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Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana

 

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Melanie Klein e la scoperta del concetto di invidia nello sviluppo psichico e nella stanza di analisi

di Camilla Pozzi

Il lavoro di Melanie Klein sul quale vorrei soffermarmi è “Invidia e Gratitudine” (1957), uno degli ultimi scritti dell’Autrice, in quanto, con l’introduzione del concetto di invidia, M. Klein diede l’avvio ad un importante sviluppo in psicoanalisi, quello di trovare parole con le quali fare un esame accurato delle emozioni, appunto come aveva precedentemente incominciato a differenziare diverse qualità di dolore mentale, la qualità persecutoria e la qualità depressiva.

In questo lavoro cercherò di ripercorrere i principali passaggi della teorizzazione di M. Klein contenuti nello scritto dell’autrice e, in particolare, le caratteristiche dell’invidia primaria, i suoi effetti ed il suo stretto rapporto con i processi di scissione.

Un altro aspetto sul quale vorrei soffermarmi, ritenendolo di centrale importanza, riguarda più specificatamente la tecnica analitica. M. Klein, infatti, mise in evidenza le difficoltà che si accompagnano al progresso dell’analisi di pazienti in cui l’intensità dell’invidia e dell’odio primari non consente l’interiorizzazione di un buon oggetto interno. M. Klein cercò di dimostrare, avvalendosi del materiale emerso dai casi clinici trattati, come analizzando ripetutamente le angosce e le difese legate all’invidia e agli impulsi distruttivi, si potesse ottenere un notevole progresso verso l’integrazione della personalità. Ritengo che queste teorizzazioni riguardo alla tecnica, costituiscano tutt’ora elementi preziosi per il nostro lavoro analitico.

 

L’invidia come fattore che intensifica gli attacchi contro l’oggetto primario era stata oggetto di indagine già in precedenti lavori dell’Autrice. Nella “Psicoanalisi dei bambini” (1932), sulla scorta di certe indicazioni di Abraham, che come al solito l’autrice riprendeva ed approfondiva, l’invidia venne ricondotta alle origini stesse della vita del neonato.

L’invidia si inserirebbe dunque nella teorizzazione generale della relazione oggettuale e secondo M. Klein essa esisterebbe nel bambino a partire dalla nascita, costituendo una componente estremamente pericolosa della pulsione di morte eterodiretta, proiettata cioè, attraverso gli attacchi oro- ano- uretrali, nella realtà esterna e in primo luogo nei confronti del seno e del corpo materno.

 

L’INVIDIA PRIMARIA

L’invidia primaria è quella sperimentata in relazione al seno. Il bambino infatti, secondo M. Klein, sente che il seno possiede tutto quello che egli desidera, latte e amore, ma che lo tiene tutto per sé. La sensazione che deriva da questa consapevolezza conduce ad un aumento degli attacchi sadici verso il seno.

Klein aveva già affermato, nel suo lavoro La psicoanalisi dei bambini (1932), che gli attacchi al seno materno fossero determinati da impulsi distruttivi. Ora però viene enfatizzato il ruolo che l’invidia riveste nell’intensificare la forza di questi attacchi.

Il bambino sperimenterebbe l’invidia per il seno sia quando esso è deprivante che quando è gratificante.

Infatti, nel caso in cui il neonato non riceva abbastanza nutrimento egli avrà la sensazione che il seno diventi cattivo perché tiene per sé il latte, l’amore e tutte le cure che sono associate al seno buono. Egli allora odierà ed invidierà il seno che percepirà come avaro e meschino.

Mentre, nel caso in cui il seno sia percepito come gratificante, sarà proprio la facilità con il quale il latte fluisce da esso a suscitare nel bambino l’invidia. Egli, infatti, sentirà il seno come un oggetto irraggiungibile e perfetto.

Mi sembra che, per poter fare chiarezza sul legame tra invidia e qualità dello sviluppo dell’infante, sia importante avere in mente quale fattore M. Klein individuò essere fondamentale nel determinare il destino psichico del bambino. Ella, infatti, sosteneva che fossero l’intensità e l’invasività dell’invidia sperimentata dal neonato, a costituire la linea di confine tra uno sviluppo normale ed uno patologico della sua salute psichica.

Infatti, l’invidia, fornendo nuovo impeto agli attacchi sadici rivolti al seno, condurrebbe al deterioramento dell’oggetto primario buono. Il seno, così attaccato, perderebbe il suo valore e diverrebbe cattivo essendo stato avvelenato dall’urina e dalle feci.

Quando l’invidia è eccessiva essa causerebbe attacchi estremamente intensi e sadici rendendo molto difficile per il neonato la possibilità di recuperare l’oggetto buono che è andato perduto. Potrebbe derivarne, infatti, un circolo vizioso: la percezione del male causato dall’invidia, la forte angoscia che ne deriva e la conseguente incertezza sulla bontà dell’oggetto diverrebbero la causa, a loro volta, dell’intensificarsi degli impulsi distruttivi. Conseguenza di ciò sarà allora la mancanza della possibilità di godere del seno e quindi l’impossibilità di provare un sentimento di gratitudine come accade quando si può godere di qualcosa. Il godimento e la gratitudine non essendo sperimentabili non potranno esercitare la loro funzione di mitigatori dell’avidità e della distruttività.

Quando invece l’invidia è più mite gli attacchi sadici contro il seno potranno essere meno intensi e di minor durata. La bontà dell’oggetto non verrà allora minata in modo violento e duraturo nella mente del bambino ed egli potrà godere nuovamente del seno che conserverà la sua caratteristica di bontà. M. Klein sottolineò come, attraverso l’osservazione dei bambini, si potesse trovare un riscontro di questo atteggiamento infantile. Ella richiamò l’attenzione su quei bambini che prima del pasto piangono tenacemente per poi rasserenarsi non appena ricevono il latte. Ciò sembra essere una prova della loro capacità di riguadagnare il loro buon oggetto che era andato momentaneamente perduto.

Possiamo quindi osservare che, secondo M. Klein, gli stati di odio, invidia, dolore sono comuni a tutti i bambini e prescindono dalle cure e dall’amore ricevuto dalla madre. Tuttavia, il bambino che, a causa di un’eccessiva invidia, non sia stato in grado di costituire un buon oggetto interno non potrà superare questi stati. Al contrario, il bambino che, non afflitto da un’invidia troppo intensa, ha potuto stabilire un rapporto ben radicato con l’oggetto buono, trarne godimento e provare gratitudine, potrà superare con successo questi stati negativi e riguadagnare ogni volta il buon rapporto con l’oggetto. Secondo M. Klein, questa sperimentata stabilità di rapporto è essenziale perché fornisce all’Io la possibilità di crearsi delle solide basi. Il rapporto con il seno materno potrà allora divenire il prototipo dei sentimenti d’amore che si svilupperanno verso altre persone.

 

CONDIZIONI PER LA NASCITA DELLA FIDUCIA NELL’OGGETTO

Come abbiamo visto, secondo M. Klein, quando il bambino prova gratificazione significa che avverte di aver ricevuto dall’oggetto amato un dono prezioso che egli vuole conservare. Questa è la base della gratitudine, ciò che permette il nascere del sentimento di fiducia nell’oggetto primario e successivamente nelle altre persone con cui si instaureranno dei rapporti. Ma non solo. M. Klein sottolineò come il fatto di poter provare spesso una sensazione di godimento per qualcosa che viene offerto potesse portare alla nascita del desiderio di ricambiare quanto ricevuto. Questa esperienza ricorrente permetterebbe a sua volta l’instaurarsi della fiducia nella propria bontà ed avrebbe quindi un ruolo molto importante nel creare le capacità riparative e sublimatorie e la possibilità di essere generosi. Proprio queste capacità, secondo M. Klein, sarebbero carenti in chi non ha assimilato l’oggetto buono, né quindi provato gratitudine per esso. In questi casi il donare qualcosa, l’essere generosi, attiverebbe il sentimento di essere impoveriti, derubati.

In tutte le persone, sotto la pressione dell’angoscia, possono rimanere scosse la fiducia e la fede negli oggetti buoni, ma sarebbe l’intensità e la durata di questi stati di dubbio e di sconforto e di persecuzione a determinare se l’Io possa essere capace di reintegrarsi e reinsediare con sicurezza i suoi oggetti buoni.

 

INVIDIA E SCISSIONE PROFONDA

Klein riteneva che il processo di scissione fosse fondamentale per il mantenimento di una relativa stabilità nel bambino piccolo, una difesa in grado di salvaguardarlo dall’angoscia primaria. Così, durante i primi mesi di vita, il bambino tenendo separato l’oggetto buono da quello cattivo, lo proteggerebbe e lo conserverebbe accrescendo di conseguenza la sicurezza dell’Io. Questa divisione precoce sarebbe possibile solo in presenza di un’adeguata capacità di amare l’oggetto buono ed essa fornirebbe la base per la successiva integrazione di questi due aspetti scissi.

L’invidia eccessiva, invece, intralcerebbe il costituirsi del processo di scissione precoce tra seno buono e cattivo. Verrebbero allora a mancare le basi per una futura integrazione e per le successive differenziazioni tra buono e cattivo. Mi sembra molto interessante anche la distinzione proposta da M. Klein, nella sua esplorazione dei processi di scissione, sulla differenza tra oggetto buono e oggetto idealizzato. Mentre nella scissione evolutivamente adeguata, la divisione operata separerebbe l’oggetto buono da quello cattivo, nel caso di una scissione inadeguata o eccessivamente profonda, a causa dell’invidia eccessiva, la divisione metterebbe in contrapposizione un oggetto idealizzato ed uno estremamente cattivo. In questo caso il bambino che si senta sopraffatto da angosce persecutorie, riconducibili alla forza degli impulsi distruttivi provati (il seno divorante) troverà allora nell’idealizzazione dell’oggetto un riparo contro di esse (il seno idealizzato). Ma mentre l’oggetto buono può trarre origine dalla capacità di amare e potrà essere quindi saldamente integrato nell’Io, l’oggetto idealizzato, originandosi dalla persecuzione, sarà molto meno radicato e integrato.

Inoltre, questa prima idealizzazione (verso il seno), secondo M. Klein, risulterebbe precaria perché non sufficiente a tutelare l’oggetto dall’invidia. Infatti, l’invidia precedentemente diretta verso l’oggetto buono sarà successivamente indirizzata anche al suo aspetto idealizzato. Questo accadrà anche per l’identificazione con oggetti successivi. La persona che è stata in precedenza idealizzata verrà poi sentita come un persecutore e su di essa saranno proiettati gli atteggiamenti critici ed invidiosi del soggetto. Non sarà infatti possibile mantenere l’idealizzazione, l’oggetto amato dovrà essere spesso sostituito perché non in grado di soddisfare le aspettative del soggetto.

 

ANALISI DIFFICILE MA NON INTERMINABILE

Meltzer (1983) ha proposto un interessante confronto tra questo lavoro di M. Klein e lo scritto di Freud “Analisi terminabile ed interminabile” (Freud, 1937). I due lavori potrebbero essere giustapposti in quanto in entrambi l’attenzione appare diretta alla relazione terapeutica negativa. D. Meltzer ha sottolineato però come, a suo avviso, quello di Freud sia stato “un valido ma sconsolato documento sulla psicoanalisi”, mentre quello di M. Klein sembrasse “contenere in sé molte speranze”. Il pessimismo di Freud sarebbe, per l’autore, riconducibile alla sua fedeltà alla teoria della libido, poiché egli pensava che alla fine ogni cosa fosse un problema di principi economici della mente, di forze che si scontrano con l’Io, le une contro le altre, gli istinti di vita e di morte. Anche M. Klein riconobbe i fattori costituzionali – relativi all’invidia – che considerava una delle principali manifestazioni dell’operare dell’istinto di morte sull’Io, ma ciò che soprattutto sottolineò fu un punto di vista strutturale e cioè che il ruolo dell’invidia nella personalità possa dipendere principalmente dalla sua posizione o distribuzione. Il sé buono e l’oggetto idealizzato avrebbero quindi bisogno di stare insieme per un discreto periodo di tempo fino a poter divenire abbastanza forti da accettare un po’ di cattiveria nel loro connubio. D. Meltzer ha sottolineato come questo modello del processo inerente allo sviluppo e il ruolo della scissione e idealizzazione e la successiva integrazione dell’invidia distruttiva resero possibile immaginare che l ‘invidia potesse essere attenuata nella sua virulenza. I progressi di M. Klein nella teorizzazione dei meccanismi di scissione e nella natura delle identificazioni narcisistiche diedero nuova sostanza ai concetti strutturali di Freud e li portarono all’interno della stanza di terapia. L’analista poteva incominciare a studiare non solo in termini di Io, Es, Super-Io ma anche riguardo alle parti di personalità e alle parti degli oggetti ai quali essi erano collegati.

 

NELLA STANZA D’ANALISI

Possiamo ora osservare come, pur soffermandosi a lungo ad analizzare le difficoltà e i rischi del trattamento di questi pazienti, l’autrice abbia cercato di individuare un percorso attraverso il quale pervenire ad un miglioramento della personalità dei pazienti.

Klein sottolineò dunque, certamente, le enormi difficoltà connesse all’analisi dei contenuti più profondi e precoci relativi ai sentimenti di invidia e di competizione, estremamente dolorosi e quindi difficili da accettare per il paziente. M. Klein descrisse vari aspetti della reazione terapeutica negativa che si presentavano nel corso delle analisi. Per esempio, il paziente poteva provare gratitudine ed apprezzamento per la capacità dell’analista ma proprio questa capacità suscitava in lui, al tempo stesso, anche invidia e quindi ostilità verso il terapeuta. Oppure poteva manifestare un atteggiamento di possessività verso l’analista. L’avidità che ne conseguiva causava un sentimento di colpa nel paziente che, a sua volta, innescava un rifiuto difensivo di quanto offerto dall’analista. Quest’ultimo aspetto tuttavia poteva portarlo, infine, a rimproverarsi di non essere collaborativo, di sfruttare insomma il suo analista. Questi atteggiamenti si potevano alternare, nel corso delle analisi, all’angoscia persecutoria di percepirsi derubato delle proprie difese, dei propri sentimenti e pensieri.

Tuttavia, nonostante tutte queste difficoltà, M. Klein era, al tempo stesso, convinta del ruolo fondamentale del lavoro psicoanalitico per l’elaborazione di questi conflitti e sofferenze profondi in modo da poter consentire al paziente, per mezzo del rapporto di transfert, di poter rinsaldare il suo oggetto buono e il suo amore per esso.

Klein mise in evidenza come le interpretazioni dell’analista che si riferiscono all’odio ed all’invidia verso l’oggetto primario, mobilitino nel paziente una parte del Sé che è sentita come un nemico dell’Io e dell’oggetto amato ed è stata perciò scissa, allontanata ed annullata. Infatti, le angosce e il senso di persecuzione che derivano da queste interpretazioni erano ritenute da M. Klein, più dolorose di qualsiasi altro materiale che si possa interpretare.

Dato che non può esservi angoscia senza che l’Io metta in moto le difese a disposizione, una difficoltà che M. Klein riteneva si verificasse in queste analisi, derivava dalla tenacia con cui il paziente tendeva ad aggrapparsi ad un forte transfert apparentemente positivo ma, in realtà, ingannevole perché basato sull’idealizzazione per dissimulare l’odio e l’invidia che erano stati scissi.

Il paziente, messo a confronto con i suoi impulsi distruttivi poteva sentirsi esposto alla distruzione durante il processo di accettazione e di integrazione di queste parti quali aspetti di sé stesso. Inoltre, il senso di colpa conseguente alla presa di coscienza della componente distruttiva, avrebbe potuto portarlo temporaneamente ad un’inibizione delle sue capacità. M. Klein sostenne quindi l’importanza di non tentare di affrettare questi passi verso l’integrazione per evitare una coscienza improvvisa della scissione esistente nella sua personalità. Doveva essere al contrario instaurato un processo lento e graduale in cui gli aspetti distruttivi potessero venire ripetutamente scissi e recuperati per poter approdare ad una maggiore integrazione. L’invidia avrebbe potuto così attenuarsi lasciando maggiore spazio alla capacità di amare e di provare gratitudine che, nel corso dei processi di scissione, erano state soffocate. Gli aspetti scissi sarebbero divenuti gradatamente più accettabili ed il paziente più capace di reprimere gli impulsi distruttivi verso gli oggetti amati piuttosto che ricorrere alla scissione del Sé. Ciò avrebbe potuto diminuire le proiezioni a causa delle quali l’analista veniva percepito come una persona pericolosa e vendicativa e la possibilità di consentire al paziente di raggiungere una maggior integrazione. La reazione terapeutica negativa avrebbe potuto quindi perdere forza.

Klein sosteneva infatti che, riportando l’analisi alla primissima infanzia, si potesse dare al paziente la possibilità di rivivere e risperimentare delle situazioni essenziali e poter sviluppare un atteggiamento diverso di fronte alle sue frustrazioni passate. M. Klein riteneva che l’introiezione dell’analista quale oggetto buono potesse consentire di procurare un qualche oggetto interno là dove vi era stata una carenza. Mi sembra che questa conclusione così come molti dei concetti teorizzati da M. Klein, possano essere tutt’ora condivisi e presenti nelle menti degli analisti e nel loro lavoro con il paziente dentro alla stanza d’analisi.

 

 

Bibliografia

Freud S. (1937). Analisi terminabile ed interminabile. O.S.F., 11.

Klein M. (1932). Psicoanalisi dei bambini. Firenze, Martinelli, 1970.

Klein M. (1957). Invidia e gratitudine. Firenze, Martinelli, 1969.

Meltzer D. (1978). Lo sviluppo kleiniano. volume II. Roma, Borla, 1983.

 

Camilla Pozzi, Mestre

Centro Veneto di Psicoanalisi

camillapozzi75@gmail.com

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