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La guerra, ovvero l'irruzione della realtà nel setting

di Ilenia Emma Caldarelli

La storia della psicoanalisi Libanese si intreccia drammaticamente con la lunga guerra in Libano durata oltre quindici anni. La fondazione della prima Società di Psicoanalisi[1] risale al 1970, cinque anni prima dell’inizio del conflitto.

“Nata da genitori del vecchio continente e allevata dal suolo orientale saturo di violenti conflitti” (Khoury, 2021, p.157), la psicoanalisi libanese, a causa degli eventi imposti della realtà contingente, ha spesso volto il suo interesse verso ambiti di studio relativi alle variazioni del cadre analitico[2].

 

Il primo lavoro che tratta il tema dell’irruzione della guerra nel setting risale al 1986, ovvero dodici anni dopo l’inizio del conflitto in territorio libanese.

In questo articolo dal titolo “Un divano sotto le bombe o la guerra nella cura”, Mounir Chamoun spiega di come la dimensione del tempo sia inglobata e scandita dagli eventi legati alla guerra, e di come l’analisi non faccia eccezione. Così ad esempio, la sospensione o la ripresa intensiva delle sedute sono spesso valutate e decise di ora in ora, in funzione dei bombardamenti o del cessate il fuoco. Lo stesso vale per gli onorari che sono saldati quando e se, vi è la possibilità per i cittadini di uscire di casa senza rischiare la propria vita e in base alle disponibilità economiche del momento. Scrive:

“Quando la guerra assume la forma di una trama esistenziale permanente per un intera popolazione, quando la morte è ovunque e la sopravvivenza un caso, la categoria del tempo che normalmente scandisce il progetto analitico deve sottomettersi all’imprevedibile. Il tempo, elemento fondamentale del cadre analitico, ormai ridotto in frantumi, sfugge sia all’analizzando che all’analista, e sotto il peso della realtà attuale, sostituisce il possibile al necessario.”

(Chamoun,1986, p.888)

Nonostante gli attacchi al setting, per l’autore è possibile mantenere l’organizzazione rigorosa degli orari delle sedute e la loro frequenza come una struttura a cui fare riferimento: “una sorta di cadre ideale sospeso in filigrana al di sopra della pratica quotidiana che riemergerà ogni qualvolta la situazione esterna lo permetterà”. (ibidem)

Alla domanda se sia possibile esercitare la psicoanalisi in tempi di guerra, Chamoun risponde che difronte a qualsiasi cambiamento dell’esistenza, la vita psichica riesce sempre a riprendere il suo corso ed a far sì che il suo conflitto intrapsichico originario possa manifestarsi (p.896). Dal suo punto di vista quindi, nonostante le importanti infrazioni del reale nel setting è sempre possibile riportare all’interno della seduta e alla relazione analitica quanto accade al di fuori. Descrive ad esempio, di alcuni analizzandi che avrebbero agito sull’ambiente esterno le proprie fantasie suicidarie, recandosi in luoghi particolarmente pericolosi, e di come sia stato possibile interpretarli all’interno delle sedute (Chamoun M., 1896, p.894).

 

Se Chamoun guarda alla presenza di un setting ideale come riferimento per orientarsi in una realtà imprevedibile e violenta, Marie Thérèse Badawi, difronte ad un setting attaccato dalla realtà contingente o addirittura del tutto assente, sceglie di privilegiare la relazione analitica (Khouri, 2021, p.976). 

Di seguito un paio di esempi tratti da un suo articolo del 2011 dal titolo “Essere, pensare, creare. Quando la guerra attacca il cadre e il transfert contro-attacca”.

Badawi ricorda di quando, seduta alla sua poltrona di analista, sentiva in lontananza il boato delle bombe, mentre il suo analizzando Emile le parlava di suo padre, di sua madre, delle sue fantasie…

“Il rumore si avvicina (…)Mi spavento.(..) Sento Emile che dice: nulla può accadermi dal momento che Lei è qui. Non ero più lì, presa dalla percezione della realtà, dalla realtà traumatica, la stessa che Emile stava denegando in questo momento.” (Badawi, 2011, p.1035)

Poco più avanti racconta di Paul che, dopo giorni di incessanti bombardamenti che avevano reso impraticabili le sedute di analisi, in un periodo particolarmente difficile per lui, bussa al mattino presto alla porta del suo domicilio. E’ in preda all’angoscia ed ha bisogno di parlare con lei. L’analista, colta di sorpresa, dopo aver sistemato l’unica stanza disponibile in casa accoglie Paul, il quale, una volta seduto inizia a parlarle.

“Mi guarda come se fossi l’unica cosa al mondo che conti. Come se intorno nulla fosse cambiato. Nè l’indirizzo, né lo spazio, né le pareti, né il cadre tutto intero. La realtà esterna non esisteva, non esisteva niente al di fuori di me. Io come oggetto di investimento del tutto materno, paterno, protettore.(…) Sentivo che ero io stessa portatrice del cadre, anzi, di più, sentivo che io ero il cadre.“ (ivi, p.1036)

Secondo l’autrice, in tempi di guerra e in particolare in casi come quelli sopra citati, l’attacco del reale al setting resterebbe periferico e delimitato dal momento che non intaccherebbe e non negativizzerebbe l’intera interrelazione[3] che resta invece preservata, poiché investita, sia da parte dell’analista che da parte dell’analizzando. “Questa interrelazione rappresenterebbe una via d’uscita per il desiderio di vita, quando l’analista resta analista, andando al di là del cadre, fino a giungere addirittura a rappresentarlo” (ivi, p.1039).

 

Sulla stessa linea di pensiero si inscrive il lavoro di Carine Khouir Naja, un’analista libanese che pur vivendo attualmente in Francia ha sentito utile poter far ricorso alla sua esperienza della guerra in Libano quando la pandemia ha fatto irruzione nelle nostre vite, per poi estendere la sua riflessione  al trattamento dei casi limite. Khouir sostiene che qualsiasi rimaneggiamento del setting che contempli un’atteggiamento etico nei confronti del paziente, non comprometta mai la capacità di rêverie e l’attenzione liberamente fluttuante dell’analista.

 

Conoscere l’esperienza di questi analisti penso rappresenti un prezioso spunto per pensare ad un concetto teorico-clinico come quello di setting, concetto che pur articolandosi con una realtà talvolta mutevole, se non addirittura traumatica ed imprevedibile, richiede una certa coerenza e solidità teoriche.

Sembrerebbe che l’irruzione della realtà nel setting analitico comporti come conseguenza uno sbilanciamento dal setting verso l’assetto interno dell’analista. Con Badawi, vien da chiedersi se un tale restringimento del cadre oggettivo non porti anche alcuni importanti rischi, e non solo in contesti di guerra.

“Il rischio è sempre di non tenere sufficientemente conto del funzionamento inconscio dell’analista in seduta. Ogni analista può in un momento o in un alto, misurare l’onnipotenza che volente o nolente, mettiamo in gioco nella nostra pratica clinica. Ed è per questo che il cadre è una buona prassi per l’analista. Ancora di più che per il paziente.” (Bleger L., 2022, p.182)

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

Badawi M.T. (2011) “Etre, penser, créer: quand la guerre attaque le cadre et que le transfert contre-attaque” Rev Fr Psychanal 75 (4): 1035-1043

 

Bleger L. (2022) Que’est-ce que donc le cadre? Rev Fr Psychanal 86 (1): 171-183

 

Chamoun M. (1987) Un divan sous les bombes ou la guerre dans la cure Rev Fr Psychanal 51 (3): 887-898

 

Donnet J.L. (1995) Le divan bien tempéré, Paris, PUF, coll. “Le fil rouge”

 

Ferraro F., Genovese, C. (1986) Setting. Rivista di Psicoanalisi 32: 95-109

 

Khouri Naja C. (2021). La psychanalyse à l’épreuve du réel. Contre vents et marées, tenir le cadre. Rev Fr Psychanal 85(4): 975-985


Khoury M. (2021). Regard sur l’évolution de la psychanalyse au Liban. Moments d’historie. Rev.Fr. Psychanal 85 (1):151-161

 

 

NOTE

[1]Attualmente le Società di Psicoanalisi in Libano sono due: Società Libanese di Psicoanalisi (SPL) e la più recente Associazione Libanese per lo sviluppo della Psicoanalisi (ALDeP), di cui Badawi è l’attuale Presidente.

[2]Cadre:  usato qui come sinonimo di setting per indicare una serie di procedure che fanno parte della situazione analitica ma non la esauriscono (Bleger, 1967).  il cadre è l’insieme delle condizioni formali e contrattuali che fanno da cornice al lavoro analitico, rendendolo possibile in un ambito spazio-temporale, vicino al concetto di encuadre degli argentini (Ferraro F., Genovese, C. (1986) setting. Rivista di Psicoanalisi 32: 95-109)

[3]Interrelazione: l’articolazione di due movimenti psichici specifici e la loro congiunta elaborazione in quanto la cura non è un interazione ma l’analisi di un’interazione. In questo lavoro l’interrelazione fungerebbe da para-eccitatorio all’intrapsichico sopraffatto (dal reale) del paziente.

 

Ilenia Caldarelli, Venezia

ileniacaldarelli@yahoo.it

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