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Tutto all'improvviso...il jazz sul lettino dello psicoanalista

di Massimo De Mari

Tutto all'improvviso...il jazz sul lettino dello psicoanalista

“Tra le molte virtù di Chuang-Tzu c’era l’abilità nel disegno. Il re gli chiese il disegno di un granchio. Chuang-Tzu disse che aveva bisogno di cinque anni di tempo e di una villa con dodici servitori. Dopo cinque anni il disegno non era ancora cominciato. – Ho bisogno di altri cinque anni, disse Chuang-Tzu. Il re glieli accordò.

Allo scadere dei dieci anni, il re andò da Chuang Tzu e gli chiese: – Allora, il disegno?. – E’ pronto, rispose l’artista. – E dov’è?, domandò ansiosamente il re. Chuang-Tzu chiamò un servitore, si fece portare un foglio, prese il pennello e in un istante, con un solo gesto disegnò il più perfetto granchio che si fosse mai visto”.       (Calvino I., 1993)

 

Il famoso apologo di Calvino in exergo era dedicato al tema della rapidità ma se lo consideriamo da un altro punto di vista, credo che possa essere definito con un’altra caratteristica, cioè quella della “estemporaneità”.

Chuang Tzu ha bisogno di tempo e di una cornice ideale, 10 anni sembrano tantissimi, visto il compito che gli era stato affidato, ma quello che colpisce nel racconto e che poi, per disegnare “il più perfetto granchio che si fosse mai visto”, Chuang Tzu utilizzi un istante, un solo istante.

Nell’hic et nunc dell’incontro con il re ormai esasperato dalla lunga attesa, l’artista, “con un solo gesto”, realizza l’opera, un movimento che segue un pensiero fulminante che si può realizzare solo in quell’istante.

Ma se il progetto può essere portato a compimento in quel modo mirabile è solo perché l’artista ha avuto la possibilità di andare a pescare nell’esperienza di quei lunghi 10 anni, in cui l’idea del granchio si è andata formando nella sua mente.

Credo che questo sia uno degli esempi più limpidi del processo creativo che sottintende al meccanismo dell’improvvisazione nell’arte e nella musica jazz in particolare.

Ho chiesto a una delle più grandi cantanti jazz italiane, Maria Pia De Vito, cosa fosse per lei l’improvvisazione e che ruolo potesse avere con l’inconscio.

Lei mi ha risposto così:“Quando parliamo di improvvisazione, hai detto tu, parliamo di inconscio, giusto, ma è un inconscio nutrito; quando improvviso “spontaneamente” viene fuori qualcosa ma è una spontaneità avvertita; quando impari a lavarti i denti  ti devono spiegare come fare, oggi non ti ricordi più come te li sei lavati stamattina…Quello che voglio dire è che io mi sono resa conto che io potevo essere pronta ad eseguire un brano quando quelle informazioni erano arrivare in un posto in cui non dovevo pensarci più, in questo senso ti dico inconscio, poi nel momento in cui improvvisi c’è questo strano misto di istinto e razionalità per cui tu sai che c’è una struttura e poi ti muovi liberamente lì dentro e fai delle associazioni…” (De Mari M., 2018).

 

Quante volte, nel corso di una lunga terapia analitica ci sentiamo dire dal paziente “oggi non so che cosa dire”, a volte questo succede per periodi anche molto lunghi in cui si può avere la sensazione che le difese stiano prevalendo sul desiderio di cambiamento e spingano il nostro paziente ad interrompere il percorso di conoscenza di sé che ha intrapreso settimane, mesi o anni prima.

Spesso quelle fasi, così difficili e frustranti anche per il terapeuta, sono quelle in cui il lavoro sull’inconscio, fatto di attese necessarie perché i contorni del conflitto latente prendano gradualmente forma, arrivi a compimento e riesca a far emergere il vissuto autentico, finalmente libero dalle sovrastrutture nevrotiche.

E’ in quel momento dell’hic et nunc in cui il pensiero “mai pensato” fino a quel preciso momento, emerge, allo stesso modo del disegno del granchio, in un’istante e in un modo sorprendente, delineandosi dunque come atto creativo.

 

Il famoso trombettista Wynton Marsalis scrive:

“Ogni volta che insegno improvvisazione a dei ragazzi giovani che sono troppo timidi per esprimere le loro potenzialità, io spiego loro:”E’ molto facile. Basta inventarsi qualcosa. Proprio così, suonate qualsiasi cosa che vi venga alla mente, nelle dita o sulle labbra. Più forte ! Più scatenato ! Eccolo lì. State improvvisando” (Marsalis W., 2008).

Per Stefano Bollani, istrionico pianista e personaggio televisivo di grande impatto, improvvisare è “…come costruire un ponte e nel frattempo salirci sopra per arrivare dall’altro lato. Il ponte non è già lì e non è detto che si sappia cosa ci aspetta al di là. Val la pena di mettersi in viaggio, anche senza sapere dove andare”.(Bollani S.,2012).

 

Si può fare un raffronto tra l’improvvisazione nella musica jazz e le libere associazioni in psicoanalisi ?

Preliminarmente dobbiamo forse intenderci sui termini “libertà” e “liberazione”, termini forse equivocati e spesso fonte di qualche frustrazione in ambedue le discipline.

Il jazz è da sempre considerato una forma di musica libera da schemi, in cui l’improvvisazione è qualcosa che rasenta l’astrattismo pittorico fino a raggiungere, nella forma del cosiddetto free-jazz, l’anarchia assoluta.

Allo stesso modo la psicoanalisi è spesso idealizzata come una disciplina capace di liberare l’individuo dai suoi fantasmi attraverso la tecnica delle associazioni libere che, per definizione, viene immaginato come qualcosa di molto vicino ad un delirio in cui i pensieri fluttuano nell’aria privi di controllo.

In realtà non è così.

Nel primo caso non ascolteremmo musica ma un’accozzaglia di suoni o, peggio, rumore, mentre nel secondo caso correremmo il rischio di un’involuzione del pensiero, qualcosa che si avvicina più ad un processo di ingabbiamento che di liberazione.

 

A proposito di liberazione, come è noto il jazz ha in comune con la psicoanalisi anche il destino di essere stato bandito in Europa dai regimi nazi-fascisti durante il lungo periodo di egemonia di queste dittature fino al termine della seconda guerra mondiale.

Essendo una musica suonata per lo più da musicisti di colore, il jazz era considerato qualcosa che era considerato contrario al concetto di razza pura.

Inoltre, per le sue caratteristiche antitetiche alla cultura corrente era stata etichettata come “la musica del diavolo”. Un po’ lo stesso destino che toccò alla psicoanalisi, teoria scientifica dirompente e scandalosa per tutti i benpensanti dell’epoca, perchè metteva la sessualità al centro della sua speculazione.

 

Forse non tutti sanno che la liberazione del nostro paese da parte degli alleati americani coincise con la nascita del jazz in Italia, genere fino ad allora pressocchè sconosciuto proprio perché risultava molto difficile importare dischi dagli Stati Uniti.

“L’esercito americano – ha raccontato il musicologo Luca Bragalini in un suo recente intervento pubblico –  convinto che la musica fosse fondamentale per rinfrancare i soldati al fronte, produsse più di mille titoli che, stampati in otto milioni di copie di dischi, raggiunsero tutti i fronti dello scontro mondiale.  Questi dischi arrivarono in Italia con i nostri alleati influenzando la scena musicale degli anni Quaranta e dei decenni a venire” (Bragalini, 2022).

 

Quando improvvisa, il musicista jazz non si libera della struttura del brano che sta suonando, semplicemente reinterpreta il brano, partendo da una o più delle sue caratteristiche peculiari e libera la fantasia, sperimentando nuove strade e trovando percorsi che possono portarlo del tutto altrove, fino a dare la sensazione di perdersi, salvo poi ritornare al tema originale, come una nave torna al porto, dando all’ascoltatore la propria versione, del tutto originale, di quella stessa storia, come una parafrasi di uno stesso testo..

 

Cosa costituisce il testo di un trattamento psicoanalitico ?

“In un certo senso la somma di tutto quello che viene detto. Ma c’è anche un altro testo presunto, costituito dalla rete di impulsi-desideri inconsci e di tracce mnestiche represse, non sappiamo in che modo registrate e dove siano collocate, ma che presumibilmente sono nello stesso luogo e nello stesso tempo come una struttura sincronica. Allo stesso modo l’improvvisazione nel jazz può essere descritta semplicemente come la somma totale di tutto quello che viene suonato o cantato.

Dietro l’improvvisazione c’è un’implicita struttura musicale, o testo latente, che funziona in modo analogo alla struttura psichica, ponendo sia possibilità che limiti: essa include la progressione di accordi del brano musicale, il suo disegno ritmico e le sue sfumature melodiche.

Ma nessuno può dire esattamente cosa ci sia di tutto ciò nell’improvvisazione perché all’interno di questo processo creativo il musicista trova qualcosa di nuovo, nuove possibilità che sembrano emergere dalla struttura di base”. (Lichtenstein, 1993)

 

Tirando le fila di queste brevi considerazioni sulle affinità tra le associazioni libere nel processo analitico e l’improvvisazione nel jazz potremmo dunque dire che queste affinità ci sono e hanno a che fare con il processo creativo che consente, all’interno di una cornice di base (lo spartito per il musicista, il setting nella situazione analitica) di associare liberamente a partire da un punto qualsiasi (un tema musicale, un ricordo, un sogno, una parola, una pausa, un ritmo) per elaborare una serie potenzialmente infinita di associazioni che non partono da un ragionamento ma si muovono liberamente nella mente del musicista, come dell’analizzando, mettendo le basi di un racconto, ogni volta sorprendentemente nuovo.

E’ in questa potenzialità creativa della nostra mente che si pongono le basi per quell’istante creativo e fulmineo in cui tutti i fili vengono al pettine “improvvisamente” e solo apparentemente dal nulla.

A quel punto basta un gesto, come per il disegno di Chuang Tzu, per riassumere questo lungo percorso in qualcosa di completamente nuovo e, in questo senso sì, liberatorio.

Il musicista che improvvisa nel jazz scopre, insieme agli ascoltatori, il racconto che non sapeva di avere in mente e si stupisce insieme a loro; così come il paziente sul lettino, dopo un lungo silenzio che segue l’ennesima interpretazione di un conflitto da cui si era fino a quel momento difeso con le unghie e con i denti, mai intravisto chiaramente pur avendolo davanti agli occhi, si sorprende insieme al terapeuta ed esclama:“…a questo non ci avevo mai pensato !”.

 

Riferimenti

 

Bollani S. (2012) “Parliamo di musica” pag. 37. Mondadori

Bragalini L. (2022) “Musiche dell’Italia liberata” (programma di sala Conservatorio di Milano, 24 Aprile 2022)

Calvino I. (1993) “Lezioni americane” pag. 62. Mondadori

De Mari M., Carnevali C., Saponi S. (2018) “Tra psicoanalisi e musica” pag.128-129. Alpes

Lichtenstein D. (1993) “The rhetoric of improvisation spontaneous discourse in Jazz and Psychoanalysis” pagg. 227-252. American Imago (50) (2)

Marsalis W. (2008) “Come il jazz può cambiarti la vita” pag. 155. Feltrinelli

 

 

 

Massimo De Mari, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

massimodemari@gmail.com

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