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Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana

 

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Opera Lirica

Pelléas et Mélisande di Achille-Claude Debussy

Teatro Olimpico di Vicenza

di Franca Munari

Pelléas et Mélisande di Achille-Claude Debussy, su libretto di Debussy e Maurice Maeterlinck, autore dell’omonimo dramma, fu un’opera di lunga gestazione, fu infatti composta dall’autore dal 1893 al 1902.

La trama manifesta è esile: Galaud, fratellastro di Pelléas, figlio di seconde nozze della madre con Arkel, re d’Allemonde, incontra nella foresta dove era andato a caccia, Mélisande, fuggita da non si sa dove – né mai lo sapremo – sicuramente maltrattata e sicuramente di buon lignaggio. Si era infatti disfatta di una corona facendola cadere nell’acqua e si rifiuta di recuperarla. Galaud la sposa, ma ben presto nel triste castello nella cupa foresta nasce un amore fra il fratellastro, Pelléas, e Mélisande. Galaud gelosissimo li scopre e uccide Pelléas, e anche Mélisande muore dopo aver dato alla luce la figlia di Galaud.

Debussy si adoperò moltissimo per ottenere da Maeterlinck l’autorizzazione a utilizzare questo testo dopo averlo visto a teatro.

Colpisce questa scelta così determinata per una storia così, potremmo definirla, banale, seppure in essa si possano ravvisare, negli spostamenti di oggetti le coordinate edipiche, qui nella variante di Amleto (Freud 1899) – ma dove non le ritroviamo? – : Galaud sostituisce Arkel, il secondo marito della madre con il fratellastro Pelléas, figlio di secondo letto e lo uccide, e sposta la gelosia e il rancore per la madre che ha sostituito suo padre con Arkel su Mélisande che si è innamorata di Pelléas. Lo rivelano le sue incertezze, le sue titubanze, le sue anticipazioni…

Evidentemente furono però la qualità e le forme del testo che letteralmente catturarono Debussy.  Si tratta di una continua descrizione di stati d’animo e di sentimenti di personaggi assolutamente sfuggenti – fino alla fine restano inconoscibili, non prendono forma – che gli diede modo di narrarli, a sua volta, tramite la musica.

Una musica capace di farsi anche sottile, esile e che sempre allude, commenta, accompagna esaltando la forza affettiva del testo. Straordinariamente raffinata nelle entrate successive degli strumenti che inanellano la melodia e si fondono con le parole; addirittura spesso sottraendosi all’attenzione che viene catturata dal canto. Una musica capace di descrivere anche i silenzi della evanescente Mélisande che sempre sembra sottrarsi, e di tollerare le sue ripetizioni, le sue lievi, deboli invocazioni.

Anche il compositore Vincent d’Indy  che era presente alla prima, ammise sulla rivista L’occident che seppure l’opera presentasse una parte musicale quasi secondaria rispetto al testo, questa metteva tuttavia talmente in risalto il linguaggio da svelarne ogni significato e le onde musicali magnificavano l’espressione. (Charton, 2012, cit. da) 

A differenza di Wagner, che peraltro Debussy ammirava tantissimo, egli non affida un motivo caratterizzante a ciascun personaggio, ma modula la melodia di ognuno a seconda dei suoi sentimenti, di volta in volta riflettendo uno stato d’animo particolare. (ibid.)

Di nessuno si conosce la storia, donde vengano, cosa abbiano passato e vissuto. “Nulla è esplicito … la forza dell’opera è la sua evanescenza” (Silvia Frigato, cantante, comunicazione personale) E Mélisande è il fulcro di questa evanescenza. Si tratta di uomini e donne preda del sentire di quel certo momento, delle loro ambivalenze, dei pensieri incidenti, non personaggi, non icone del dramma che loro malgrado vivono e realizzano. In questo sta l’interesse del testo e della musica che lo ri-narra, meglio, lo trascrive.

Pelléas

Badate! badate!

Cadrete!

Con che cosa giocate?

 

Mélisande

Con l’anello ch’egli m’ha donato.    

 

Pelléas

Non giocate così sopra un’acqua sì profonda        

 

Mélisande

Le mie mani non tremano        

 

Pelléas

Come brilla al sole!

Non lo gettate sì alto nel cielo!

 

Mélisande

Oh!  

 

Pelléas

È caduto!   

 

Mélisande

È caduto nell’acqua!      

 

Pelléas

Dov’è? dov’è?      

 

Mélisande

Non lo vedo scendere.   

 

Pelléas

Credo vederla brillare!  

 

Mélisande

La mia fede?        

 

Pelléas

Sì, sì; laggiù…      

 

Mélisande

Oh! oh!

È sì lontana da noi!…

No, no, non è la fede… non è più quella.

È perduta… perduta!

Non v’è più che un gran cerchio sull’acqua…

 

clicca e ascolta la registrazione di Abbado

“Le azioni casuali o sintomatiche che si verificano in materia matrimoniale hanno spesso significato serissimo e potrebbero obbligare colui che non volesse dar retta alla psicologia dell’inconscio a credere nei presagi. Non è un buon inizio quando una giovane moglie in viaggio di nozze perde e l’anello matrimoniale…” (Freud 1901, 232)

“Della grande attrice Eleonora Duse ho sentito dire da un amico attento a badare i segni, che essa in una delle sue parti introduce un’azione sintomatica atta veramente a mostrare da quale profondità essa  attinga la sua recitazione. Si tratta di un dramma di adulterio; essa appena avuto una discussione con marito e se ne sta ora in disparte, assorta nei suoi pensieri, prima che si avvicini seduttore. In questo breve intervallo essa giocherella con la fede che porta al dito, se la toglie e se la rimette e di nuovo se la toglie. Adesso è matura per l’altro.” (ibid.233)

Due gli esempi di pensieri incidenti, forse non a caso, del vecchio re Arkel e del bambino, Yniold, figlio di primo letto di Galaud.

 

 

Arkel (rivolgendosi a Mélisande)

Vieni qui; perché resti sempre lì senza rispondere e senza alzare gli occhi?
Finora t’ho abbracciata solo una volta, il giorno della tua venuta;
eppure i vecchi han bisogno talvolta
di toccare con le labbra la fronte d’una donna o la guancia d’un bimbo,
per credere ancora alla freschezza della vita
e allontanare un attimo le minacce della morte.
Hai paura delle mie vecchie labbra?

 

Richiesta perturbante, dichiarazione di un desiderio inquietante. In questa resa dell’opera, Mélisande, spaventata, si sottrae.

 

Il bambino Yniold (da solo presso la fontana)

Oh! oh! sento piangere i montoni
Ecco!
Non c’è più sole…
Arrivano i piccoli montoni; arrivano…
Ce ne sono!… Ce ne sono!…
Hanno paura del buio…
Si stringono! Si stringono!
Piangono e vanno rapidamente!…
Alcuni vorrebbero prendere a destra…
Vorrebbero tutti andare a destra…
Non possono!…
Il pastore li colpisce con pezzi di terra…
Ah! ah! Passeranno di qui…
Li vedrò da vicino.
Quanti sono!…
Ora tacciono tutti…
Pastore! perché non parlano più?

 

Pastore

Perché non è la via della stalla…

 

Yniold

Dove vanno?
Pastore? pastore? dove vanno?
Non mi sente più. Son già troppo lontani…
Non fanno più rumore.
Non è la via della stalla…
Dove vanno a dormire questa notte?…
Oh! oh! fa troppo buio…
Vado a dire qualcosa a qualcuno…

“Oh! oh! fa troppo buio…Vado a dire qualcosa a qualcuno.”

 

 

Da Darkness di Andrea Baldassarro (2018) “Solitudine, silenzio e oscurità sono quelle situazioni angosciose delle quali gli uomini non riescono mai a liberarsi del tutto”, dice Freud ne Il perturbante (1919, 114). “Solo pochi casi di manifestazioni infantili d’angoscia ci risultano comprensibili; (…) quando il bambino è solo, quando si trova al buio e quando trova una persona estranea al posto di quella cui è avvezzo (la madre). Questi tre casi si riducono a una circostanza sola, la mancanza della persona amata (agognata)”(Freud 1929, 284).

Freud a proposito della paura dell’oscurità, nei Tre saggi sulla teoria sessuale  (1905) riporta il dialogo di un bambino con la zia: “‘Zia, parla con me; ho paura del buio.’ La zia allora rispose: ‘Ma a che serve? Così non mi vedi lo stesso.’ ‘Non fa nulla – ribatté il bambino – se qualcuno parla c’è la luce”. Egli dunque non aveva paura dell’oscurità, bensì sentiva la mancanza di una persona cara”, commenta Freud (529).

“Insomma, è l’assenza a generare l’angoscia, e l’oscurità è la tela su cui si manifesta la rappresentazione dell’assenza: un negativo della rappresentazione, dunque un’assenza che può risultare insopportabile. La sofferenza che un bambino prova in queste situazioni indicate da Freud – o anche un adulto, in uno stato particolare di regressione, come nelle fasi di addormentamento, o prima del risveglio, o ancora nel corso di una seduta analitica – genera il bisogno che si realizzi una percezione “positiva”, ovvero una rappresentazione possibile che possa far sopportare l’“oscurità” dell’assenza di rappresentazione.” (Baldassarro 2018)

Yniold di fronte al sopraggiungere del buio programmaticamente dichiara in forma attiva il suo intento: Vado a dire qualcosa a qualcuno.

 

Il buio, la cupa foresta che circonda il castello, l’oscurità dell’inverno vengono continuamente rievocate nel testo, contrapposte al desiderio e alla ricerca della luce.

 

Un’altra scena colpisce per la sua particolarità, quella in cui Galaud per spiare Pelléas e Mélisande costringe suo figlio Yniold prima a raccontargli cosa fanno quando sono insieme e poi a salire sulle sue spalle e a dirgli ciò che dei due insieme vede dalla finestra. Le domande di Galaud sono concitate e aggressive, Yniold strapazzato anche fisicamente, si spaventa.

Sembra la rappresentazione concreta del bambino che è in lui, del bambino che lo sovrasta, escluso e disperato e rabbioso.

 

Inevitabilmente considerazioni e associazioni sul testo… ma concluderei con quella musica che ho cercato di descrivere all’inizio in termini qualitativi e che in questa edizione è stata resa in modo splendido a opera della

Budapest Festival Orchestra, diretta da Ivàn Fischer

e di un cast di cantanti veramente bravissimi:

Pelléas, nipote d’Arkel Bernard Richter
Mélisande Patricia Petibon
Golaud, fratellastro di Pelléas Tassis Christoyannis
Arkel, re d’Allemonde Nicolas Testé
Geneviève, madre di Golaud e Pelléas Yvonne Naef
Un medico / voce di pastore Peter Harvey
Il piccolo Yniold, figlio di primo letto di Golaud Oliver Michael.

 

Questa mise en scène ha inoltre il pregio di collocare i cantanti all’interno dell’orchestra, a sottolineare la particolarissima interdipendenza in quest’opera del rapporto voci strumenti, parole musica.

I musicisti sono mimetizzati nella foresta, tutti, anche il regista, indossano lunghe tuniche nei colori della vegetazione.

“L’orchestra e la foresta o il parco che circonda le torri sono un tutt’uno. La musica sgorga dall’ombra degli alberi che circondano i personaggi. Con il passare del tempo ci si abitua a questa oscurità.” (Dall’intervista a Ivàn Fischer, direttore e regista)

 

Bibliorafia

 

Baldassarro A. (2018) Darkness: the obscure object of psychoanalysis. https://www.spiweb.it/wp-content/uploads/2018/01/darkness.-loscuro-oggetto-della-psicoanalisi.pdf

Charton A. (2012) Claude Debussy, Éditions Gallimard Parigi, traduzione di Gianluca Faragalli, Claude Debussy. La vita e la musica, Milano, Hans e Alice Zevi, 2016, ISBN 978-88-98-5992-26.

Freud S. (1899) L’interpretazione dei sogni. OSF 3

Freud S. (1901) Psicopatologia della vita quotidiana. OSF 4

Freud S. (1905) Tre saggi sulla teoria sessuale, OSF 4.

Freud S. (1919) Il perturbante, OSF 9.
Freud S. (1929) Inibizione, sintomo, angoscia, OSF 10

Maeterlinck M. (1902) (libretto) Pelléas et Mélisande. Trad.it L’Orchestra Virtuale del Flaminio. flaminioonline.it  

Franca Munari, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

franca.munari.ls@gmail.com   

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