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Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana

 

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L'americano tranquillo

Commento di Gemma Zontini

L’americano tranquillo 

Graham Greene

(1955)

Ed. it. 1957, Mondadori, Milano.

233 pagine

Graham Greene tra il 1952 e il 1955 scrive un piccolo libro, un romanzo che racconta una storia che potrebbe dare al romanzo stesso l’impronta del libro giallo. Il titolo del romanzo è L’americano tranquillo. La storia è costruita intorno all’omicidio di Pyle, l’americano tranquillo appunto. Ma chi è Pyle? Pyle è un giovane che proviene dalla borghesia colta americana e giunge in Vietnam e precisamente a Saigon per svolgere un compito specifico: favorire gli scambi economici internazionali tra l’America e il Vietnam. Pyle, infatti, si è laureato nel settore economico con indirizzo internazionale.  Egli, dunque, viene impiegato come addetto dell’ambasciata americana a Saigon, con lo scopo di favorire lo sviluppo della produzione industriale locale e di conseguenza sviluppi commerciali autonomi del paese al fine di facilitare la sua transizione verso una democrazia laboriosa e aggiornata, fatta di capacità di produrre beni localmente e di contatti economici con altri paesi soprattutto occidentali atti a favorire scambi e crescita economica. Insomma, Pyle deve accompagnare l’uscita del Vietnam dal colonialismo francese, cercando di favorirne la transizione democratica. E in effetti il Vietnam è insanguinato da una guerra, che si trascina da molto tempo tra gli eserciti locali Vietminh e l’esercito francese. Una guerra contro la Francia, l’oppressore che da tempo immemore occupa il paese imponendo il suo regime coloniale alla popolazione e alle istituzioni vietnamite. Ma ormai si sa che i francesi la guerra l’hanno persa e lo spettro che tutto il mondo teme è che al posto del governo democratico francese, ancorché ad impronta fortemente coloniale, subentri il comunismo.

Pyle è l’americano tranquillo che deve aprire la strada alla democrazia liberale di stampo americano più che occidentale.

 A Saigon Pyle incontra un giornalista inglese, Fowler, che è in Vietnam come reporter di guerra o forse come uomo in fuga dal proprio paese e dai propri legami, deluso dalla vita e dal matrimonio con una donna troppo certa del suo mondo e di ciò che avrebbe dovuto essere il matrimonio con Fowler.

Fowler invia al giornale notizie false, come del resto tutti i reporter, o forse falsate da racconti che sono sempre racconti  di capi. E i capi francesi consentono ai reporter giri di ricognizione solo in zone sicure, dove la guerra sembra una scaramuccia, dove le perdite non esistono, dove i francesi vincono sempre e i morti del loro esercito non sono mai contati e dunque non rientrano in nessuna statistica. Del resto il giornale di Fowler non vuole altro: notizie ufficiali, stringate, asettiche. Forse nessuno in Europa vuole sapere. Forse nessuno vuole vedere le crepe del progetto di esportazione della civiltà occidentale e del suo liberalismo progressista.

Fowler si è adattato a tutto questo. Ciò che vede veramente nel paese, i morti a migliaia, francesi come vietnamiti, l’avanzata dei Vietminh comunisti e la sconfitta più che certa dei francesi, ormai non lo scrive più. E neppure partecipa alle riunioni dei cronisti all’albergo Continental. Si limita a bere e a fumare oppio in una casa che condivide con una giovane vietnamita, Phuong, che vive con lui da un po’ di tempo. Lei gli prepara le pipe di oppio, lui le dà la certezza di una vita che sembra avere un tono diverso dalla vita del paese: qualche soldo, una professione, una casa. Una soluzione.

Il giorno dell’incontro, Fowler e Phuong sono seduti ad un tavolino esterno di uno di quei luoghi di ritrovo frequentati da occidentali, francesi e non. Pyle si avvicina guardandosi intorno e poi chiede loro il permesso di sedersi al loro tavolo. Un breve incontro in cui Pyle parla di ciò che lo ha spinto ad accettare l’incarico in Vietnam: le opere di uno studioso di politica e di economia, Harding, che, visitato il Vietnam, comprende e spiega in modo lucido e razionale come sia necessaria una terza forza per uscire dal conflitto stabilendo la democrazia nel paese. Pyle crede ciecamente a queste idee e alle obiezioni di Fowler, che fa presente le difficoltà a stabilire in un paese privo di qualunque tradizione democratica una vera democrazia che non sia solo una facciata dietro la quale nascondere secoli di ingiustizia sociale ed economica, non ultima quella coloniale, risponde ripetendo le idee astratte di Harding senza scomporsi per nulla, mantenendo una fede immutata nel suo credo politico tratto dalle opere di questo studioso. Per la sua compostezza inscalfibile, Phuong lo definirà un americano tranquillo.

Per amore delle sue idee Pyle importa nel paese materiale atto alla fabbricazione di esplosivo plastico, mascherato in pacchi contenenti componenti per la produzione di giocattoli. Con l’aiuto di simpatizzanti di una terza forza, capitanata dal generale Thè, uomo inetto, disinteressato al governo del paese e  inteso a perseguire i suoi soli interessi, Pyle ordisce alcuni attentati che, grazie al suo elaborato gioco politico sostenuto dall’ambasciata americana,vengono attribuiti ai comunisti, in modo da spingere la popolazione a simpatizzare e a supportare proprio la terza forza del generale Thè, quella terza forza che, come sostiene Harding, consentirà l’esportazione in Vietnam della democrazia liberale di stampo americano.

Intanto, mentre svolge il suo lavoro, mentre scorre il tempo necessario a costruire gli ordigni al plastico, Pyle si innamora di Phuong. Ne parla apertamente con Fowler: cosa può offrire Fowler a Phuong? Non può sposarla essendo già sposato, non può offrirle un vero amore che prevederebbe un impegno costante, mentre lui da cronista può essere spostato in qualunque altro posto e persino rimpatriato, non può offrirle la solidità economica che a Pyle deriva non solo dal suo lavoro ma anche da un certo benessere familiare. Ma Pyle non farà nulla senza il permesso di Fowler.

L’ingenuità di Pyle sconcerta Fowler: un’ingenuità assoluta sostenuta da una morale così assoluta anch’essa da essere derealistica, un’ingenuità crudele, la stessa che lo induce a credere ciecamente alle teorie di Harding.

Fowler rimanda la decisione a Phuong, l’ambigua Phuong che non si sbilancia mai ma segue attentamente mediante la sorella la borsa mercantile dell’amore. E infatti alla fine Phuong sparirà dall’appartamento di Fowler per andare a vivere con Pyle.

È qui che la vita di Fowler subisce una dolorosa torsione che apre tutta una complessa riflessione sui sentimenti che ha provato per Phuong ma anche per Pyle. E Fowler, il cronista disincantato che manda al suo giornale inglese notizie di terza mano, versi ammaestrati dal potere, comincia a guardarsi attorno. È così si trova ad osservare coincidenze: un attentato apparentemente di poco conto, la notizia dell’esplosivo preparato in stampi e con materiali che entrano nel paese come componenti per giocattoli, una ricerca degli stampi gettati via perché inservibili per ottenere qualche prova a suffragio dei suoi sospetti, ricerca per la quale si rivolge alla malavita cinese di Cholon, la scoperta che è Pyle che importa questo materiale, fabbrica gli ordigni e decide gli attentati, distruggendo moltissime vite umane in nome di idee astratte e di una terza forza che nulla a che fare con la democrazia ma solo con interessi personali.

Fowler affronta Pyle ma comprende che non è possibile farlo ragionare. I due si incontrano per caso in una piazza centrale e molto frequentata di Saigon,  luogo scelto da Pyle per il suo ultimo grande attentato. L’attentato doveva colpire una sfilata militare per screditare i comunisti e far pendere la popolazione per il sostegno al generale Thè. Ma la sfilata viene cancellata all’ultimo minuto e la bomba di Pyle scatena il suo progetto di morte contro poveri passanti innocenti. Fowler corre nella piazza al rumore dello scoppio perché si trova nei pressi della piazza stessa, in un bar dove beve per non pensare a Phuong, Pyle si trova lì per verificare il risultato ottenuto.

Qui Fowler affronta Pyle riferendogli tutto ciò che sa sul vero lavoro dell’americano tranquillo. E infine gli chiede: tutte quelle vite per un’idea… Ne è valsa davvero la pena? Pyle resta ciò che è, l’americano tranquillo che ha salvato Phuong da un legame illecito, che ha lottato e lotterà perché la democrazia liberale americana trionfi. Non è turbato dai morti, in fondo sono danni collaterali di ogni guerra. Ciò che davvero lo turba è una scarpa sporca di sangue che bisognerà pulire prima di incontrare il ministro americano in visita in ambasciata.

Fowler capisce che non ha nessuna possibilità di far ragionare diversamente Pyle, di far cessare il suo gioco di morte, di indurlo a riflettere su di sé è sull’altro in modo differente. Così quando la mafia cinese lo contatta accetta di collaborare ad un piano di “neutralizzazione” di Pyle. Il suo compito sarà quello di attirare Pyle in una trappola: un luogo in cui poi i cinesi lo uccideranno. Fowler svolge il suo compito sperando in un cenno di misericordia divina o umana: un ritardo del risciò che deve condurre Pyle nel luogo dove i due hanno appuntamento e dove invece lui sarà ucciso, un ripensamento di Pyle sul suo operato che potrebbe indurre Fowler a salvarlo, svelandogli il piano della mafia cinese. Nulla di tutto ciò accade. Pyle sarà ucciso e Fowler sospettato dal capo della Sureté locale, Vigot. Vigot, infatti, ritrova il cane di Pyle e analizza la terra sotto le sue zampe. Vi trova degli indizi che mostrano come Pyle e Fowler si siano incontrati nel giorno della morte di Pyle. Ma Vigot non ha altre prove e non vuole in fondo approfondire: a che scopo scatenare un incidente diplomatico? Mettere pressione ad una vita, la sua, in fondo tranquilla? Ricominciare a credere a qualcosa, la verità,  cui in fondo nessuno più crede?

E così il romanzo si conclude: tutto torna come prima. Phuong torna a vivere con Fowler e a preparargli le pipe d’oppio, la guerra continua con le sue notizie fasulle, le vecchie che vivono le loro vite sedute sul pianerottolo del palazzo di Fowler tornano a far sentire il loro sommesso e incessante vociare in un dialetto vietnamita incomprensibile. Forse spettegolano su Phuong e Fowler, forse parlano di qualche posto particolare, forse si scambiano notizie che sono le uniche vere: i fatti, le vite, le morti della gente minuta, quella che non farà mai la Storia, ma che di certo fa la storia. Un coro greco che accompagna per tutto il romanzo una vicenda che ruota intorno all’inutile e alla caducità della vita.

Il romanzo è in fondo una storia semplice: un protagonista che crede alla Verità, l’altro protagonista che non crede a nessuna verità, una comprimaria che crede ad una sola verità: un futuro possibile, qualunque cosa significhi, qualunque sia il suo prezzo.

E tuttavia, pur nella semplicità della trama,  pone domande complesse che ruotano intorno al senso dell’innocenza, dell’indifferenza, del valore più o meno mercantile degli affetti.

Cosa comporta l’innocenza e quali esiti ha? E dice Greene: l’innocenza chiede protezione quando saremmo noi a doverci difendere da essa. L’innocenza è Pyle che crede ciecamente ad un’idea in nome della quale distrugge vite, in nome della quale semina il male senza saperlo. Il male dunque non è solo banale ma è anche innocente, un male necessario come un’espiazione di un qualche peccato commesso dal mondo che l’innocente deve emendare, un’innocenza evangelica in cui spietatezza e sacrificio, giustizia e morale, verità e credenza si coniugano in una miscela mortale. Un’innocenza per la quale contano le scarpe sporche di sangue più che le vittime. Che si ripara dietro una logica come quella della terza forza per stabilire la vera democrazia in un paese che non è il proprio e che si serve di una morale che giustifica l’amore, il tradimento, l’eccidio.

L’innocenza, questa organizzazione per diniego del sessuale infantile che serve solo a giustificare il suo vagare libero, diretto a non importa quale oggetto, distruttivo nella sua continua ricerca della scarica estintiva. Forse Freud la pensava così quando oppose con forza la sessualità infantile a questa innocenza afinalistica, sciocca e crudele che si voleva marca distintiva dell’infanzia. Perché una qualche forma di organizzazione degli affetti mediante la sessualità infantile avrebbe permesso a Pyle di “rubare” Phuong a Fowler, di odiarlo, di giocare sporco e accettare il gioco sporco, di godere di una passione. Invece Pyle ragiona spassionatamente con Fowler rispetto alla responsabilità che i due si devono prendere relativamente al destino di Phuong. E una volta risolta logicamente la questione si può restare amici. In fondo, perché non lasciare questa gradevole frequentazione inalterata? L’innocenza, la follia dell’uomo che non contempla il senso di colpa ma solo una morale astratta, sadica, che non si interroga su nulla. Non la legge del nome del padre, ma le tavole della legge vuote dei nomi di un qualunque padre.

E Fowler in fondo accetta. Non perché sia innocente. Lui non lo è: conosce bene quel senso di sfinimento che prende chi sa che nessun sentimento porterà a nulla. E allora amare e odiare, lottare per la verità o acquiescere alla menzogna perdono di significato. Non resta che l’indifferenza. Che Phuong vada dove vuole: Fowler in fondo non può sposarla, non può garantirle nulla. Può salvarla affidandola alla logica e alla morale di Pyle. Alla sua assurda innocenza. E se poi i due alla fine sono due innocenti perché non continuare a mantenere la relazione tra loro nei termini in cui è sorta?

L’indifferenza, il tratto distintivo di Fowler, l’abolizione dell’affetto legato alla differenza. Che importanza ha se Phuong resta o va? Può sempre trovare un’altra donna o restare solo o tornare in patria da una moglie che a suo modo lo aspetta. Ma l’indifferenza di Fowler, la sua misura difensiva, crollerà sotto i colpi della guerra e degli attentati. I morti lo strapperanno alla rassegnazione del ritorno dello stesso. Lo indurranno a pensare a Phuong come all’unica che può ammansire quella solitudine che è la piccola morte di ogni persona che si trova a viverla, qualcuno che ti dorme a fianco calmando la paura. Paura del futuro che invece Fowler scopre essere l’unica speranza dell’umano. Lo scopre quando incontra in una strada di Cholon una cartomante cui i passanti, anche quelli che non hanno nulla, danno qualcosa perché lei predìca loro il domani. Lo scopre nel dolore silenzioso e dignitoso di chi ha perso qualcuno in guerra come in un attentato e non grida e non si dispera per dare una dignità di vita futura, sebbene in un imprecisato altrove, al proprio congiunto perduto.

Perciò si mette sulle tracce di Pyle e dei meandri politici in cui Pyle si muove. Come se d’un tratto la verità fosse diventata importante, come se d’un tratto assumere una posizione, sperimentare un affetto di parte, fosse diventato un elemento ineludibile. Sullo sfondo c’è Phuong: potrà anche lei come Fowler provare rabbia o disgusto per Pyle una volta compreso chi è veramente quello che lei stessa, la prima volta che l’ha visto, ha chiamato l’americano tranquillo?

Ma una volta trovata la verità nulla cambierà né per Pyle, né per Phuong, né per lo stesso Fowler. Pyle non modificherà il suo punto di vista e neppure proverà una qualche forma di vergogna e di dolore per i morti da lui stesso uccisi. Perciò a Fowler non resterà che attirarlo in una trappola mortale per spezzare il circuito innescato da Pyle, un circuito fatto di innocenza-morale-crudeltà. Non sarà possibile con Phuong. Per Phuong l’amore è il mercato dei corpi e dei gesti, degli accordi e dei permessi, mai gestiti direttamente ma sempre attraverso la sorella meschina, manipolatrice, mercantile. Phuong ritornerà al suo lavoro delle pipe senza battere ciglio circa la morte di Pyle, Vigot sparirà dalla vicenda perché troppa verità è assai scomoda, Fowler riprenderà a fumare ma non più per tenere a bada la paura di dormire da solo.

Le vecchie continueranno a sussurrare senza interruzione una storia incomprensibile: una guerra già persa ma ancora immersa nel sangue sparso e da spargere, degli amori senza amori, conditi da morali inutili e immoralità pagate per tacere, un futuro che forse è solo un’invenzione chiusa in carte da decifrare.

Il libro è bello. Ed è una storia di luoghi, tempi e nomi che sono vissuti in quelli che nella mia generazione erano romanzi o testi di storia. Ma che sono stati luoghi, nomi e tempi reali per la generazione che mi ha preceduta. Per me, al di là della gradevolezza di una storia gialla non splatter, è un libro che ha l’aroma di una storia che non ho vissuto ma che ho sentito raccontare.

 

Gemma Zontini, Napoli

Centro Napoletano di Psicoanalisi

gemmazontini@gmail.com

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