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di Franca Munari

Franca Munari (2019) Mani su Stromboli

Maurice Merleau-Ponty (1908-1961) è stato un filosofo esponente di primo piano della fenomenologia francese del Novecento.

Ormai molti anni fa mi imbattei nel suo ultimo scritto, attratta dal titolo: L’occhio e lo spirito (1961). Da allora credo di averlo riletto decine di volte, trovandovi sempre nuovi elementi interessanti. 

Non sono in grado di presentare una riflessione articolata relativamente al suo pensiero sul piano filosofico, vorrei qui solamente ritornare su alcune sue considerazioni, assolutamente, per me, suggestive e importanti, relative alla percezione visiva e alle rappresentazioni in immagine. Soprattutto quelle inerenti al transito dalla percezione nel/al corpo gesto per ciò che anche concerne la differenza indifferenza interno esterno, e alla posizione del soggetto vedente e visto nella relazione con ciò che guarda e in funzione di esso. 

Le ricadute del pensiero di Merleau-Ponty a questo proposito sul piano della teoria e soprattutto della clinica psicoanalitica, sono molteplici e si possono articolare su differenti piani. Mi pare cioè che l’ambiente fenomenologico ed esistenziale del suo lavoro non rappresenti solamente una occasione analogica e metaforica per altrimenti descrivere processi e pensieri letti attraverso la psicoanalisi, ma che, soprattutto i suoi passaggi percezione corpo pittura ci permettano di andare oltre e diversamente articolare il nostro pensiero psicoanalitico. 

“Il mio corpo mobile rientra nel mondo visibile, ne fa parte, ecco perché posso dirigerlo nel visibile. D’altra parte è vero anche che la visione è sospesa al movimento. Che cosa sarebbe la visione senza il movimento degli occhi, e come potrebbe questo movimento non confondere le cose, se fosse lui stesso riflesso o cieco, se non avesse le sue antenne, la sua chiaroveggenza, se la visione non fosse già prefigurata in lui? … Il mio movimento è il proseguimento naturale e la maturazione di una visione. … [Il corpo] è un sé, non per trasparenza come il pensiero, che può pensare una cosa solo assimilandola, costituendola, trasformandola in pensiero – bensì un sé per confusione, narcisismo, inerenza di colui che vede, di colui che tocca a ciò che tocca, del senziente al sentito – dunque di un sé che è preso nelle cose … la visione è presa o si fa nel mezzo delle cose”. “L’indivisa comunione del senziente e del sentito”. (Merleau-Ponty, 1961, 17-19)

Le dimensioni prospettiche che conseguono a queste considerazioni sono molteplici:

Strumento che si muove da sé, mezzo che s’inventa i suoi fini, l’occhio e ciò che è stato toccato da un certo impatto con il mondo, e lo restituisce al visibile mediante i segni tracciati della mano. …

… il mondo del pittore è un mondo visibile, nient’altro che visibile, un mondo quasi folle, perché è completo e parziale e nello stesso tempo. La pittura risveglia, porta la sua estrema potenza un delirio che è la visione stessa, perché vedere e avere a distanza, e la pittura estende questo bizzarro possesso a tutti gli aspetti dell’Essere, che devono in qualche modo farsi visibili per entrare in lei. …

Luce, illuminazione, ombre, riflessi, colore, tutti questi oggetti della ricerca non sono esseri propriamente reali; hanno solo un’esistenza visiva, come i fantasmi. Stanno sulla soglia della visione profana: generalmente non vengono visti. Lo sguardo del pittore l’interroga per sapere come possano farsi che esista all’improvviso qualcosa e proprio quella cosa, per comporre questo talismano del mondo per farci vedere il visibile. …

Per vedere la cosa, era necessario non vedere il gioco d’ombre. Il visibile in senso profano dimentica le sue premesse, riposa su una visibilità totale che va ricreata, e che libera i fantasmi in esso prigionieri. I moderni come noto ne hanno liberati molti altri, hanno aggiunto molte note sorde alla gamma ufficiale dei nostri mezzi visivi. Ma l’interrogazione della pittura mira comunque a questa genesi segreta e febbrile delle cose nel nostro corpo. (ibid. 23-25)

C’è veramente molto di simile all’ascolto psicoanalitico, il medesimo riconoscimento dei fantasmi, la genesi segreta e febbrile delle cose nel nostro corpo. 

“Qualità, luce, colore, profondità, che sono laggiù davanti a noi, son là soltanto perché risveglino un’eco nel nostro corpo, perché esso li accolga. Questo equivalente interno, questa formula carnale della loro presenza che le cose suscitano … Sarebbe ben difficile dire dove è il quadro che sto guardando. Giacché … più che vedere il quadro, io vedo secondo il quadro o con esso.” (ibid.20)

Ne aveva altrimenti detto anche Freud:

… l’occhio, si trova … più spesso di tutte le altre [zone erogene] nella situazione di essere stimolato da quella particolare qualità dell’eccitamento proveniente da ciò che, nel caso dell’oggetto sessuale, noi chiamiamo bellezza. I pregi dell’oggetto sessuale vengono perciò chiamati anche “attrattive”. (Freud 1905b, 516)

Individuando così in nell’area della visione un automatico attivarsi del doppio rivolgimento, attivo/passivo, sé/altro. Erede della riflessività originaria il doppio rivolgimento, insieme allo strutturarsi della differenziazione Io-Superio che si situa nel suo prolungamento e che nello sdoppiamento che così si crea dà origine alla scena psichica dell’autoosservazione, costituiscono due punti cruciali della teorizzazione freudiana. (Coblence, Donnet, 2012)

Sono la vista e la motricità ad appropriarsi del mondo e a trasformarlo, fin dalle origini del soggetto. 

“Supponiamo che l’oggetto che fornisce la percezione sia simile al soggetto, cioè un essere umano prossimo (Nebenmensch). L’interesse teorico [suscitato nel soggetto] si spiega anche in quanto un oggetto siffatto è stato simultaneamente il primo oggetto di soddisfacimento e il primo oggetto di ostilità, così come l’unica forza ausiliare. Per tale ragione è sul suo prossimo che l’uomo impara a conoscere. I complessi percettivi che sorgono da questo prossimo saranno in parte nuovi e imparagonabili: per esempio i suoi lineamenti (nelle sfera visiva); ma altre percezioni visive (per esempio i movimenti delle mani) coincideranno nel soggetto con i suoi ricordi di analoghe impressioni visive del suo corpo, i quali si assoceranno a ricordi di movimenti sperimentati da lui stesso. La stessa cosa accadrà con altre percezioni dell’oggetto; quindi, per esempio, se l’oggetto grida, un ricordo delle proprie grida risusciterà [nel soggetto] rinnovando le sue esperienze di dolore.” (Freud 1895, 235)

Due (almeno) le questioni importanti in questo passaggio freudiano sul Nebenmensch: la funzione significante dell’altro come specchio che riflette e restituisce al soggetto una sua immagine, e la questione della conoscenza. L’area semantica della “riflessione” è qui già completamente coperta e i vari significati di essa vi compaiono collegati: mi rifletto/vengo riflesso ‘vedo una immagine di me’; ci rifletto ‘penso a qualcosa che mi riguarda/che riguarda l’altro’, ‘ripenso – dobbiamo supporre – a qualcosa che mi è già accaduto’. Siamo all’interno della teoria dell’après-coup, siamo nell’area della conoscenza. 

Funzione antitraumatica, paraeccitatoria, legante sia degli affetti alle rappresentazioni, sia delle pulsioni di vita e delle pulsioni di morte, funzioni tutte che confluiscono nel processo di conoscenza, una conoscenza innanzitutto riflessiva.

La vista, la pulsione di guardare, fanno parte dell’apparato di emprise, strumenti onnipotenti perché in grado di appropriarsi di oggetti anche a distanza. (Denis 1997) Lo testimonia la pittura che risveglia e porta alla sua estrema potenza impossessamento, presenza, voyeurismo, ma anche conoscenza. E perché anche abilissima, la vista, nell’operare sul crinale del doppio rivolgimento attivo passivo, sé altro; ma anche di destreggiarsi abilmente fra investimenti oggettuali e investimenti narcisistici. 

“… o le cose passano dentro di lui [Merleau-Ponty sta parlando del pittore] oppure lo spirito esce dagli occhi e va a passeggiare tra le cose.” (Merleau-Ponty, 24) Anche qui ritroviamo, in quella forma di legamento che è la rappresentazione in immagine, raffigurazione, la necessaria transizione, oscillazione, attività passività, differenziazione indifferenziazione. 

D’altronde le percezioni visive, come tutte le percezioni, prima di diventare tali vengono processate da tutte le istanze che devono attraversare per giungere alla “consapevolezza”. Ma vengono anche trasformate dal paraeccitatorio, come accade per quella che Winnicott (1971) ha definito, contrapponendola alla compiacenza, come appercezione creativa, cioè la forma trasformata dal soggetto, a sua misura e a suo modo, della percezione della realtà esterna.

Nel caso del pittore le percezioni visive devono poi transitare attraverso il suo corpo gesto per dare luogo all’opera in immagine

“Il pittore “si dà con il suo corpo” dice Valery. … E’ prestando il suo corpo al mondo che il pittore trasforma il mondo in pittura. Per comprendere tali transustanziazioni, bisogna trovare il corpo operante ed effettuale … che è un intreccio di visione e movimento.” (Merleau-Ponty, 1961, 17) 

 

Coblence F., Donnet J.-L. (2012) Argument: La psychanalyse et la reflexivité.  Revue Française de Psychanalyse, LXXVI, 3.

Denis P. (1997) Emprise et satisfaction. Les deux formants de la pulsion. Presses Universitaires de France, Paris.

Freud S. (1895) Progetto di una psicologia. OSF, 2.

Freud S. (1905) Tre saggi sulla teoria sessuale OSF, 4

Merleau-Ponty M. (1961)L’œil et l’esprit, in Art de France, vol. 1, n. 1; trad. it. L’occhio e lo spirito, SE, Milano 1989.

Winnicott D. (1971) Gioco e realtà. A. Armando, Roma, 1974.

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