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Paolo Dall’Oglio, la profezia messa a tacere

di Ambra Cusin

 Paolo Dall’Oglio, la profezia messa a tacere.
 Paolo Dall’Oglio, la profezia messa a tacere.

 “Paolo Dall’Oglio, la profezia messa a tacere”. A cura di Riccardo Cristiano, San Paolo ed., 2017, Milano.

 

Credo che la pace sia qualcosa che si costruisce con i propri nemici. Perché non si farà mai pace se nell’altro si cerca solo quello che ci assomiglia. Fare la pace significa avere curiosità, attenzione, apertura verso la differenza. Bisogna immaginare di poter imparare qualche cosa. Per questo però c’è bisogno di creare spazio per il dialogo, per la curiosità e per l’intesa” (Dall’Oglio in Cristiano, 2017, 32).

Non è facile parlare di pace, trovare le parole giuste in quanto è necessario affrontare il difficile discorso sulla guerra. Difficile perché muove emozioni e paura.

Per molte persone l’idea di pace, che è stata declinata in vari modi, come spiega bene il collega Perini in un articolo del 2014 pubblicato su spiweb, è uno stile, metodo di vita. Come dice Spinoza (1670) la pace non è assenza di guerra, ma “una virtù, uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia”. Se Vegezio nel IV secolo affermava: si vis pacem para bellum – nel 1909 Turati sostiene: “si vis pacem para pacem” (cit. in Perini M., 2014). Parole che mettono in gioco molto del sapere psicoanalitico attorno al costante conflitto tra aspetti vitali e aspetti distruttivi, tra Eros e Thanatos. Quanta lotta dobbiamo personalmente e faticosamente fare tra queste pulsioni per giungere ad essere disponibili alla benevolenza, alla fiducia e alla giustizia?

Il testo è una carrellata di testimonianze di persone che hanno conosciuto p. Paolo, non solo persone di fede come p. Lombardi s.j. e un amico come p. Larivera s.j., ma anche giornalisti come il vaticanista Riccardo Cristiano che ha curato il testo, docenti di storia contemporanea come Impagliazzo, filosofi come Campanini oltre agli amici Asmae Dachan siriana e musulmana e l’imam Nader Akkad, siriano di Aleppo. Un testo che ci aiuta a capire come operare per la pace.

È difficile in poche righe raccontare chi è padre Paolo, un semplice gesuita che si è fatto siriano, ha tenute unite due fedi, la cristiana e l’Islam perché aveva “capito in profondità il senso di essere uniti con una fede che mette insieme i cuori e non divide” (Akkad in Cristiano, 2017, 203).

Di Dall’Oglio non abbiamo più notizie dal 2013, ma il suo pensiero rimane fortemente vivo soprattutto in questa nuova atmosfera di guerra e di orrore che sembra non lasciare alcun barlume di speranza. “Nella speranza occorre metterci la fatica. E costa […] È credere nella possibilità che si realizzino le cose ardue in cui ci si impegna direttamente” (Larivera in Cristiano, 2017,187). Come differenziare questa speranza dall’illusione? Il confine è molto nebbioso, intrecciato con aspetti del nostro mondo interno che spesso rendono le cose confuse, caotiche, dove molti elementi beta, grezzi, non ancora rappresentabili attendono di poter essere trasformati. Freud ha usato poco il termine speranza nei suoi lavori anche se “generosamente ne parlava nel privato e nei suoi carteggi” (Corsa, 2015,145). Freud infatti in una lettera a Rolland (1926, 329) si dice essere “assertore dell’amore umano […] in quanto indispensabile alla conservazione della specie umana”, in Avvenire di un’Illusione (1927) afferma però di riporre  la speranza nella ragione e nella scienza. I pensieri di p. Paolo non sono mere illusioni, sono frutto di raziocinio e di un impegno personale che è la cifra della sua vita. Ma sono anche prodotto proprio di quell’amore umano, di cui parla Freud, necessario alla nostra sopravvivenza.

Il dialogo era il suo impegno politico perché è il dialogo che porta alla pace e alla giustizia, ma non deve essere un dialogo fatto di chiacchiere ma di segni e fatti concreti.

Chi si appresta a dialogare non conosce le risposte agli interrogativi” (Dall’Oglio in Cristiano, 2017, 42). Sembra qui risuonare uno dei cardini del nostro lavoro come psicoanalisti: la capacità negativa, l’operare senza memoria né desiderio, la capacità di attendere ascoltando?

Sempre rispetto alla speranza Impagliazzo (ibid.,199) afferma anche che non solo non dobbiamo smettere di sperare, ma dobbiamo lavorare per la pace (e mi viene da aggiungere che forse anche il nostro lavoro nei gruppi P.E.R. (Psicoanalisti Europei per i Rifugiati) ha il compito di operare, attraverso la riflessione e, se possibile attraverso l’impegno concreto con operatori e migranti, per la pace) e dire con forza che non ci stiamo. “Non ci sto a questa carneficina, non ci sto a guardare le cose con questa freddezza, con questa distanza sempre ripiegati sui nostri problemi. C’è un problema gigantesco che ci solleva questa guerra ai confini con l’Italia” sul Mediterraneo come la Siria. Parole che dicono della guerra in Siria, ma che possono essere traslate senza timori alla nostra quotidianità dove Ucraina e Russia si bagnano nella nostra stessa acqua!

Nonostante i gravi problemi che ci attraversano, mai rinunciare all’idea che il dialogo, che l’incontro con l’altro comunque porterà ad un mondo migliore. Altrimenti ci rassegneremo a chiuderci nei nostri mondi, ad abbassare la testa, ad addormentarci, a rimbambirci e a non soffrire e non partecipare più con chi realmente soffre situazioni veramente tragiche e difficili” afferma sempre lo storico Impagliazzo (ibid.,199-200). Non è illusione, ma una chiamata all’impegno libero da infantili ottimismi e da comodi discorsi da salotto.

Una delle cose che sottolinea Cristiano nel libro è l’importanza che i sistemi di potere non abbiano paura di confrontarsi con il dissenso, cercando tutte le possibili vie per includere piuttosto che escludere.

Come p. Paolo non possiamo girare la testa al grido delle popolazioni, tante, troppe, che sono nella sofferenza. Questa, dice Akkad (ibid.,202) “è una crisi etica, morale che viviamo quotidianamente, da anni […] siamo bombardati d’informazioni, ma purtroppo tanta informazione […] ha messo rancore davanti al nostro cuore al punto che non vediamo più niente, ci chiudiamo davanti ai nostri problemi dimenticando il grido di chi ha sete”. Anche qui le parole di Akkad appaiono come tragicamente attuali specie se le colleghiamo alle riflessioni di Fattori sul tema del rancore (2020,344) dove afferma come di fatto sia “sempre presente nella melanconia, costituendo un nucleo di aggressività inconscia rabbiosa e persistente che finisce per rivolgersi contro il soggetto, condizionandone la vita psichica, depauperandola e macerandola fino a distruggerla” . Quanto ci è necessaria oggi, a livello macrogruppale, l’ottica psicoanalitica che, come afferma Fattori, è in definitiva una terapia del rancore?

In Dall’Oglio, uomo e gesuita che ha donato la sua vita per la pace, troviamo passaggi che non possono lasciarci indifferenti specie quando parla dell’uso delle armi. p. Dall’Oglio è senza dubbio un rivoluzionario democratico (sembra quasi un ossimoro!). La democrazia per lui è una decisione di prospettiva, dice Consorti, docente Università di Pisa, fondatore del Centro interdisciplinare Scienze per la pace, per la quale p. Paolo “assume persino la possibilità di imbracciare le armi. La sua posizione favorevole all’intervento armato è esplicitamente rivolta alla necessità di garantire la difesa del popolo, militarmente attaccato da più lati e da più fronti […] e si mostra convinto dell’opportunità di reagire anche con le armi contro la violenza che opprime i poveri. Siccome la criminalità non si piega davanti ai valori simbolici, ammette il ricorso alla forza armata. […] L’imperativo della difesa delle vittime prevale sopra ogni altra necessità morale” (Consorti in Cristiano, 2017,149-150). Sono parole potenti, che fanno tremare ma che sono sostenute da chi certamente ha impegnato tutto se stesso per la pace, libero da illusioni rassicuranti e consapevole della sua fragilità e della forza della medesima.

Per concludere questa breve carrellata di alcune delle tante citazioni dei discorsi sulla pace di Dall’Oglio e di chi lo ha conosciuto personalmente, penso di poter affermare come p. Paolo possa rappresentare, almeno per me, un oggetto interno, parte di noi coraggiosa, leale e onesta a cui fare riferimento per far fronte ai vari aspetti dittatoriali del mondo interno – che riverbera quelli del mondo esterno – assetati di potere oggi fortemente stimolati e richiamati per alimentare il bisogno distruttivo dell’umanità.

Già duemila anni fa un semplice falegname di nome Gesù, affermava: “Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male” (Mc,7,21). Oggi noi con la psicoanalisi possiamo vedere la questione del male, quindi anche della guerra, in una maniera non più orientata a cercare dove abiti il male per schierarsi dalla parte del bene attraverso la benevolenza, la fiducia e la giustizia – peraltro indispensabili – ma impegnandoci nel tentativo di governare, l’ambivalenza che ci abita.

Bibliografia

Corsa R. (2015). Limite è speranza. Alpes, Roma.

Fattori L. (2020). Rancore inconscio e depressione melanconica. Riv. Psicoanal. n. 2/2020.

Freud S. (1926). A Romain Rolland. OSF, 10.

Freud S. (1927). Avvenire di un’illusione. OSF, 10.

Spinoza (1670). Trattato teologico-politico. Einaudi, 2007, Torino.

Sitografia

Perini M. (2014). Si vis pacem para bellum in https://www.spiweb.it/dossier/dossier-psicoanalisi-e-guerre-gennaio-2014/si-vis-pacem-para-bellum/

Ambra Cusin, Trieste

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ambracusin@gmail.com

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