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Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana

 

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Report di Ricorrenze di Umanità

Il negazionismo della Shoah sotto la lente della Storia, della Sociologia, della Psicoanalisi

(CVP 27 gennaio 2023)

Di Mariagrazia Capitanio

L’oggetto di studio di Ricorrenze di Umanità/Giorno della Memoria 2023 è stato il  negazionismo.

Fenomeno complesso, lo abbiano affrontato con l’aiuto dello storico contemporaneista Claudio Vercelli (docente a contratto presso l’Università Cattolica di Milano, Master di I livello, membro dell’Istituto di studi storici  Gaetano Salvemini di Torino), della sociologa Claudia Hassan  (professoressa associata di sociologia dei processi culturali e comunicativi,  Università degli Studi di Roma Tor Vergata) e dello psicoanalista Ronny Jaffé (Membro Ordinario con funzioni di training della S.P.I. e dell’I.P.A., socio del  C.M.P; tra i suoi oggetti di studio i traumi storici e le tragedie collettive).

Il primo a prendere la parola è stato C. Vercelli il quale ha esposto  le tesi su cui il negazionismo si basa: a)  la mancanza di volontarietà e di intenzionalità da parte dello Stato nazista  di procedere a uno sterminio sistematico delle comunità ebraiche europee; b) l’inesistenza delle camere a gas; c) la falsa numerosità delle vittime.

L’obiettivo del negazionismo  è  quello di ripulire il nazismo  dai suoi aspetti più  inaccettabili: primo fra tutti non tanto l’esistenza  dei campi di concentramento  quanto quella dei propositi e dei sistemi di sterminio propriamente intesi. Secondo i negazionisti, i campi di sterminio sono un’invenzione  creata dai vincitori della Seconda guerra mondiale a loro volta guidati,  a partire da componenti ebraiche,  da forze occulte. Gli Alleati  determinarono non solo la sconfitta militare tedesca e fascista ma, con l’invenzione delle camere a gas, ne decretarono anche  una  di ordine culturale, ideologico e morale.  Il pensiero negazionista  può accettare la sconfitta militare ma  non  che gli sconfitti abbiano un debito morale nei confronti dell’umanità. 

Al fine di negare la volontà sterminazionista, i  negazionisti – che non si definiscono tali bensì revisionisti –  ricostruiscono la realtà rileggendo i documenti alla luce di chiavi di comprensione  scartate dagli altri storici. Per ottenere adesioni, essi richiamano l’attenzione sulla libertà di espressione, dicendo che ‘gli altri’ la violano impedendo loro di esprimere le proprie tesi; simulano la sussistenza di un dibattito scientifico con  il circuito degli ‘storici sterminazionisti’; obbligano gli interlocutori alla difensiva tramite l’offensiva verbale, mettendoli nella posizione di dover controbattere; giocano costantemente il duplice paradigma del vittimismo: da un lato rivestono  i panni del demistificatore sostenendo di esser loro i portatori di una visione nuova e integrale “che  smaschera la menzogna di Auschwitz”,  dall’altro parlano di  sé  in termini vittimari. Competendo con le vere vittime della Shoah, cercano di sottrarre loro questo ‘primato’ sostenendo di essere dei perseguitati  in quanto  portatori di una verità  (l’inesistenza dello sterminio). Mediante la rilettura capovolta delle fonti storiche, pretendono di rivelare – sostenendo che il loro è un discorso di liberazione  da ‘poteri occulti’ determinati a mantenere il dominio – cosa si cela  dietro a  una  simile ‘costruzione  falsificante’. I negazionisti mirano a rompere il consenso consolidato sui criteri condivisi dell’interpretazione dei fatti storici attaccando  i criteri con cui si interpreta sia il passato sia la realtà, opponendosi così alla costruzione di una realtà sufficientemente condivisibile.

Attualmente – ha concluso Vercelli lasciando la parola a C. Hassan-  si devono  fare i conti  con il WEB il quale sta diventando un elemento di saldatura tra scetticismo programmatico  e contenuti i più vari, tra cui anche il negazionismo.  

 

Hassan, sottolineando come sul WEB le notizie false hanno una probabilità di diffusione dieci volte maggiore rispetto alle altre, ha sostenuto che il negazionismo della Shoah  (che si basa appunto su false notizie) deve  essere compreso all’interno dell’attuale contesto di disinformazione generale, accentuatasi rispetto al passato. Dai dati sembra che le  opinioni  negazioniste ‘affascinino’: ben il 25%  degli italiani  non  pensa che il genocidio degli ebrei sia realmente accaduto, ritenendo che non sia una realtà storica con cui confrontarsi. Il WEB sta contribuendo alla trasformazione della sfera pubblica habermasiana di derivazione illuminista la quale, invece, poneva al centro la ragione e il dialogo (cfr. Habermas J. (1962) Storia e critica della opinione pubblica. Laterza, Bari 1971; (1968) Conoscenza e interesse. Bari, Laterza,1970; (1981) Teoria dell’agire comunicativo. Bologna, Il Mulino, 1986). La sfera pubblica (definita come lo spazio intermedio tra l’ambito privato e l’ambito pubblico, corrispondente ad uno spazio in cui si formano opinioni su problemi di interesse generale e che hanno qualche riscontro politico) è ora sostituita dalla piattaformizzazione della società  (da platformization: il termine indica la centralità delle piattaforme digitali nella vita sociale contemporanea; esse  non riflettono tanto  le strutture sociali in cui viviamo   quanto le  producono. Cfr. Van Dijck  J., Poell  T., de Waal  M. ,2018. Platform Society. Valori pubblici e società connessa. Milano, Guerini, 2019) e va letta alla luce del concetto di post- sfera pubblica,  dimensione in  cui l’elemento emotivo del discorso, come ad es. l’hate speech,  ha uno spazio consistente (la locuzione post-sfera pubblica indica anche l’esito disordinato della trasformazione dai vecchi spazi pubblici della società di massa a quelli della network society . Cfr Sorice M.,2020, Sociologia dei media. Un’introduzione critica. Roma, Carocci).

A causa del  WEB il negazionismo  ha una ‘cittadinanza’ diversa da quella avuta  nel passato: acquista  legittimità perché diventa una opinione come un’altra nell’ambito della libertà di espressione. All’interno dei social ciò che il negazionista  dice (autodefinendosi  revisionista storico)  è assunto come un ‘punto di vista’, come ‘un qualsiasi altro punto di vista’. 

Ma bisogna ben avere presente che il negazionismo della Shoah si situa nell’ambito dell’antisemitismo. Per avere una idea dell’antisemitismo on-line in Italia (Hassan ha riportato dati CDEC e Polizia Postale), nel 2007 esistevano  40 siti antisemiti mentre  tra il gennaio e il giugno 2019  il loro numero è salito a  140.  La mappa dell’antisemitismo attuale è composta da siti nazisti, antisionisti, cattolici fondamentalisti, cospirazionisti, negazionisti. Nei siti antisemiti cospirazionisti contemporanei  ritroviamo gli stessi stereotipi antiebraici, gli stessi  ‘elementi mitici’   già presenti tra il 1930  e 1940  sia in Italia che in Germania  quali ad esempio l’accusa ‘del sangue’, l’esistenza di una ‘lobby ebraica’ e  quella dei ‘Protocolli dei Savi  di Sion’.

Venendo alla struttura dei siti negazionisti, essi  per lo più hanno una grafica simile a quella dei quotidiani cartacei; per quanto riguarda il linguaggio, spesso vengono impiegate parole come fratellanza e pace e, a proposito della strategia comunicativa, vengono solitamente mescolate notizie  negazioniste e antisemite  con notizie ‘neutre’; inoltre viene spesso rivendicata la libertà di parola a dispetto di   “altri  che negano tale diritto”. Ciò va di pari passo con la reazione dei siti negazionisti  (e antisemiti in generale)  quando vengono oscurati  (per  essere poi ricostruiti con grandissima velocità): essa consiste nel lanciare subito accuse cospirazioniste. Infine, a proposito della ‘contaminazione’ tra siti diversi, Hassan ha osservato che, durante la pandemia, moltissimi siti negazionisti lo erano sia del Covid che della Shoah.

 

Jaffè, dal canto suo, ha sottolineato come il negazionismo, annullando le tracce dello sterminio, si radica nella “missione” storico-mistica del nazifascismo il cui scopo era quello di cancellare il mondo ebraico, la sua storia, la trasmissione della trasmissione, e cioè tutto ciò che consente alle generazioni successive di avere un sentimento di appartenenza.

La cancellazione dell’uomo avveniva nel momento stesso dell’entrata nei campi di sterminio, quando l’individuo non  aveva più un nome ma era un numero: con l’assassinio del nome la soggettività veniva annullata  e il soggetto e il gruppo erano resi no-thing (cfr. Bion W.R., 1977). Purtroppo – ha osservato Jaffè – fino a non molti   anni fa,  tale ideologia si è  incrociata  con l’impossibilità (su base traumatica) da parte dei sopravvissuti  alla Shoah e dei loro discendenti di esprimere  il proprio profondo vissuto doloroso determinando così un involontario accordo, una paradossale  “cospirazione del silenzio” (Danieli Y.,1998)  tra  negazionisti e  chi ancora non era pronto per ascoltare o  che  scientemente non voleva farlo.

Il negazionismo  ha operato e opera una mistificazione sostenendo: ‘Quella generazione di ebrei, se non è mai stata sterminata, non è neppure vissuta. Non c’è stata. Come è possibile affermare che una persona sia vissuta se non vi sono tracce della sua morte?’ L’ideologia negazionista, che vuol far  passare la credenza che ‘nulla sia successo’, si fonda sul pervertimento della realtà storica e  su quello che Ricoeur definisce “l’oblio di fuga, cioè una volontà oscura di non informarsi, di non indagare sul male commesso” (Ricoeur P., 2003, 106), di fare finta di niente. È un “oblio inesorabile” che va oltre l’impedimento del richiamo dei ricordi secondo il registro della rimozione e  riguarda la volontà di cancellare la traccia, l’iscrizione stessa del ricordo, dell’impronta: cancellare la traccia significa ricondurla alla polvere, alla cenere.

Il negazionismo può essere compreso alla luce della teoria delle alleanze inconsce del patto denegativo (cfr. Kaës R., 2009) e della teoria trans-generazionale nella trasmissione del trauma (Faimberg H.,1993): l’insieme di questi paradigmi teorici permette di comprendere come il far  passare la credenza che nulla sia successo favorisce nei gruppi  il riattualizzarsi di rigurgiti di stampo nazista, fascista, razzista. Jaffè  ha  sottolineato  come la realizzazione del patto denegativo possa espandersi in una sorta di contagio passivo per quei fenomeni di massa che sono  attraversati da un “adattamento a qualunque cosa” (cfr. 2020, Amati Sas S.).  Il contagio passivo determina sia un’adesione passiva e collusiva  sia il voltare la testa dall’altra parte rispetto a  ciò che risulta perturbante e disturbante. Esso può divenire una sorta di “contagio radioattivo”  (Gampel Y., 2006): il male entra  nell’apparato psichico del soggetto senza che egli abbia alcun controllo su tale inoculazione e sui suoi futuri effetti. Si tratta di una ‘peste’ dai connotati mortiferi che si propaga  rapidamente in senso sincronico e che si può coniugare con le identificazioni trans-generazionali e  i patti denegativi. Freud, in Psicologia delle masse e analisi  e analisi dell’Io , scrive che nelle folle patologiche alcune caratteristiche che sembrano nuove sono  dovute al venir meno della rimozione, sono espressioni dell’inconscio “in cui è contenuto, a mo’ di predisposizione, tutto il male della psiche umana”(Freud S., 1921, 265). Un male che, nel caso della Shoah, assume le caratteristiche di annientamento dell’ebreo e, più in generale, delle varie diversità che non si conformano a una data razza.

L’antisemitismo, di cui il negazionismo è una espressione,  parte  da molto lontano: lo ritroviamo  nel libro di Ester  scritto tra  il IV e II sec. a. Cristo (“Poi Aman andò a parlare con il re e gli disse: “C’è un popolo, disperso tra gli altri popoli in ogni provincia del tuo impero, che vive separato dagli altri, a modo suo. Ha leggi diverse e, per di più, non osserva la tua. Non ti conviene lasciarlo vivere in pace. Se sei del mio parere, dai ordine scritto che sia sterminato” (cit. in Yehoshua A.B., 2004, 20%, 129), come evidenziato anche da A. B. Yehoshua  il quale ipotizza che gli ebrei risultano intollerabili per la loro “dispersione, la loro diversità, il loro essere stranieri, la loro mancanza di confini stabili” (Yehoshua A.B., 29 e 30%, 697),  per il fatto che  possiedono qualcosa di indefinito,  di non controllabile. Secondo Jaffè, questo insieme di fattori ha determinato e determina tuttora un affetto di  paura che si propaga tra  paesi e  culture  provocando reazioni violente: “E’ una paura e un odio ereditari, una malattia trasmessa da duemila anni e come  tale sembrerebbe inguaribile”(Danieli Y.,1998, 90). Le paure e le fantasie contribuiscono a costituire un’immagine dell’ebreo ‘corpo estraneo’ che, in quanto tale, può insinuarsi nel mondo dell’ ‘altro’: l’insopportabile perturbante, allora, va eliminato e cancellato dalla memoria. Questo è  proprio uno degli intenti dei negazionisti quando sostengono che lo sterminio programmato da parte dei nazisti non è mai accaduto. Per contrastare una così pericolosa ideologia è necessario, proprio ora che gli ultimi testimoni se ne stanno andando, continuare a trasmettere alle generazioni presenti e future ciò che è accaduto. Il ricordare continua ad essere un imperativo morale  particolare (cfr. Bohleber W., 2010) anche perché “è avvenuto; quindi, può accadere di nuovo” (Levi P., 1986, 164). 

 

 

Bibliografia

Amati Sas S. (2020). Ambiguità conformismo e adattamento alla violenza sociale. Milano, Angeli.

Bion W.R. (1977). Trasformazioni. Il passaggio dall’apprendimento alla crescita. Roma, Armando, 1973.

Bohleber W. (2010). Destructiveness, Intersubjectivity and Trauma. London, Routledge.

Danieli Y. (1998). International Handbook of Multigenerational Legacies of Trauma, New York, Springer.

Faimberg H. (1993). La trasmissione della vita psichica. Roma, Borla,1995.

Gampel Y. (2006). Rethinking Radioactive transmission. The Riddle of Survival and Work in Situations of Political Violence.  In  Lorito T.,(a cura di) Atti del convegno: Psicoanalisi e guerra. Il lavoro degli psicoanalisti in situazioni di conflitto. Pisa, ETS.

Freud S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’Io . O.S.F. 9.

Hassan. C. (2012) Memoria e shoah. Uno sguardo sociologico. Firenze, Libri liberi.

Hassan C. (2016). Hurban. Shoah e rappresentazioni sociali. Firenze, Libri liberi.

Hassan C. (2020) Rete e democrazia. Politica, informazione e istruzione. Venezia, Marsilio.

Kaës R. (2009). Les alliances inconscientes. Paris, Dunod.

Levi P. (1986). I sommersi e i salvati. Torino, Einaudi.

Lipstadt D. (2005/2016). La verità negata, la mia battaglia in tribunale contro chi ha negato l’olocausto, Milano, Mondadori, e-Book, 2016.

Ricoeur P. (2000). La memoria, la storia l’oblio. Milano, Cortina, 2003.

Vercelli C. ( 2013). Il negazionismo. Storia di una menzogna. Bari, Laterza.

Vercelli C. (2014) con A. Alietti e D. Padovan, Antisemitismo, islamofobia e razzismo.   Rappresentazioni, immaginari e pratiche nella società italiana, Milano, Franco Angeli Editore.

Vercelli C. (2021) Neofascismo in grigio. La destra radicale tra l’Italia e l’Europa, Torino, Einaudi.

Vercelli C. (2022) Israele. Una storia in dieci quadri, Bari-Roma, Laterza.

Yehoshua A. B. ( 2004). Antisemitismo e sionismo. Una discussione. Torino, Einaudi, e-Book, 2010.

 

Filmografia

La verità negata (regista M. Jackson, 2016), reperibile in DVD Edizioni CINEMA. Esso  ha preso spunto dal libro del 2005 La verità negata, la mia battaglia in tribunale contro chi ha negato l’olocausto  (ebook, Mondadori) scritto dalla storica americana  Deborah Lipstadt. Il volume è il resoconto ( in base al proprio diario e alla  memoria difensiva) della causa che la vide contrapposta al saggista negazionista  David  Irving (autore di numerose pubblicazioni) il quale l’aveva citata in giudizio per diffamazione. La causa, iniziata con una minaccia di querela  contro di lei nell’autunno del 1995, terminò nel marzo del 2000  dopo 10 settimana di dibattimento. Il film è abbastanza fedele al testo. Consiglio di vederlo perché a mio parere lo ‘stile negazionista’ è rappresentato efficacemente: il modo di ragionare, di parlare,  di muoversi, di interagire con quanti non mettono assolutamente  in dubbio la realtà della Shoah.

Mariagrazia Capitanio, Venezia

Centro Veneto di Psicoanalisi

mg.capitanio@libero.it