Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
KnotGarden 2025/3 – Tradurre Freud Oggi
di Antonio Alberto Semi
(Venezia) è Membro Ordinario con Funzioni di Training della Società Psicoanalitica Italiana.
*Per citare questo articolo:
Antonio Alberto Semi (2025), Tradurre? Rivista KnotGarden 2025/3, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 141-147.
Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.
Sappiamo che la perfezione, nelle attività umane, è impossibile ma non ci arrendiamo, cerchiamo sempre di ottenerla, il che è utile se questa ricerca costituisce una molla che ci spinge in avanti ma è assolutamente importante che questa spinta si accompagni ad una simpatica autoironia critica. Qui, dunque, vorrei soffermarmi un po’ sull’attività del tradurre, attività che sempre mette alla prova la nostra capacità critica. Ne scriverò, in parte su questa attività in generale e in parte sulla specifica attività del tradurre in psicoanalisi, a partire dalle traduzioni freudiane.
Sul tradurre esiste una letteratura immensa, dalla quale comunque si può innanzitutto dedurre che questa attività ha sempre creato problemi e interrogativi. (1) Tradurre è tradire, (2) tradurre è interpretare, (3) tradurre è presentarsi. La prima formulazione sembra contenere un giudizio (il tradimento!) di travisamento del contenuto del testo originario, la seconda sottolinea l’attività del traduttore ma anche la sua inevitabile parzialità, la terza infine sposta del tutto l’attenzione sul traduttore che, tramite la sua lettura del testo, presenta in realtà sé stesso, le proprie inclinazioni, perfino i propri desideri.
Per noi psicoanalisti questa serie può avere un certo sapore di casa: quel che ci comunica il paziente può essere travisato, può essere interpretato ma può anche essere trasformato al servizio del nostro equilibrio psichico, rendendo allora necessario porre in primo piano l’analisi del controtransfert.
Quel che manca a questa terna è il fatto che, comunque, una traduzione rende disponibile un testo a chi non poteva avere accesso al testo da tradurre. Chi non poteva leggere un testo arabo o greco, riusciva finalmente ad avere a disposizione in latino testi di Aristotele o Platone prima inaccessibili: questi testi latini diventavano testi di base più tardi certamente emendabili ma, nel frattempo cioè per secoli, utilizzatissimi. Del resto, se da una radice ci volgiamo all’altra, la frequenza di quadri di S. Gerolamo rappresentato nel suo impegno di traduttore di testi sacri ebraici e greci in testi sacri latini (la famosa Vulgata) testimonia dell’importanza del lavoro di traduttore, che rese disponibile un insieme (appunto la Vulgata) dei testi sacri, il quale insieme fu sì modificato e annotato nel corso della storia ma fu “superato” per l’uso quotidiano e liturgico nella Chiesa cattolica solo con il Concilio Vaticano II. Una traduzione durata 1600 anni!
Insomma, la traduzione ha, sì, tutte le difficoltà e i rischi indicati più sopra ma ha anche il vantaggio, che tutti riconosciamo, di renderci disponibili testi altrimenti inaccessibili. L’interrogativo conseguente – che richiede appunto un intervento critico – riguarda il testo risultante: che testo è? Di chi è? Il Freud delle OSF che leggiamo abitualmente quanto è del professor Sigmund Freud e quanto di Cesare Musatti e di Renata Colorni?
Ad esempio, già S. Girolamo sosteneva che una traduzione non poteva essere ‘parola per parola’ ma doveva rendere il senso che il testo voleva dare e, perdipiù, doveva renderlo rispettando le caratteristiche della lingua ‘di arrivo’, che per lui era il latino classico (quello di Cicerone, per intenderci)[1]. Mi sembra che Colorni abbia seguito lo stesso classico criterio, perlopiù con buoni risultati…italiani. Ad esempio, nel tradurre il saggio su L’inconscio (Freud, 1915a) evita le ripetizioni, che in italiano sono sconsigliate e provocano anche un effetto cacofonico, del termine Vorstellung, annotando però utilmente (v. OSF, VIII, p.57 n.1 e p.60 n.1) che talora adopera la parola italiana ‘rappresentazione’ e talaltra quella di ‘idea’, il che rende malamente l’insistenza terminologica non casuale di Freud, il quale non esita ad usare più volte nella stessa frase il termine Vorstellung e le parole composte derivate (cfr. GW, X, 275-76). È un tradimento o un’interpretazione o uno stile del traduttore? La risposta è: tutti e tre, ma anche si tratta di una necessità. Non si può, insomma, far scomparire i traduttori, ai quali dobbiamo essere grati per il lavoro che hanno effettuato, del quale però dobbiamo essere consapevoli che si tratta di un lavoro soggettivo, almeno per una certa quota. I traduttori (almeno quelli consapevoli e autocritici) lo sanno. Chi voglia assaporare la delicatezza e il gusto del tradurre può leggere Il mestiere dell’ombra di Renata Colorni (2020).
Alcuni generi letterari sono poi particolarmente difficili da tradurre, tipicamente le poesie. Per noi psicoanalisti, può essere doppiamente interessante leggere le differenti traduzioni della ‘Tavola pitagorica della Strega’, ad esempio quella di Amoretti (1965) e quella di Fortini (1970) entrambe con il testo originale a fronte, che testimoniano la difficoltà di seguire i ‘vaneggiamenti’ della nostra cara Strega… e forse anche il perché ad essa Freud (1937, p.508) si è direttamente riferito.
Certo, si potrebbe obiettare, se la traduzione ha sempre questi aspetti problematici, perché leggere sempre delle traduzioni? Perlomeno per le principali lingue europee non dovrebbe essere consigliabile e possibile leggere i testi nella lingua originale? Invece di continuare a tradurre e ritradurre Freud, non sarebbe meglio studiare un po’ di tedesco? E anche tradurre Lacan o Bion non è mica così semplice.
Sennonché anche la lettura del testo originale pone alcuni problemi, relativi al testo stesso e relativi al lettore. Un testo è sempre e ovviamente il risultato della elaborazione dell’autore, il quale autore ha la sua storia personale, le sue relazioni, la sua cultura intellettuale e il suo mondo storico. E certamente, anche se pensa al possibile lettore, non sta lì a dichiarare ogni volta (ammesso che ne sia cosciente) il retroterra culturale e storico del proprio testo. Molte delle annotazioni relative alla presunta freddezza di Freud dovrebbero essere contestualizzate, ciò che, proprio con un interlocutore di differente retroterra (Jones) Freud fa esplicitamente[2]. Questo pone il problema della rilevanza o irrilevanza di questi elementi (storia personale, retroterra culturale, cultura intellettuale personale ecc.) esistenti sullo sfondo ma ovviamente non sempre evidenti[3] o addirittura dichiarati. Si può studiare l’Interpretazione dei sogni anche senza tener conto di quanto segnala Freud stesso alla fine della prefazione alla seconda edizione e, ancor più, senza aver letto Anzieu. Si può in generale, ma in particolare per noi psicoanalisti è possibile davvero passar sopra a questi elementi?
E altrettanto vale sul versante del lettore. Quest’ultimo non sta forse compiendo una traduzione, nel momento in cui sta leggendo il testo originale? Un lettore italiano che legga Freud in tedesco non se lo sta traducendo[4] dentro di sé? E quanto questa traduzione sarà anche effetto della cultura, della storia ecc. del lettore?
Insomma, se si vuol davvero seguire un percorso critico, bisogna alla fin fine porsi i medesimi interrogativi riferendosi alla lettura.
E allora?
Allora bisogna prendere atto del fatto che il testo di partenza – in qualunque lingua sia scritto – viene rielaborato dal lettore e che costui può poi anche produrre un altro testo scritto, che chiamiamo traduzione. Quest’ultima ci aiuta ad avvicinarci alla realtà del pensiero del primo autore – la quale realtà resterà sempre parzialmente sconosciuta. Non è questa la condizione umana?
Oltre alla traduzione, dunque, possiamo pensare ad altri strumenti che consentano questo avvicinamento perpetuo e sempre incompleto. Si tratta di quei complementi che consentono di definire ‘critica’ un’edizione. Apparati di note di svariato tipo, indici analitici, riferimenti bibliografici o testuali, commenti di tutti i tipi. Nell’insieme, questi interventi costituiscono una nuvola che circonda il testo e lo mette in evidenza – nei libri antichi anche con una differenza tipografica.
Tutto questo anche per dire che la nuova Standard Edition delle opere di Freud a cura di Mark Solms va considerata come una – e non certo l’ultima – versione inglese possibile, influenzata certamente dalla cultura di base e dalla storia personale di Solms nonché dalla distanza generazionale intercorrente tra lui e gli Strachey: forse ad ogni generazione tocca anche il compito di tradurre e ritradurre certi testi classici. Mi hanno lasciato perplesso certe affermazioni di storia della medicina fatte da Solms nel corso dell’incontro – utilissimo – presso il Centro Veneto di Psicoanalisi ma mi chiedo quanto la mia perplessità non sia anche dovuta ad una differente lettura dei testi scientifici dell’Ottocento perché io ho una infarinatura diversa dalla sua, aperta com’è ai nuovi sviluppi delle neuroscienze.
Per concludere: sostanzialmente, tradurre è un lavoro possibilissimo e impossibile. E però anche leggere è tradurre. Insomma, è importante che – anche senza farcene una ossessione – teniamo presente la soggettività implicata e la onnipresente questione della realtà e dell’esame di realtà – che è peraltro sempre correlato ad un assetto emotivo: si ‘sente’ quando una cosa è reale, ad esempio quando si è finalmente capito qualcosa. E proprio allora è importante poter sorridere – amichevolmente e criticamente – di sé stessi.
Bibliografia
Colorni R. (2020). Il mestiere dell’ombra. Tradurre letteratura. Milano, Ed Henry Beyle
Goethe W. (1790). Faust e Urfaust. Trad. It. Giovanni Amoretti, Feltrinelli, Milano, 1965.
Goethe W. (1790). Faust. Tr.it. Franco Fortini, Mondadori, Meridiani, Milano, 1970.
Freud S. (1915a). Osservazioni sull’amore di traslazione. O.S.F., 7.
Freud S. (1915b). L’inconscio. O.S.F., 8.
Freud S. (1915). Gesammelte Werke, X, 275-276.
Freud S. (1937). Analisi terminabile e interminabile. O.S.F., 11.
Freud S. (1938) Epistolari – Corrispondenza con Ernest Jones, Vol.2. Bollati Boringhieri, Torino, 2001.
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[1] Per una informazione veloce, ma abbastanza precisa, si veda la voce Vulgata di Wikipedia.
[2] Cfr. la lettera 661 del 28 aprile 1938 in S. Freud, Epistolari- Corrispondenza con Ernest Jones, Vol.2. Bollati Boringhieri, Torino, 2001.
[3] Faccio un esempio personale: la mia famiglia aveva una cultura di base austro-ungarica, il che mi ha spesso reso evidenti certi passaggi freudiani, relativi al bon-ton dell’epoca [del quale ad esempio le Osservazioni sull’amore di traslazione (Freud, 1915) sono piene]. Un lettore che abbia viceversa una cultura di origine differente può ‘sentire’ (o fare la tara di) questo clima culturale o no?
[4] Sorvolo qui sul problema della relazione intrapsichica di sistemi di rappresentazioni linguistiche differenti: come si compone, dentro di noi, la lettura di un testo inglese con la lettura della sua traduzione italiana? O, più in generale, la lettura di un testo inglese con il sistema delle rappresentazioni presente in noi e derivate dalla cosiddetta lingua materna?
*Per citare questo articolo:
Antonio Alberto Semi (2025), Tradurre? Rivista KnotGarden 2025/3, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 141-147.
Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.
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