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Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana

 

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L'uomo che ride
di Victor Hugo

Recensione di Marina Montagnini

L’uomo che ride.

Victor Hugo.

(1869)

Ed. it. anno 2015 eBook .Edizione Nobel Fermento Roma WWW.nobellibri.eu

2000 pagine

“Io sono colui che viene dal profondo. Mylords, voi siete i grandi e i ricchi. Cosa pericolosa. Voi approfittate della notte” (1791)

 

In una terribile notte di tempesta del 1690, un bambino viene abbandonato sulla costa inglese da una navicella che si allontana verso l’alto mare, dove affonderà. Il bambino, scalzo, affamato, affronta il buio, il freddo dell’inverno, la paura, in cerca di aiuto. Alla fine della sua triste peregrinazione, dopo aver salvato dalla morte per assideramento un’altra piccola sventurata, incontra Ursus, uno strano girovago, filosofo, ciarlatano e medico che lo accoglie nella sua baracca mobile diventando il padre adottivo del bambino e dell’altra orfanella, la neonata che Gwinplaine ha salvato. Sarà Ursus a darci una prima ricostruzione degli eventi: il bambino è stato mutilato orrendamente in modo che la sua faccia risulti deformata da una risata perenne.

 

I “comprachicos” richiedevano questo tipo di interventi chirurgici per fare dei bambini rapiti o indesiderati i futuri saltimbanchi, capaci di suscitare il riso degli spettatori. Sarà questo, infatti, il destino dell’uomo che ride.

Il lettore si domanda turbato come possa far ridere questa infamia ma, a questo proposito, noi psicoanalisti siamo più attrezzati per comprendere la compresenza di orrore e comicità.

 

Nel saggio di Freud su Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio troviamo questa osservazione: “L’umorismo è un mezzo per profittare di piacere a dispetto degli affetti penosi che dovrebbero turbarlo; esso soppianta l’evoluzione di questi affetti, ne prende il posto. […] Il piacere dell’umorismo nasce allora, non possiamo esprimerci altrimenti, a spese di questo mancato sprigionamento d’affetto, sgorga dal dispendio affettivo risparmiato[1]  [anche] a spese dell’orrore e del ribrezzo” (Freud S., 1905, 204, 208).

 

Quando alla fine dello spettacolo, compare il volto dell’uomo che ride, il pubblico è preso da una irrefrenabile risata che completa l’effetto comico grazie alla scarica di tensione.

Nell’intreccio del romanzo, Gwinplaine verrà riabilitato perché riconosciuto figlio legittimo di Lord Clancharlie. Accolto alla camera dei Lord pronuncerà un discorso memorabile, una requisitoria che denuncia le sopraffazioni dell’aristocrazia, pagate dalla miseria delle classi disagiate, ma otterrà in cambio un’altra memorabile risata di scherno con la quale si azzera ogni riflessione, ogni possibile rimorso. “Ride il morto di fame, ride il mendicante, ride il forzato, ride la prostituta, e anche l’orfana, per guadagnarsi da vivere, ride, ride lo schiavo, ride il soldato, ride il popolo; la società umana è fatta in tal modo che tutte le perdizioni, tutte le miserie, tutte le catastrofi, tutte le febbri, tutte le ulcere, tutte le agonie, si risolvono in una spaventosa smorfia di allegria sopra l’abisso. Egli era quella smorfia assoluta” (1867).

 

Per penetrare l’effetto perturbante del racconto, che pure non si può disconoscere, non arriveremo al nostro scopo partendo dal ghigno mostruoso di Gwinplaine, troppo esposto, troppo manifesto, ma si dovrà indagare invece sul personaggio di Dea, la orfanella cieca. I due orfani si innamorano di un amore reciprocamente adorante e mimetico, che vieta ogni approccio carnale: Dea, immateriale, santa, asessuata, è heimlich, recinto precluso di ogni conforto familiare. Ma ricordiamo che Freud ne Il perturbante citando Shelling alla fine conclude che “heimlich è un termine che sviluppa il suo significato in senso ambivalente, fino a coincidere in conclusione col suo contrario: unheimlich” (Freud S., 1919, 87).

 

Il testo di Freud, Il perturbante, si concentra su un complesso racconto di Hoffmann: Il mago sabbiolino. Costui getta sabbia negli occhi dei bambini fino a cavarli dalle orbite sanguinanti. Il danno che colpisce gli occhi allude alla castrazione e rimanda al gesto finale di Edipo. Dea, l’orfanella salvata da Gwinplaine nella notte terribile di tempesta, è anche la sua controfigura ed è cieca, colpita negli occhi, e svela ciò che dovrebbe rimanere nascosto, la castrazione, come dice Shelling: “E’ detto unheimlich tutto ciò che dovrebbe restare segreto, nascosto e che invece è affiorato”. Questa citazione è la preferita di Freud perché allude al fallimento della rimozione che porta al riaffiorare dell’inconscio. Heimlich è sottratto alla coscienza, è inconscio, ma nel suo ricomparire alla coscienza diventa Unheimlich. “Unheimlich è in certo modo una variante di Heimlich” (Ibidem, 87).

 

Entrambi orfani, entrambi colpiti nel corpo, conforto l’uno dell’altro, si intuisce che Dea è in realtà il doppio, il sosia segreto di Gwinplaine, prototipo del perturbante celato nel racconto.

Nel racconto di Hoffmann, Olimpia, l’automa di cui si innamora Nathaniel fino alla follia suicida, “non può essere altro che la manifestazione dell’atteggiamento femmineo del piccolo Nathaniel verso il padre”, secondo l’interpretazione freudiana (Ibidem, 94). Dea è perturbante, è così sospesa tra la vita e la morte da non essere mai del tutto viva e nemmeno del tutto morta; è perturbante anche la relazione che intrattiene con Gwinplaine tanto che egli, come Nathaniel, sembra follemente innamorato di un automa e, in conclusione, potremmo interpretare un Edipo invertito, rivolto al padre, nel rapporto di Gwinplaine con Dea. La morte di Dea, continuamente prefigurata dai suoi strani languori, porta immediatamente alla morte anche Gwinplaine: egli lascia la nave salvifica e si tuffa nell’abisso.

 

Vediamo dunque che il romanzo di Victor Hugo compendia molti temi che ci sono cari: il motto di spirito, l’angoscia di castrazione, il sosia, l’Edipo inverso e ciò spiega il fascino di un racconto che potrebbe apparire datato a una lettura poco attenta ai numerosi e affascinanti rimandi psicoanalitici.

 

Bibliografia

Freud S.(1905). Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio. O.S.F. 5.

Freud S.(1919). Il perturbante. O.S.F. 9.

Hoffmann E.T.A. L’uomo della sabbia e altri racconti. Rizzoli, Milano, 1950.

 

…….

[1] corsivo nel testo.

Marina Montagnini, Venezia

Centro Veneto di Psicoanalisi

 m.montagnini@iol.it

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