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Poeta Intellettuale Mimetico

Pier Paolo Pasolini
Poeta Intellettuale Mimetico

di Andrea Rapisarda e Sonia Grandis

Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini

Appena svoltato l’angolo della ricorrenza dedicata a Dante, il 5 Marzo di quest’anno ci viene incontro il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini.

La vicinanza fra Dante e Pasolini va ben oltre le ricorrenze anagrafiche; il “Dantismo” così come emergeva dal dibattito intellettuale dell’epoca, alimentato dai lavori di Gianfranco Contini e di Erich Auerbach, si poneva come modello di poesia civile e di contaminazione fra cultura alta e cultura bassa tanto che Pasolini dichiarava che nel suo operare in quegli anni avesse in mente Dante come una guida ideale.

La tensione del Pasolini artista e uomo mira a mettere insieme intellettuali e sottoproletariato, oscillando tra la Callas e i ragazzi di vita, facendo i conti con il suo essere un friulano a Roma in un perenne disagio tra il salotto intellettuale e l’attrazione del porcile.

La Divina Mimesis, consegnata all’editore Einaudi appena prima della sua scomparsa e pubblicata postuma nel 1975, avendo attraversato tutta la vita e tutta l’opera di Pier Paolo Pasolini, si presta a descriverne il percorso umano e artistico ed anche, si potrebbe dire, il tragico epilogo: “E’ un’idea che risale al 1963… volevo fare qualcosa di ribollente e magmatico, ne è uscito qualcosa di poetico… a un Inferno medievale con le sue pene si contrappone un Inferno Neocapitalistico”

“Nel mezzo del cammin di nostra vita” Pasolini, sulle orme di Dante, riattraversa le atmosfere dei canti I e II dell’Inferno e alcuni momenti dei canti III, IV, VII dove sono collocati i nuovi peccatori, anonimi, speculatori e conformisti.

Il viaggio inizia in una luminosa domenica di primavera nella periferia romana davanti a un cinema e a una modesta sezione del Partito Comunista dove si stanno festeggiando i nuovi iscritti. Ma improvvisamente il poeta, sentendosi “personaggio estraneo a se stesso…come un bambino che non ha più casa, un soldato disperso” si ritrova braccato dalle tre fiere dantesche: la Lonza, allegoria della mistificazione, il Leone, sonno della coscienza e ferocia e soprattutto la più temibile Lupa, l’abiezione della carne, la sessualità vissuta come mera ripetizione che spegne i sentimenti. Gli si presenta, in luogo di un Virgilio, una sorta di alter ego di Pasolini stesso, dimesso nell’aspetto, che si palesa nella forma di una fotografia ingiallita. E sono proprio 25 fotografie di persone e luoghi cari all’iconografia interiore di Pasolini che fanno seguito alla parte in prosa della Divina Mimesis e ne sono indispensabile integrazione.

Deciso ad affrontare “il viaggio in un luogo che altro luogo non è che il mondo” il poeta si ritrova nella luce di un’altra periferia dove trionfa una natura selvaggia e rigogliosa popolata da umili fiori di campo di regale bellezza. L’ingresso dell’Inferno, a differenza di Dante che vi pone gli Ignavi, è popolato da coloro che vollero “essere come tutti”, gli anonimi, che, consapevoli della propria impotenza, sono condannati ad inseguire uno straccio che reca come insegna uno sterco.

Non sfuggono alla scelta conformistica nemmeno i poeti e gli intellettuali, confinati in una vecchia villa del 700 e incapaci di levare la propria voce nei momenti di reale pericolo. La successiva tappa del viaggio ci consegna un altro desolato panorama di periferia segnato dalle sbarre di un passaggio a livello e da un casotto dove alloggiano le demònie, le guardiane del nuovo inferno creato dal consumismo. Il viaggio non è concluso, rimane la suggestione di un procedere a frammenti, immersi in una materia magmatica, suscettibile di mutazione.

Nel suo procedere narrativo Pasolini fa un uso del linguaggio che non è teso ad una trasposizione nel simbolico delle rappresentazioni quanto, piuttosto, ad un processo di profonda immedesimazione nell’altro, una identificazione definita mimetica che vuole incarnare l’alterità e proprio in questo corrisponde la funzione civile e politica degli intellettuali. Ne nasce una mimesi divina, come un Cristo che si fa uomo: “nell’immergermi nel mondo dialettale e gergale della borgata io porto con me una coscienza che giustifica la mia operazione nè più ne meno di quanto giustifichi, ad esempio, l’operazione di un dirigente di partito: il quale, come me, appartiene alla classe borghese, e da questa si allontana, ripudiandone momentaneamente la necessità per capire e fare proprie le necessità della classe proletaria…..questa operazione coscientemente politica, nell’uomo di partito prevede o prepara l’azione, in me scrittore non può che farsi mimesis linguistica…” ( Pasolini, 1999/b,213).

Anche la “regressione alle immagini” del Pasolini regista risponde ancora una volta al desiderio di aderire a una ricerca  di verità “mimetica”: “il cinema  è un sistema di segni non simbolici, di segni viventi, di segni oggetti…….credo di poter dire ora che scrivere delle poesie o dei romanzi fu per me il mezzo per esprimere il rifiuto di una certa realtà italiana o personale….ma queste mediazioni poetiche o romanzesche frapponevano tra la vita e me una sorta di parete simbolica, uno schermo di parole…ed è forse la vera tragedia di ogni poeta, di non raggiungere il mondo se non metaforicamente…ora ho scoperto che l’espressione cinematografica mi offriva, grazie alla sua analogia sul piano semiologico con la realtà stessa, la possibilità di raggiungere la vita in modo più completo. Di impossessarmene, di viverla mentre la ricreavo. Il cinema mi consente di mantenere il contatto con la realtà, un contatto fisico, carnale, direi addirittura sensuale” (Pasolini,1999b,1412-3)

Lo stesso cinema Neorealista viene da Pasolini criticato perché colpevole di operare una falsificazione derivante dallo scarto delle “verità impoetiche”.

Questa incessante, necessaria e tragica ricerca dell’incontro con ciò che c’è di più originario e vero negli esseri umani, che Pasolini tenta di cogliere attraverso l’uso del linguaggio dialettale, aveva trovato il suo esordio nelle “Poesie a Casarsa”, in friulano, la lingua della madre.

La figura materna nella vita di Pasolini ha una posizione centrale; la madre infatti   lo segue a Roma quando Pasolini lascia il Friuli e il regista le assegna nel film “Il Vangelo secondo Matteo” il ruolo della Madonna sotto la croce.

Maurizio Balsamo, citando André Green a proposito della creazione artistica, parla di “ traccia del rapporto con il corpo della madre, ciò che permette il lavoro creativo, il fondo germinativo delle operazioni trasformative e inventive del soggetto, ed è dato da ciò che residua necessariamente nelle operazioni di taglio di questo rapporto operate dal padre… questo spazio che attinge nell’autoerotismo coperto dalla rimozione originaria funziona come matrice di senso, luogo germinativo di potenzialità, a patto che ci si situi ai bordi, che non ci si accosti troppo…” ( Balsamo M., 2019, 99).

Se la dichiarazione di Pasolini “la vera tragedia di ogni poeta, di non raggiungere il mondo se non metaforicamente…” può essere intesa come un bisogno di marginalizzazione del ruolo del padre, ed assumere quindi il significato di un difetto di terzietà, essa può avere come effetto un eccessivo accostamento al materno che, usando le parole dello stesso Pasolini, diventa “fisico, carnale, direi addirittura sensuale”.

Scartata tuttavia la tentazione di mettere la complessa figura di Pasolini sul lettino psicoanalitico, si apre la possibilità di  scoprirne l’attualità;  pone inoltre interrogativi necessari a chi non voglia pervertire una utile posizione relazionale asimmetrica (quella del ricercatore/terapeuta/analista/educatore/intellettuale) in una questione di manipolazione e di potere sull’altro,  ancor più per gli analisti  in una fase in cui la psicoanalisi si affida all’insidioso piano intersoggettivo della co-costruzione analitica, consegnando allo psicoanalista un ruolo di grande responsabilità:“ Quella di Pasolini diventa dunque una scrittura sacrificale che esprime principalmente il desiderio trasgressivo di negare se stessa, il proprio limite, per abbracciare l’altro (Vighi, 2001,202).

L’opera di Pasolini interroga quindi anche lo psicoanalista che viene chiamato ad ogni passo ad una posizione sacrificale, ad un passo indietro cioè della propria soggettività per cogliere la verità del paziente.

 

Bibliografia

Auerbach E. Mimesis, Il realismo della letteratura occidentale, vol. I, Torino, Einaudi, 2000:1

Balsamo M., André Green, Feltrinelli, Milano, 2019

Contini G., La letteratura Italiana Otto-Novecento, Firenze, Sansoni,1974 (2001)

Green A., Slegare, Borla, Roma 1994

Patti E. Pasolini after Dante. The Divine Mimesis and the politics of Representation, Legenda, 2016

Pasolini P.P., La Divina Mimesis, Oscar Mondadori, 2006/a

Pasolini P.P., Saggi sulla politica e sulla società, Milano, Mondadori, 1999/b

Vighi F., Le ragioni dell’altro. La formazione Intellettuale di Pasolini tra saggistica letteratura e cinema, Ravenna, Longo Editore, 2001

 

 

Andrea Rapisarda, Catania

Centro Psicoanalisi di Palermo 

rapisardandrea19@gmail.com

 

Sonia Grandis

Attrice e Regista

soniagrandis13@gmail.com

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