensibili, pericolose. L’impatto diretto con l’altro, fosse anche la madre più empatica, risulta impossibile e ne rifugge. Al massimo lo attraversa con lo sguardo, magari osa una veloce sbirciatina oppure dà una occhiata periferica mentre si dondola, gira su sè stesso, corre disordinatamente. Le stereotipie sempre ripetute possono essere l’ancoraggio alla prima azione con un minimo di significatività personale incontrata per caso: lasciar filare la sabbia tra le dita, trattare nello stesso modo biglie, bottoni, pile di carta.

Con il passare del tempo può tentare di selezionare un campo d’azione alla volta: cercare di mantenere il contatto significativo con sé stesso o con il mondo esterno. Se lui esiste scompare il mondo, se c’è il mondo scompare lui. Oppure seleziona una modalità alla volta: può sentire ma non capire il significato, può parlare ma non sapere cosa dice, può guardare ma non vedere… E’ come se in un grande magazzino funzionasse un solo reparto alla volta e l’accumulo di lavoro inevaso generasse una terribile confusione.

 

Il ruolo dell’inconscio

Freud in tutta la sua opera (Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, 1905; il Compendio di psicoanalisi, 1940) aveva notato che ciò che sorge direttamente dall’inconscio ha un marchio molto riconoscibile. Si tratta di produzioni psichiche compiute, che emergono belle e pronte, come fossero preconfezionate, in modo caratteristicamente talentuoso. E’ noto che molte scoperte degli scienziati appartengono a questa categoria, quando non sono addirittura frutto di sogni o stati di dormiveglia.

Gli autistici vivono immersi in uno stato di non consapevolezza conscia, nel preconscio forse, ma sono privi di quella memoria che oggi i neuroscienziati definirebbero “procedurale”. Donna scrive, parla, produce le sue creazioni, da sonnambula. Gli autistici sono in grado di accumulare informazioni inconsce senza sapere che lo stanno facendo e senza sapere come talvolta attingano a queste preziose biblioteche segrete (Fleischmann, 2012; Sellin, 1993). In questo assomigliano o sono addirittura dei Savant (Robison, 2011).

La incredibile prerogativa di Donna Williams è la ricerca, condotta per anni con tenacia, di agganciare i talenti al settore conscio, assumendoli come propri, autoconsapevoli, identitari.

In questa ricerca ai limiti del possibile sfida il sovraccarico sensoriale ed emotivo, tipico di ogni forma dell’autismo.

All’inizio del libro Donna fa un esperimento mentale, immaginando di essere nella classe di una scuola per bambini autistici; si immerge nella specifica identità di ciascuno di loro e ci spiega, dall’interno, i loro problemi e travagli, per ragioni di spazio riporto solo un caso a titolo di esempio:

 

Jenny: un caso di “problemi percettivi”

“Jenny si rifiuta di guardare le persone perché, pur vedendole interamente può elaborare visivamente il significato di un pezzo di loro per volta e formarsene una immagine mentale dai pezzetti di ciò che ha visto, anziché immagini mentali complete. Il ‘vedere a pezzetti’ significa anche … che cose, un tempo familiari, sono invece notevolmente sconosciute se piccole componenti vengono cambiate… Questi problemi percettivi si traducono per Jenny nel trovare privi di significato o allarmanti le espressioni del viso o il linguaggio del corpo così che generalmente non si fida delle persone e non mostra molto interesse in loro come persone… Non sa dire dove viene toccata o che cosa sente”, chi la tocca e perché, per cui “evita la confusione dell’esperienza sociale del contatto corporeo. Benché possa sentire bene i suoni, non può trarre un significato coerente dalle parole o dall’intonazione; evita quindi di ascoltare le persone quando parlano, a meno che gli schemi non siano sensorialmente eccitanti. … Talvolta usa frasi che ha sentito in determinate situazioni, pensando che portino sempre alle stesse conseguenze, ma usandole spesso scorrettamente, fuori dal loro contesto. In questo modo ha imparato ad usare molte frasi significative, ma avendole imparate all’interno della situazione in cui le ha udite per la prima volta, invece che attraverso l’elaborazione delle parole per il loro significato, le pronuncia con la stessa intonazione ed enfasi di allora. Gioca con le sue sensazioni per tenersi occupata… si spinge in dentro gli occhi, accende e spegne la luce, gioca col controllo del volume della TV… si picchietta e picchietta altre cose e qualche volta le colpisce con maggior forza o fa scorrere costantemente le mani o le guance su varie superfici o tocca vari oggetti con la bocca o con le braccia, nel tentativo di associare un qualche significato a ciò con cui è in contatto.” Se entra in bagno non riesce ad interpretare velocemente la differenza tra tazza, vasca e lavandino e può scambiarne l’uso; il rotolo di carta igienica e l’asciugamano bianco pongono lo stesso dilemma (Ibidem 44-46).

 

Il ruolo degli psicoanalisti

Donna parla piuttosto di “assistenti” o “facilitanti” in grado di capire profondamente l’autistico e di aiutarlo a creare dei “ponti”, che lo aiutino gradualmente a passare dalla mancanza di auto-consapevolezza ad una riappropriazione del proprio vero Sé e di sostituire gradualmente una “comunicazione indiretta” con l’interlocutore ad una “comunicazione diretta”.

Sono convinta che molti bravi colleghi, esperti nel trattamento dei bambini, adottino d’istinto un approccio molto delicato, assumendo nel trattamento quella condotta ‘sonnambulica’ che è tipica del loro piccolo paziente, in modo da non sovraccaricarlo di significatività, coinvolgimento, attese, aspettative, che non può sopportare. Aspettano che sia l’autistico ad avviare l’iniziativa e si pongono nella sua scia, aggiungendo con molto tatto, quel poco di significatività che il bimbo è in grado di tollerare senza cadere in sovraccarico. Sono inclini ad evitare le interpretazioni se non in una fase molto avanzata del trattamento. Spesso sostituiscono l’impatto diretto usando degli intermediari come bambole e burattini, usano filastrocche e canzoncine o si avvalgono di arte, musica e movimento.

Nel caso si verificasse un sovraccarico sanno anche come gestirlo con cautela e fermezza per riuscire a contenerlo ed evitare l’autolesionismo, il cosiddetto auto-abuso.

Donna non sembra affatto contraria all’aiuto da parte di una persona esperta di autismo perché: “avere un assistente che picchietta o fa dondolare la persona in modo attendibile, continuo, calmo, non invasivo, impersonale e ritmico, può essere sufficiente perché qualcuno vi lasci fare questo importante lavoro di rilassamento al posto suo, restando libero di interagire e comunicare e apprendere in modo più ampio” (Williams, 2004, 188). Più l’assistente è “impersonale” e “formale”, più è facile sopportarne l’ascolto (Ibidem, 205). Nel ruolo di assistente Donna dà un buon esempio di come interagire terapeuticamente con un autistico nel caso di Robbie e in altri casi raccontati nelle sue autobiografie precedenti (Williams, 1994, 1999): non porge a Robbie gli oggetti ma li lascia alla sua portata, senza intenzione, e solo allora Robbie “osa” prenderli. Nel rapporto con Jan, racconta come ognuno dei due ‘conversasse’ parlando a sé stesso in lunghi soliloqui, evitando la consapevolezza dell’altro per conservare quella di sé stessi, e il loro abbraccio si limitava ad un reciproco appoggio del tronco, braccia penzoloni. La lettura della loro storia d’amore è appassionante, commovente e straziante perché “la consapevolezza conscia e continuativa è un lusso che il sovraccarico non può permettere” (Williams, 2004). Questa terza autobiografia è più serrata e logica delle due precedenti, sognanti e talora incomprensibili, e nell’insieme tracciano un percorso davvero coraggioso per riprendere il dialogo autentico con sé stessa e con gli altri, abbandonando gli automatismi preconsci. Donna distingue in sé il lato sensorio, iperconnesso e confuso con molteplici fonti sensoriali (Mukhopadhyay, 2008); il lato logico, attratto dagli schemi e dalle ricorrenze invariabili ipersistemizzate (Baron Cohen 2009; 2020) (Grandin 1995, 1996, 2005, 2013); infine il lato involontariamente reattivo, mimetico.

Emersero poi i talenti Savant: poesie e musiche e pitture si componevano da sole, a sua insaputa; anzi, si sarebbe bloccata se ne avesse avuto auto-consapevolezza, come Tammet per quanto attiene il suo genio matematico (Tammet, 2006).

Ma per tutta la vita Donna si è battuta per raggiungere sé stessa, finché ci è riuscita:

“A 25 anni arrivai a Londra e comprai una macchina da scrivere. Le parole cominciarono a riversarsi da me, raccontando la storia della mia vita. Parole e frasi battute a macchina, come fantasmi tormentosi, attivavano memorie quando atterravano sul foglio ed io rivivevo la mia vita con affetto e significatività che non avevo mai sperimentato in modo così completo… quando accadde, mi fu consegnata la proprietà della mia stessa vita, perché non sapevo solo teoricamente chi fossi e chi fossi stata, ma riuscivo anche a sentirlo” (Williams, 2004, 230, corsivo nel testo). Così Donna ha vinto la sua battaglia per conquistare sé stessa e ha aperto la strada anche agli altri suoi compagni di avventura. Noi psicoanalisti possiamo trarre una comprensione approfondita dell’autismo e, se accettiamo il messaggio con una certa umiltà, possiamo capire cosa l’autistico desidererebbe ottenere dal nostro trattamento.

Se è proprio l’autoconsapevolezza del proprio Sé che fa del neonato un essere sociale e comunicativo, come sostiene Stern (1985), e l’autistico non arriva mai ad una piena autoconsapevolezza, e di conseguenza non raggiunge il Sé personale e umano dell’altro, raggiungere l’autocoscienza sarà il nostro e il loro obbiettivo, come dice Donna.

Donna Williams

Bibliografia

Baron-Cohen S. (1995). L’autismo e la lettura della mente. Casa Editrice L’Astrolabio Roma, 1997.

Baron-Cohen S. et al. (2009). Talent in autism: hypersistemizing, hyperattention to detail and sensory hypersensitivity Philosofical transaction: biological sciences  364, 1377-1383.

Baron-Cohen S. (2020). I geni della creatività. Come l’autismo guida l’invenzione umana. Raffaello Cortina Editore Milano, 2021.

Fleischmann A. & C (2012). La voce di Carly. Milano: Mondadori, 2013.

Freud S. (1905). Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio. O.S.F., 5.

Freud S. (1940). Compendio di psicoanalisi. O.S.F., 11.

Grandin T. (1995). Pensare in immagini. Trento: Edizioni Erikson, 2011.

Grandin T. (1996). My experiences with Visual Thinking. Sensory Problems and Communications Difficulties. Web page Article from the Center for the Study of Autism.

Grandin T. (2005). La macchina degli abbracci. Parlare con gli animali. Milano. Adelphi. 2007.

Grandin T. (2013). Il cervello autistico. Milano: Adelphi, 2014.

Mukhopadhyay R. T. (2008). How can I talk if my lips don’t move? Inside my autistic mind. New York: Arcade Publishing, 2011.

Sellin B. (1993). Prigioniero di me stesso. Viaggio dentro l’autismo. Milano: Bollati Boringhieri, 1995.

Stern D. N. (1985). Il mondo interpersonale del bambino. Milano: Bollati Boringhieri, 1987.

Tammet D. (2006). Nato in un giorno azzurro. Il mistero della mente di un genio dei numeri. Milano: Rizzoli, 2008.

Williams D. (1994). Qualcuno in qualche luogo. Roma: Armando editore, 2005.

Williams D. (1999). Nessuno in nessun luogo. Roma: Armando Editore, 2006.

Williams D. (2004). Il mio e loro autismo. Itinerario tra le ombre e i colori dell’ultima frontiera. Roma: Armando Editore.

Marina Montagnini, Venezia

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 m.montagnini@iol.it

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