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Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana

 

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Passeggiata nel Knotgarden di Melanie Klein

di Florence Guignard

Devo a Franca Munari l’onore di partecipare a questa pubblicazione del Centro Veneto e la scoperta dell’esistenza del knotgarden. Grazie a lei, ho imparato che in questi giardini ogni cosa era pensata: la configurazione, i limiti, gli spazi, e le piante che vi crescevano al loro interno, pare si trattasse prevalentemente di piante aromatiche e spesso terapeutiche che anticamente, in francese venivano chiamate piante “semplici”. È esattamente questo che ci si aspetta in psicoanalisi dai concetti proposti dai diversi psicoanalisti nel corso del tempo, e possiamo anche immaginare che Freud avrebbe molto amato questa metafora della sua metapsicologia.

E’ dunque con grande piacere che mi inoltro in questo bel labirinto, per poter rintracciare tra i numerosi contributi di Melanie Klein, quelli che più mi hanno permesso di sviluppare il mio lavoro sia sul piano clinico che sul piano teorico.

Melanie Klein, è innanzitutto l’emblema di una donna di grande intelligenza e coraggio, le cui analisi personali, con quelli che furono due giganti della psicoanalisi, ovvero Sandor Ferenczi e Karl Abraham, l’hanno aperta a una capacità di pensare straordinariamente vasta e ardita.

Melanie Klein è anche un modello di persona corretta, di cui possiamo constatare l’onestà intellettuale nel corso della sua intera opera. Una possibile ed interessante lettura che si può fare dei suoi lavori infatti, consiste proprio nell’individuare i numerosi riferimenti che essa fa all’opera di Freud. In tal modo si può anche appurare in prima persona il rigore della sua comprensione dell’opera freudiana, nonostante il maestro non glielo abbia mai riconosciuto.

 

La responsabilità di una tale dimenticanza da parte di Freud, è sempre ricaduta su Anna Freud. Tuttavia si potrebbe anche leggere in questo abbaglio la difficoltà di Freud nello scoprire che qualcuno si fosse spinto più in là di lui – vedi le sorti della sua amicizia con Ferenczi – e cosa ancor più inammissibile, che si trattasse di una donna! Perché pur nella sua considerevole cortesia e modestia, Melanie Klein aveva ragione: ha ampliato l’opera di Freud pur senza mai tradirla.

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Se dovessi individuare la prima pianta del knotgarden, quella che più si è rivelata indispensabile nel mio lavoro, indicherei la relazione d’oggetto parziale, modalità di funzionamento che per l’intero corso della vita sottende la relazione d’oggetto totale. Quest’ultima infatti, seppur consapevole ed educata, si sgretola rapidamente in caso di conflitto intrapsichico e/o in caso di disaccordo con l’altro, lasciando trapelare il teatro vivente della vita psichica, con il proliferare dei suoi personaggi. Questi ultimi sono oggetti parziali derivanti dalle nostre proiezioni identificatorie di aspetti percepiti, il più delle volte inconsciamente, nelle persone della nostra storia passata.

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Una seconda pianta che individuerei nel knotgarden della Klein, è la proiezione identificatoria[1]– o identificazione proiettiva – sulla quale ho lavorato e scritto molto, nell’ingenua speranza di rendere questo concetto sufficientemente chiaro al punto che i miei colleghi francesi si decidessero a utilizzarlo nella sua più ampia accezione, resa ancora più limpida dai lavori di Bion.

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Proseguendo la mia passeggiata in questo bel giardino, m’imbatto in una frase di Melanie Klein che ha costituito l’elemento guida della mia attività clinica e della mia formazione: “Il bambino mette in scena il modo in cui si sente trattato dai suoi oggetti interni”[2] e a questo, ho aggiunto che lo stesso accade nell’adulto; spetta poi allo psicoanalista di comprendere questa messa in scena e di capire a sua volta come “mettersi in gioco”, come giustamente scrive Marta Badoni. [3]

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Giungo adesso a un posto del knotgarden dove sosterò per il resto del mio lavoro. Si tratta di un luogo un po’ roccioso che si trova negli ultimi due capitoli del primo libro di Melanie Klein: La Psicoanalisi dei Bambini.[4] L’audacia del suo contributo è eccezionale: l’autrice descrive nel dettaglio lo sviluppo psicosessuale prima nel bambino, e successivamente nella bambina, trattando l’argomento in modo puntuale e preciso come nessuno aveva mai fatto prima di allora. Questo lavoro contiene delle gemme che ancora oggi sono estremamente preziose.

Mi soffermerò su una di queste ovvero la rivoluzionaria proposta da Melanie Klein di concettualizzare uno spazio psichico che lei indica come “la fase femminile primaria comune ai due sessi”. Di questo spazio psichico M. Klein fa il luogo dell’identificazione del bébé dei due sessi con il desiderio della madre per il pene del padre e, molto presto per la persona del padre. È nel corso di questa fase femminile primaria che le capacità di introiezione conoscono uno sviluppo considerevole; è anche in questa stessa fase che si trova il punto di fissazione dell’omosessualità. Di conseguenza, per Melanie Klein il ruolo fondamentale che le capacità d’introiezione rivestono nello sviluppo della personalità e dell’intelligenza, affonda le sue radici nell’investimento del femminile. Questo punto di vista rivoluzionario è stato a lungo trascurato all’epoca della pubblicazione del libro nel 1932, poiché troppo in anticipo sui tempi. Nonostante questo, diversi analisti ne hanno riconosciuto l’importanza, me compresa, e nel corso dei miei studi e degli scambi con i colleghi sulla questione del femminile ho spesso fatto riferimento a questa osservazione della Klein.

Associato da Freud[5] a quella forma del masochismo da lui amabilmente definito come “normale”, il femminile, porta nella sua onda associativa direttamente al materno. E’ stato Bion a mettere in luce la funzione vitale dell’attività di “rêverie” della madre per lo sviluppo psichico del neonato – Bion che ha dovuto crescere da solo la figlia Francesca, poiché la madre era morta durante il parto. Da notare quanto abbia dovuto fare appello a importanti capacità d’introiezione e all’identificazione materna della propria madre e della balia, per riuscire a proporre il concetto di “rêverie materna”, concetto diventato poi il prototipo della “capacità di pensare i pensieri” nella sua teoria psicoanalitica rivoluzionaria, teoria che presuppone che i pensieri si trovino tra noi e che siano “in attesa di essere pensati”.

Per sintetizzare un mio contributo nell’ampio ambito del femminile, così come lo ha esplorato Melanie Klein, segnalerei quanto segue:

  • Ho dissociato il femminile dal masochismo ed ho suggerito che tra queste due caratteristiche del funzionamento psichico umano in entrambi sessi esista una relazione simile al nastro di Moebius: uno dei due funzionamenti appare nel momento in cui l’altro scompare e viceversa.[6]
  • Ugualmente ho differenziato l’investimento da parte della donna dell’ancoraggio psicosomatico dello spazio del femminile e dello spazio del materno nel suo corpo. Più precisamente, ho avanzato l’ipotesi che il passaggio del collo dell’utero, luogo “della cesura della nascita”[7] per il bambino, costituisca per la donna il luogo psicosomatico di passaggio tra l’investimento del funzionamento del materno e l’investimento del funzionamento del femminile.
  • Ho proposto uno spazio psichico del materno primario che conterrebbe tutte le prime relazioni del neonato con la madre, uno spazio di sintonizzazione delle rispettive identificazioni proiettive: quelle del bambino che utilizza la madre per contenere le angosce e quelle della madre – la sua capacità di rêverie – che gli restituisce un’esperienza del mondo mitigato, “detossificato”, nuovamente permeabile alla “bellezza del mondo” così ben descritta da Meltzer nella sua originale concezione del “conflitto estetico”.[8] Questo spazio rappresenta il luogo in cui si sviluppano le relazioni d’oggetto parziali, in tutta la loro diversità ed i loro contrasti, fortemente influenzate dalle caratteristiche delle relazioni che l’ambiente intrattiene con il neonato, come ad esempio la sensibilità che questo ambiente esprime nei confronti della bellezza di questa nuova vita e la sua disponibilità alle quotidiane scoperte di questo nuovo cittadino del mondo.

Lo spazio materno primario è lo spazio costitutivo di un contenitore per i contenuti psichici del neonato, e dell’introiezione della relazione contenuto-contenitore che vi si svilupperà nel corso della vita. E’ inoltre lo spazio costitutivo del primo livello delle difese psichiche quali la scissione, il diniego, l’idealizzazione e l’identificazione proiettiva. Il buon funzionamento di questo primo livello di abilità difensive garantirà al piccolo uomo un personale approccio al rapporto che intercorre tra il principio di piacere e il principio di realtà.

Per quanto riguarda le “posizioni” così ben descritte da Melanie Klein, possiamo considerare che lo spazio materno primario contiene i contenuti del funzionamento psichico relativo alla posizione paranoide-schizoide, con tutto il ventaglio delle angosce di annientamento che vi si collegano. E’ infatti in questo spazio del materno primario che è possibile individuare un punto di fissazione delle patologie schizoidi e paranoidi.

Dal punto di vista dei fantasmi originari, aggiungo il fantasma di ritorno ad una vita intrauterina ed il fantasma di castrazione.

Per quanto riguarda la genealogia delle pulsioni[9], considero il materno primario come il primo luogo in cui si manifestano, nelle loro valenze positive e negative, le pulsioni d’amore (L±) di odio (H±) e di desiderio di conoscenza (K±).

Nell’ambito delle identificazioni, questo spazio del materno primario è quello del passaggio da un’identificazione adesiva verso forme di identificazioni che svelano un certo grado di distinzione tra il nucleo dell’Io e gli oggetti, prima esterni e poi anche interni, essenzialmente parziali ma talvolta già totali, nelle relazioni dell’infans con il suo ambiente.

Per poter ascoltare ciò che accade in questo spazio del materno primario, lo psicoanalista deve munirsi di una solida “capacità negativa”, come l’ha definita il poeta Keats[10], e successivamente ripresa da Bion nel suo edificio metapsicologico[11]. Infatti, egli si trova a dover fare i conti con un materiale analitico preverbale, nel quale i linguaggi sensoriali e motori possono tanto esprimere quanto mascherare movimenti relazionali e identificatori estremamente primitivi e di difficile rappresentazione e ancor più di verbalizzazione. Questo spazio rappresenta anche il crogiolo del transfert negativo, del negativismo e della reazione terapeutica negativa[12]. Per quanto riguarda gli autori francofoni, su questo vasto tema, rimando il lettore ai bei lavori di André Green[13] e di Jean Guillaumin[14] “sul negativo”.

Infine, in virtù della plasticità e della fragilità dell’organizzazione psichica all’alba della vita, penso che lo spazio del materno primario rappresenti anche il luogo privilegiato del manifestarsi di ciò che Bion[15], dopo Freud[16], indica come la mentalità di gruppo. In questa mentalità di gruppo, io non considero solo gli aspetti positivi che permettono a un individuo di sperimentare un senso di appartenenza e di solidarietà verso il suo gruppo familiare, sociale o professionale, ma intendo anche gli aspetti negativi di questi, ovvero gli aspetti legati alla mentalità della orda primitiva, che costituiscono un serbatoio di pregiudizi e di complottismo di ogni tipo, sostituendo al pensiero reale la propaganda del non pensiero, imprigionando l’essere umano all’interno di una mentalità primitiva di non-pensiero e, al contempo,  isolandolo  da una comunicazione viva con i suoi simili.[17]

Mi sembra dunque fondamentale per lo psicoanalista in seduta di poter far riferimento alla dimensione del “materno primario” quando ascolta gli aspetti più arcaici dei pazienti. Non è un caso se Bion ha fatto della capacità di rêverie della madre il prototipo della capacità di pensare. Senza la comprensione dell’incontro ripetuto tra la proiezione identificatoria del paziente e quella dello psicoanalista in “rêverie materna”, sarà molto difficile per lo psicoanalista uscire da quello che Bion definiva “parlare di psicoanalisi” per tuffarsi nel suo difficile mestiere che consiste nel “funzionare come un analista”.

4) La mia proposta di un secondo spazio psichico, quello del femminile primario, affonda le sue radici in quello che Melanie Klein, già nel 1932[18], ha chiamato la “fase femminile primaria comune ai bambini di entrambi sessi”, che compare intorno al quarto mese del primo anno di vita. Questa fase occupa esattamente il posto ordinale che, nella seconda parte della sua opera, assumerà l’accesso alla posizione depressiva, con la sua descrizione dell’acme delle difese tramite l’avidità e il sadismo, contro il riconoscimento dell’unità e dell’alterità dell’oggetto, come contro la colpa depressiva che ne deriva. Ricordiamo inoltre che per Melanie Klein, la posizione depressiva costituisce il substrato dell’Edipo primitivo, che vi origina con una successione temporale immediata.

 

Melanie Klein dà della fase femminile primaria la seguente descrizione:

Al momento del conflitto determinato dalla perdita dell’oggetto legato allo svezzamento e sotto l’influenza dell’attivarsi delle pulsioni genitali precoci, il pene diventa, per il bambino come così come per la bambina, un oggetto di desiderio, sia come oggetto investito ex novo, sia come sostituto del seno perso. L’avidità per il possesso di questo nuovo oggetto sovraccarica il piacere della suzione, fino a quel momento prevalente, con un aumento delle pulsioni sadiche verso il corpo materno, sentito come capace di contenere ogni ricchezza desiderabile, e in particolare, il pene paterno. Per Melanie Klein una tale congiunzione del seno e del pene come oggetti di desiderio costituisce una configurazione particolarmente favorevole all’aumento e all’organizzazione del processo di introiezione. Dal punto di vista psicopatologico, individua in questa fase il punto di fissazione dell’omosessualità maschile. Attualmente, seppur la complessità di questa configurazione relazionale sia maggiormente riconosciuta e sia esclusa dal campo della psicopatologia, resta comunque evidente che essa intrattiene dei legami privilegiati con il femminile, legami da scoprire in ciascuna situazione analitica, in ciascun paziente, e non soltanto negli omosessuali attivi.

 

Ho aggiunto qualche proposta personale a questa descrizione della Klein sulla fase femminile primaria:

a) Durante il primo trimestre della vita, una volta che il neonato si sarà ben istallato nello spazio di intimità del materno primario, potrà investire nuovi aspetti del mondo esterno, grazie alla sua integrazione sensoriale e motoria, ma soprattutto grazie all’acquisizione della posizione seduta e della coordinazione oculo-motoria. Il movimento di spostamento, che si origina dal conflitto tra un esterno-troppo-percepito ed un interno-scisso-dalla-cesura-della-nascita, lo spingerà verso l’esplorazione del suo mondo psichico interno, sul modello del suo investimento dell’intero suo tratto digerente[19], modello somatopsichico del suo pensiero nascente, che in breve tempo darà luogo alle prime forme di simbolizzazione.

b) Guidata dall’intuizione della sua capacità di rêverie, la madre inizierà a sentirsi meno indispensabile alla sopravvivenza del suo bambino, e potrà riprendere i suoi investimenti personali, professionali ed affettivi. Per quanto riguarda la sua attività sessuale, se sostenuta dall’amore e dal desiderio del suo compagno, sarà pronta a vivere ciò che D.Braunschweig e M. Fain hanno definito “la censura dell’amante”[20].

c) Per quanto riguarda il neonato, scoprirà uno spazio nuovo, ovvero quello dell’alterità, con il suo corollario: la solitudine umana. Queste due componenti dello spazio del femminile primario forgeranno la sua identità, e l’accompagneranno fedelmente fino alla morte, nella buona e nella cattiva sorte.

d) Dal punto di vista dei fantasmi originari, lo spazio del femminile primario rappresenta il luogo del fantasma di seduzione e del fantasma della scena primaria. Il neonato di quattro mesi si organizzerà in funzione dell’interazione di questi due fantasmi con l’intensificarsi delle sue pulsioni genitali. Si organizzerà secondo le sue capacità di introiezione, presenti sin dalla nascita, ma particolarmente sollecitate a svilupparsi all’interno di questa nuova configurazione che ho appena descritto. Queste capacità introiettive lo sosterranno nell’effettuare l’inevitabile lutto della sua “madre del materno primario”, di cui potrà conservare, per tutta la vita, l’infinita varietà di tracce introiettate, principalmente sotto forma di oggetti parziali, e successivamente nel suo insieme di caratteristiche di oggetto totale e distinto da lui-nel-divenire- soggetto.

e) Aggiungerei che la qualità più o meno sadica, o al contrario, epistemofilica dei suoi processi di introiezione dipenderà in gran parte dalla nuova natura dell’investimento di cui egli ora è oggetto da parte del suo ambiente familiare e sociale.[21]

f) In tal modo, lo spazio del femminile primario è occupato nel neonato dalla rappresentazione inconscia della configurazione che corrisponde alla deidealizzazione della coppia madre bambino, la fine della “luna di miele”, della “malattia normale della madre” – che per quanto normale, è pur sempre una malattia. Nel momento in cui il bambino è più pronto ad effettuare degli spostamenti dei suoi investimenti, la vita dei genitori, della famiglia e della società si riprende i suoi diritti. Come Melanie Klein aveva già osservato, questo spazio psichico contiene in sé la prima triangolazione osservabile nell’essere umano. Si tratta del primo luogo del desiderio per l’Altro-dalla-madre, il luogo dell’assenza, del negativo, dell’abbandono reciproco e di conseguenza di ogni potenzialità dei processi di lutto. Possiamo quindi a buon diritto considerarlo come luogo della nascita di ogni problematica edipica. Dalla buona costruzione di questo spazio dipenderà l’equilibrio economico della bisessualità psichica in relazione al genere biologico dell’individuo.

g) Il costituirsi di questo nuovo campo di investimento porta con sé una complessificazione ed una riorganizzazione della modalità relazionale del neonato, sia nei suoi aspetti narcisistici che in quelli oggettuali, che lo metterà in grado di organizzare delle relazioni-di-relazioni tra l’area del materno primario e quella del femminile primario. Come corollario, l’organizzazione delle sue identificazioni assumerà un ruolo più significativo nei suoi meccanismi di introiezione, portando ad un aumento delle sue identificazioni introiettive[22], che costituiscono proprio il nucleo dell’Io. In tal modo, il destino dell’Io si trova intrinsecamente legato a quello del femminile.

 

 

Qualche riflessione conclusiva

È ormai necessario che io esca dal labirinto del knotgarden proposto da Franca Munari. Lo farò prendendo la seguente scorciatoia, rivolta soprattutto ad incoraggiare gli altri a cimentarsi a loro volta nei percorsi che ho delineato.

Il modello teorico di uno spazio del materno primario ben inquadra le osservazioni e le ipotesi elaborate sull’inizio della vita psichica e sulla capacità di pensare. Rispetto al modello di uno spazio del femminile primario, questo è fondamentale ai fini dell’esplorazione delle relazioni edipiche successive e dell’evoluzione della bisessualità psichica, attraverso le identificazioni primarie.

Gli spazi psichici del materno primario e del femminile primario intrattengono con le pulsioni e i loro destini dei legami molto forti, soprattutto attraverso la “co-eccitazione libidica”, nel punto di articolazione del desiderio-di-essere-conosciuto con il desiderio-di-conoscere, in altri termini nel punto di congiunzione delle pulsioni d’amore e di odio con la pulsione epistemofilica. Se dunque, come disse Freud, la libido è maschile, io penso che si possa situare il desiderio di conoscenza- conoscere-essere conosciuti- sul versante dell’intricazione del maschile con il femminile.

 

Queste componenti materne e femminili della pulsione saranno ovviamente male accettate dall’infantile[23] di qualsiasi essere umano, in virtù del carattere per lui narcisisticamente insostenibile della scoperta della sessualità della propria madre. Rimossa con forza nei nevrotici, essa sarà scissa e forclusa nei perversi e negli psicotici. A proposito del Piccolo Hans, ho scritto altrove[24] che individuo in questo passaggio l’origine della cosiddetta teoria infantile “unisex”.

La proiezione e l’introiezione costituiscono la respirazione della vita psichica e raramente osserviamo un disfunzionamento dell’una senza constatare dei disturbi nell’altra. Conosciamo numerose patologie dell’introiezione, a partire dal mericismo, fino all’anoressia. Ricordiamo inoltre gli stati autistici, gli ADHD[25],  i gradi diversi di inibizione intellettiva fino alle sindromi di disabilità mentale psicogena. Questi disturbi dell’introiezione, spesso vanno ad aggiungersi a disfunzionamenti della proiezione, e possono persino arrivare a degli stati paranoici o paranoidei.

Ricordiamo anche che l’analità – costruita sulla base dello spazio del femminile primario – è spesso utilizzata come una difesa contro il riconoscimento della differenza dei sessi e contro la castrazione che essa implica per i soggetti di entrambi sessi.

Nel 1985, nella sua discussione alla mia relazione alla SPP sul “il sorriso del gatto” (vedi nota 12), André Green sottolineò l’impossibilità di definire il femminile e il maschile se non l’uno in relazione all’altro. Questo d’altronde rimandava implicitamente alla definizione della “fase femminile primaria” di Melanie Klein, con l’identificazione dell’infans al desiderio della madre per il pene del padre. Oggi mi domando se la loro coesistenza nelle identificazioni fondanti della bisessualità psichica non funzioni secondo la modalità di un Nastro di Moebius. Questa ipotesi che implica una flessibilità sufficiente della psiche per integrare un andirivieni permanente tra queste due posizioni, chiederebbe di essere esaminata soprattutto nei numerosi casi di disforia di genere.

 

                                                                                                                   

 

 

E la nave va…[26]

Chandolin, 13 novembre 2022

 

Traduzione di Ilenia Caldarelli e Franca Munari

 

 

[1] Ho finito per adottare questa traduzione in francese di projective identification: in effetti essa rispetta di più la logica della successione temporale di questi due movimenti psichici, per come viene proposta in inglese: la proiezione prima che determina immediatamente dopo di conseguenza l’identificazione.  

[2] Klein M. (1929). La personificazione. In: Scritti 1921-1958, Torino, Boringhieri, 1978.

[3] Badoni M. (2023). Prendersi in gioco. Una psicanalista racconta. Milano, Raffaello Cortina Editore.

[4] Klein M. (1932). La psicoanalisi dei bambini. Firenze, Martinelli Editore, 1988.

[5] Freud S. (1924). Il problema economico del masochismo. OSF 11.

[6] Guignard F. (1986). Le Sourire du Chat; Réflexions sur le féminin à partir de la pratique analytique quotidienne. Bull. Société Psychanalytique de Paris, n. 9, Paris P.U.F. Ripreso in: Guignard F. (1997). Épître à l’objet, Coll. Épîtres, Paris P.U.F. p.129-145.

[7] Guignard F. (1997). Mère et fille: entre partage et clivage, EPCI. Pubblicato in: Guignard F. (2002). La relation mère-fille. Entre partage et clivage. Paris, In Corso di pubblicazione, a cura di Thierry Bokanowski et Florence Guignard, Coll. de la SEPEA.

[8] Meltzer D. (1981). La comprensione della bellezza e altri saggi di psicoanalisi. Torino, Loescher editore.

[9] Guignard F. (1997). Généalogie des pulsions, Épître à l’objet. Paris P.U.F. Coll. Épîtres p. 26-32.

[10] December 1817, the poet John Keats (1795-1821) wrote to his brothers: “I had not a dispute but a disquisition with Dilke, on various subjects; several things dovetailed in my mind, & at once it struck me, what quality went to form a Man of Achievement especially in Literature & which Shakespeare possessed so enormously – I mean Negative Capability, that is when man is capable of being in uncertainties, Mysteries, doubts, without any irritable reaching after fact & reason” Forman, 1952, 72.

[11] Bion W. R. (1970). Attenzione e Interpretazione. Roma, Armando, 1982.

[12] Bégoin-Guignard F. (1989). Symbolisation et géographie des identifications. Rev.Franç.de Psychanal. 6, 1989.

[13] Green A. (1993). Il lavoro del negativo. Roma, Borla, 1996.

[14] Guillaumin J. (1987). Entre blessure et cicatrice. Le destin du négatif dans la psychanalyse. Ceyzérieu, Champ Vallon.

[15] Bion W. R. (1959). Esperienze nei gruppi e altri saggi. Roma, Armando Armando Editore, 1972.

[16] Freud S. a) (1912–1913) Totem e tabù.  OSF 7 ; b) Freud S. (1921) Psicologia delle masse e analisi dell’Io. OSF 9.

[17] Bégoin-Guignard F. (1992). Œdipe et la Horde primitive, Culpabilité et mentalité de Groupe. Psychanalyse dans la Civilisation. Paris.

[18] Klein M. (1932). La Psicoanalisi dei bambini. Firenze, Martinelli, 1970.

[19] Guignard F. (1995). Prégénitalité et scène primitive. Rev. Franç. Psychanal. n° 3, 1995.

[20] D. Braunschweig et M. Fain (1975). I ritmi della vita mentale. Roma, Borla, 1983.

[21] Guignard F. (1981). Pulsions sadiques et pulsions épistémophiliques, La Curiosité en Psychanalyse. Ouvr. coll., Toulouse, H. Sztulman, Opera esaurita, ripresa in: Guignard F. (1997). Épître à l’objet, Coll. Paris, Épîtres P.U.F., 75-86.

[22] Credo che le identificazioni introiettive si lascino definire abbastanza bene sul modello della cultura della quale si dice che è “ciò che resta quando si è dimenticato tutto”.

[23] Guignard F. (2021). Podcasts de l’Association Psychanalytique Internationale https://link.chtbl.com/-KJqtMpr. In Francese: https://link.chtbl.com/p-eqlPO- Toutes langues.

[24] Guignard F. (1993). Différence des sexes et théories sexuelles. Désir et danger de connaître. Rev. Franç. Psychanal., 1993, n° spécial Congrès.

[25] Guignard F. (2019). Les devenirs de la sensorialité: un itinéraire de la capacité de penser, des TDAH à la petite madeleine de Proust, en passant par la mentalité de groupe de Bion. CIRPPA Groupe et sens, Toulouse, Édition Érès, 2020.

[26] In italiano nel testo

Florence Guignard, Chandolin (Svizzera)

Societé Psychanalitique de Paris (SPP)

florenceguignard@bluewin.ch

                           

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