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Logos Zanzotto

di Elisabetta Marchiori

Dati sul film:

Titolo: “Logos Zanzotto”

Regia di Denis Brotto, Italia, 2021, 74’

Genere: documentario, biografico

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=aDWHAfDTris

 

Leggi anche l’intervista al regista Denis Brotto

No, tu non mi hai mai tradito, [paesaggio]
[…] tu dài, distribuisci con dolcezza
e con lene distrazione il bene dell’identità, dell'”io,

che perennemente poi torna,

tessendo infinite autoconciliazioni: da te, per te, in te.

(Ligonàs)

 

“Poetico” — scrive il vocabolario Treccani — è un aggettivo che definisce qualcosa “che è ricco di suggestione, di fascino, che ha la capacità di suscitare sogni, fantasie, delicati sentimenti”. È perfetto per il film di Denis Brotto Logos Zanzotto (Italia, 2021), uscito in occasione del centenario della nascita del poeta veneto Andrea Zanzotto (1921-2011), presentato alla 78esima Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia come evento speciale delle Giornate degli Autori/Edipo Re.

Denis Brotto è docente presso l’Università degli Studi di Padova di Cinema e Cultura Visuale ed è Presidente del corso di Laurea Magistrale in Strategie di Comunicazione. Come film-maker ha realizzato documentari e video installazioni, tra cui Esedra (2015), presente al Museo della Padova ebraica, In Bloom (2020), trasmesso da Rai5 e La forma della memoria (2022), una video installazione dedicata agli 800 anni dell’Università di Padova.

Brotto, con questo film, ha osato quella che è senz’altro un’impresa rischiosa: trovare immagini in grado di dare corpo alla potenza di una poesia “in fuga”, “cavernicola”, e restituissero la grandezza di un Poeta che si definisce “figura marginale e emarginata”. Bisogna vedere il film per capire che è riuscito — come promette il titolo con il termine greco λόγος — a restituire, attraverso lo schermo che qui diventa specchio riflettente di infinite sfumature, “la parola” del Poeta così come si articola nella complessità del suo discorso, del suo pensiero, che si rivolge alla natura e al paesaggio.

Il regista ha portato Logos Zanzotto al Cinema Lux di Padova, in una sala gremita di spettatori attenti e coinvolti e a rispondere alle loro domande, quasi sorpreso dell’interesse che aveva suscitato anche nei tanti studenti che Zanzotto lo avevano sentito, forse, solo nominare di sfuggita a scuola.

Mentre guardavo incantata il film, fiera di aver contribuito alla realizzazione dell’evento, mi dispiacevo di conoscere io stessa così poco l’opera di Zanzotto. Nello stesso tempo, mi sentivo felice di provare tanto desiderio di leggerlo (infatti il giorno dopo ho comprato i Meridiani dedicati alla sua opera). Avrei anche voluto fermare quelle splendide immagini che scorrevano sotto il mio sguardo, non solo delle riprese dei paesaggi realizzate da Brotto, in totale sintonia con la poesia, ma di materiale di archivio, delle foto, delle interviste ad alcuni degli studiosi che ne hanno approfondito l’opera, persone che lo hanno conosciuto, stimato e amato. Si ascoltano racconti, descrizioni, letture di versi, con dizione talora chiara e nitida, talaltra quasi inintelligibile, con intarsi di dialetto, ma simile ad acqua scrosciante o rumori provenienti da chissà quali boschi o animali. E poi c’è la musica, splendida, che funziona da tessuto connettivo tra tutti questi elementi e amplifica la fascinazione della visione.

Brotto esplora il paesaggio, tanto caro al Poeta, lo scruta attraverso finestre, soglie, brecce tra le rocce, spiragli tra i rami degli alberi. Mai lo invade, ma cautamente se ne appropria, attento e rispettoso, in ascolto delle indicazioni del poeta. Le immagini che riguardano Zanzotto ne scandagliano ogni particolare, ogni espressione del viso, ogni movimento, nelle varie fasi della sua vita. Allo stesso modo inquadra e ispeziona i volti di coloro che di Zanzotto parlano: occhi, labbra, orecchie, nasi, rughe e solchi, diversi incarnati. Volti che, sotto l’occhio della macchina da presa, diventano essi stessi paesaggi parlanti e osservati per quello che sono, parte della natura, pelle e carne, come corteccia d’albero e rocce che il tempo, la pioggia, il vento leviga e corrode. Sono quelli di Marzio Breda, Massimo Cacciari, Francesco Carbognin, Paolo Cattelan, Luciano Cecchinel, Andrea Cortellessa, Stefano Dal Bianco, Giosetta Fioroni, Giorgio Tinazzi, Gian Mario Villalta, Emanuele Zinato. Dicono del Poeta e della sua poesia parole meravigliose, ma i più delle parole parlano i loro sguardi, le loro espressioni.

 

Quando lo stesso regista mi ha rivelato che Zanzotto conosceva bene Alberto Schön, gli ho chiesto di vedere il film e di farmi sapere cosa ne pensasse. Lui, Alberto, che ne sa molto di psicoanalisi, di musica, di poesia e di dialetto veneto, mi ha risposto che il film non solo “è molto godibile”, ma anche che “apre numerose vie di esplorazione nel mistero della poesia” e coglie “la furia totalizzante messa a fuoco dal poeta che si isola per vedere meglio, che recita i versi ai tarassachi e papaveri, mette in parole i fondali di Cima da Conegliano, ma anche le architetture industriali già in rovina e in parte riconquistate dalle piante e da qualche writer”. Per farmi capire “cosa c’entra” la psicoanalisi con Zanzotto, mi ha mandato un suo intervento del 2004 (permettendomi di usarlo in questa occasione) fatto all’Ateneo Veneto in occasione di un evento dedicato al Filò di Zanzotto, in cui scrive: “Notate i pronomi in questi versi (da Vocativo, 1957):

 

Io –in tremiti continui – io- disperso

e presente: mai giunge

l’ora tua,

mai suona il cielo del tuo vero nascere.

[…]

tu sempre umiliato lambisci

indomito incrini

l’essere macilento

o erompente in ustioni.

 

Chi osa essere, nello spazio di pochi versi, ‘Io, tu’ e ‘l’essere’, chi sente il suono del cielo e del nascere, chi dichiara il dolore delle ustioni e poi in più occasioni ricorda che, sarà anche banale, ma la poesia deriva dall’inconscio, ha tutti i diritti di interessare lo psicoanalista. Di curare lo psicoanalista”. Si riferisce, ovviamente, a Zanzotto.

Ma io vorrei fermarmi qui e invitarvi a leggere l’intervista a Denis Brotto, che si è generosamente reso disponibile a rispondere a qualche mia domanda sul suo film.

 

Elisabetta Marchiori, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

lisbeth.marchiori@gmail.com

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