Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
KnotGarden 2025/3 – Tradurre Freud Oggi
di Andrea Braun
(Padova), è psicoanalista Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana.
e di Carla Rigoni
(Padova), è psicoanalista Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana.
*Per citare questo articolo:
Andrea Braun e Carla Rigoni (2025), Traduzione transfert. Una “randonnèe” nella traduzione con il viaggiatore del secolo. Rivista KnotGarden 2025/3, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 132-140.
Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.
Le nostre riflessioni nascono da una giornata di studio sulla traduzione organizzata lo scorso anno dal Centro Veneto, in collaborazione con la Fondazione Jean Laplanche, e promossa da Alberto Luchetti, psicoanalista, membro della Fondazione e traduttore delle opere di Laplanche dal francese in italiano.
Interlocutore del seminario è stato Andrés Neuman, scrittore, filologo, poeta e traduttore. In particolare abbiamo scelto di occuparci del suo romanzo Il viaggiatore del secolo che ci ha permesso di entrare nel vivo dell’argomento. Attraverso il suo romanzo Neuman ci ha fatto fare un viaggio nel tempo, proiettandoci nell’Ottocento. Il protagonista del libro Hans giramondo, traduttore e filosofo approda nella cittadina immaginaria di Wandernburgo, situata tra la Prussia e la Sassonia. Nella quarta di copertina si anticipa come quella che avrebbe dovuto essere soltanto una breve tappa del viaggio, si evolverà “nella più meravigliosa e seducente delle trappole: l’ingresso in un circolo letterario, l’incontro con un saggio suonatore di organetto, una catena di misteriosi delitti. E soprattutto l’amore irresistibile per Sophie; donna tanto sensuale quanto intelligente” e qui aggiungiamo noi: galeotto fu il libro e chi lo tradusse.
L’ambizione di Hans, infatti, è di promuovere un libero scambio letterario: attraverso la traduzione in tedesco di tutta la letteratura straniera lui e Sophie si prefiggono di far circolare idee, parole, pensieri, affetti. Così Wandernburgo diventa la roccaforte (Burg) di un movimento permanente. Il verbo wandern non rimanda solo all’atto del camminare, esso contempla il girovagare, peregrinare, migrare, tramandare e viaggiare e si coniuga con la necessità di inserirsi in un contesto ignoto e di operare dunque una traduzione continua.
Hans e Sophie scoprono insieme le “similitudini tra amore e traduzione: capire una persona e interpretare un testo, recitare una poesia in una lingua diversa e dare voce al sentire dell’altro” (Neuman, 2019, p. 291) diventeranno elementi che contraddistinguono il loro rapporto. “Tutte e due le missioni erano felici ma incomplete: restavano sempre dei dubbi, parole da cambiare, sfumature incomprese […] Ma allo stesso tempo i ponti tra le lingue, tra loro stessi si ampliavano” (ibid., pp. 291-292).
Seguendo Neuman siamo indotti a cogliere la sfida che ogni traduzione rappresenta. Hölderlin la concepì come avvicinamento interminabile, definizione che ci trasmette l’attrazione esercitata dal confronto con l’estraneo, accompagnata dalla consapevolezza che la conoscenza non sarà mai completa. L’impresa del traduttore ricorda così la fatica di Achille nel constatare l’irraggiungibilità della tartaruga. Lo scarto alimenta la tensione che si trasforma nel piacere di una scoperta inesauribile.
Jenny Haase, ha scelto di intitolare il suo saggio sul libro di Neuman: Von der Lust am Anderen (Del piacere [o della passione] dell’Altro) sottolineando come da questa tensione vitale Hans e Sophie traggano la convinzione che ogni traduzione ben riuscita troverà il suo equilibrio tra vicinanza al testo e libertà, equilibrio da cui potrà scaturire una nuova opera creativa.
Troviamo consonanza con questo pensiero nei testi che Georges Arthur Goldschmidt ha dedicato a Freud e alla complessità di tradurlo in francese. Egli mette in evidenza come già la sintassi rappresenti una bella sfida per il traduttore. La grammatica tedesca fa sì che le subordinate non siano intellegibili fino a quando non si arriva in fondo alla frase dove viene collocato il verbo che regge il significato. In francese, invece, l’essenziale viene comunicato in apertura. E che dire degli articoli: in tedesco l’inconscio è neutro, mentre in francese regge l’articolo maschile. Eppure Goldschmidt sembra trovarsi in sintonia con Haase e Neuman quando afferma che le difficoltà della traduzione rimandano a un senso rimasto in sospeso, senso che conferisce alla psicoanalisi la sua ricchezza laddove un’aspirazione alla fedeltà potrebbe privare il lettore dell’esperienza di attraversare o di sostare nello Zwischenraum (spazio intermedio).
La traduzione ha dunque al centro il rapporto con l’alterità forse in tutti gli aspetti anche contradditori che rapportarsi con l’altro comporta: attrazione e respingimento, necessità e ribellione, desiderio e rifiuto, attività e passività.
Ci pare che Renata Colorni partendo dalla sua esperienza autobiografica di traduttore sottolinei che due diverse spinte animano l’opera del traduttore, esse possono presentarsi come contradditorie, ma sono ambedue necessarie.
Così accanto alla capacità di assumere una posizione passiva, essere ombra appunto e dimenticarsi di sé, per lei nel buon traduttore “si cela e lampeggia … un indizio di un orgoglio luciferino” (Colorni, 2020, p.40) che caratterizza la sua altrettanto necessaria posizione attiva.
Quale esempio si sofferma in particolare su cosa abbia rappresentato per lei tradurre il romanzo Il soccombente di Thomas Bernhard, un autore a lei molto caro e la cui traduzione è stata caratterizzata da ‘disperato accanimento’. In alcuni casi, come in questo, per poter rendere ad esempio l’ossessività della sua scrittura il traduttore può/deve “allontanarsi dalla lettera del testo, in qualche modo tradirla, per realizzare una fedeltà più alta, la fedeltà al suo spirito, al suo tono, al suo stile, dunque alla sua arte” (ibid., p. 49). Deve in qualche modo dunque farsi scrittore.
Non tradimento di un testo, ma necessaria interpretazione e dunque traduzione.
La coesistenza di queste due diverse posizioni è resa da Colorni con l’efficace immagine delle montagne russe: “scendere fino in fondo nel velamento e nell’occultamento per farsi invadere dalla voce di un altro, ma poi cercare nel profondo di sé stessi un modo per restituirla” (ibid., p. 51).
Tradurre interpretare, farsi invadere dalla voce di un altro, cercare nel profondo di sé stessi un modo per restituire: pensiamo che siano parole utilizzabili anche per il lavoro dell’analista e che ne caratterizzano la posizione in seduta con il paziente; scrive Freud: “Come possiamo arrivare a conoscere l’inconscio? Naturalmente lo conosciamo soltanto in forma conscia, dopo che si è trasformato o tradotto in qualcosa di conscio. Il lavoro psicoanalitico ci fa sperimentare ogni giorno che una traduzione del genere è possibile” (Freud, 1915, p. 49).
Ma Renata Colorni negli anni Settanta è stata anche traduttrice e curatrice editoriale dell’edizione italiana delle opere di Freud, un lavoro durato molti anni, lo definisce come l’impresa più impegnativa della sua vita ma che ha permesso a generazioni di noi lettori e studiosi di Freud di percepire il fascino e la passione di questo suo compito, teso a rendere nella lingua italiana quello che Colorni individua come un equilibrio proprio della scrittura di Freud da lui ottenuto “con miracolosa naturalezza tra bellezza e necessità” (Colorni, 2020, p.23).
In questa impresa si affaccia dunque, accanto al traduttore, la figura del revisore, del curatore per cui è chiamata in causa la necessità di una ‘doppia oblatività’ rispetto al testo dello scrittore e a quello del traduttore introducendo ancora uno sguardo altro.
E questo ci riporta alla storia delle traduzioni delle opere freudiane. Spesso è prevalso l’elemento denigratore nei confronti dei pionieri che si sono misurati con questo compito difficile.
Alberto Luchetti, che negli ultimi anni si è cimentato a sua volta con la cura di alcune traduzioni degli scritti freudiani ricordiamo in particolare quella del Disagio nella civiltà, sottolinea come “non occorre molto sforzo né molta originalità per aderire alla tradizionale e secolare svalutazione della traduzione, vista intrinsecamente come irrimediabile deriva dall’originale, suo ineluttabile surrogato”.[1]
La prima traduzione dell’Interpretazione dei sogni in lingua inglese fu affidata da Freud a Abraham Arden Brill, che nella prefazione ebbe a sottolineare le difficoltà enormi di rendere nella traduzione i meccanismi inconsci quando comportano nuove creazioni linguistiche. Brill seguì in merito le indicazioni di Freud, volte ad alleviargli l’impresa anche attraverso l’incoraggiamento a tagliare il materiale di alcuni sogni di difficile resa nell’idioma straniero e di sostituirlo con l’analisi di sogni dei pazienti dello stesso Brill. In questo senso Andreas Mayer, nel suo saggio: Traduzione e transfert. Storia e teoria del tradurre in psicoanalisi riconosce a Brill il ruolo significativo del réécrivain (riscrittore). Per Freud era prioritaria la trasmissione del metodo e non intendeva vincolare Brill ad una traduzione “fedele”. Ricordiamoci anche che Freud stesso aveva tradotto sia dall’inglese che dal francese ed era perfettamente in grado di valutare ed apprezzare l’esito del lavoro di Brill.
Tradurre e analizzare, due mestieri impossibili?
La posizione psicoanalitica costringe l’analista all’oscillazione continua tra vicinanza al paziente e riconquista di una giusta distanza che gli permetta di formulare delle proposte interpretative. L’analista dunque non come protagonista/autore, ma come traduttore/mediatore che si prefigge di promuovere il dialogo interno tra le istanze del paziente. Questa posizione rimanda all’ambivalenza intrinseca dello psicoanalista al pari di quella del traduttore che espone la propria lingua all’elemento straniero e importa l’alterità nella propria lingua.
Come già sottolineato inoltre il traduttore è un autore, ma non l’autore e il suo compito precipuo è quello di cercare di salvaguardare nella trasposizione l’elemento estraneo. Possiamo immaginare che egli, similmente all’analista, si interroghi costantemente se la propria componente interpretativa del testo sia debordante o rispetti il pensiero altrui. Questo dubbio accompagna il buon traduttore al pari del buon analista.
Un breve esempio relativamente all’estraneità emerge dal confronto con una traduttrice (Sabine Reichert Rubio) a proposito di una poesia dell’autore cileno Ariel Dorfman, rifugiato politico dal suo paese negli anni della dittatura di Pinochet. Ancora quarant’anni dopo aver effettuata la trasposizione in cui Reichert Rubio aveva suggerito all’autore di rendere una pietanza tipica cilena il “pastel de choclo” per il lettore tedesco con “Apfelkuchen”, ella si interroga sul significato della sua scelta. All’epoca le era parso importante trovare l’equivalente di un dolce nazionale caratteristico, ma oggi riterrebbe più rispettoso lasciare inalterato il termine cileno e aggiungere semmai in una nota a piè di pagina gli ingredienti del pastel de choclo. Solo così verrebbe salvaguardato l’elemento estraneo per il lettore tedesco e mantenere il sapore familiare per il poeta Dorfman in esilio.
E questo ci porta a considerare il limite insito nella traducibilità dell’esperienza del trauma. Ci torna in mente un lavoro di Hans Keilson intitolato: Wohin die Sprache nicht reicht (dove la lingua non arriva) in cui descrive il lavoro con Esra, un giovane sopravvissuto a Bergen Belsen alla Shoah.
Keilson osserva a più riprese come un termine, poniamo tavolo, per lui evoca l’immagine del ripiano in cui effettua le sue attività di scrittura o si siede per i pasti, mentre per Esra viene associato esclusivamente ad un ripiano sotto al quale cercare rifugio dall’aggressore umano o dai cani di sorveglianza. Parole dunque che indicano contesti radicalmente differenti.
Ma accanto alle analogie sopra sottolineate si situano le differenze che contraddistinguono il lavoro del traduttore e quello dell’analista, quest’ultimo ha a che fare con la necessità di considerare i differenti piani in cui avviene la comunicazione del paziente: attraverso i sogni, i sintomi, le libere associazioni ci si affaccia ai derivati dell’inconscio, ma l’inconscio è per definizione mai afferrabile del tutto. Ed è qui che si sperimenta l’effetto perturbante insito nella psicoanalisi e in particolare nella metapsicologia le cui caratteristiche sono perturbanti proprio perché definiscono lo statuto dell’inconscio.
In fondo come emerso durante la discussione con Neuman, la traduzione si incaglia proprio là dove la scrittura rimanda a qualcosa che pertiene all’ inconscio. Resta, per entrambe le situazioni, una conclusione insatura come lo è quella delle nostre riflessioni e ciò comporta che, anche a distanza di tempo, sia un testo tradotto, sia la comunicazione di un paziente possano essere continuamente oggetto di rielaborazione.
Bibliografia
Colorni R. (2020). Il mestiere dell’ombra. Tradurre letteratura. Milano, Edizioni Henry Beyle
Freud S. (1915). L’inconscio. O.S.F., 8.
Goldschmidt G.A. (1988). Quand Freud voit la mer Freud et la langue allemande. Chastel, Paris, Editions Buchet.
Haase J. (2013). Von der Lust am Anderen. Bewegung, Übersetzung und Begehren in Andrés Neumans El viajero del siglo. In: Sondierungen. Lateinamerikanische Literaturen im 21. Jahrhundert. Vervuert, Frankfurt am Main.
Hölderlin F. (1797). Hyperion. In: Hölderlin Werke und Briefe (Hg. Von Friedrich Beißner und Jochen Schmidt). Band I. Frankfurt a.M. Insel Verlag, 1996.
Mayer A. (2023). Übersetzung und Übertragung. Zur Geschichte und Theorie des Übersetzens in der Psychoanalyse. Franziska Humphreys; Anna Kinder; Douglas Pompeu; Lydia Schmuck. Übersetzungen im Archiv. Potenziale und Perspektiven, Wallstein Verlag.
https://hal.science/hal-03924034/document
Keilson H. (1984). Wohin die Sprache nicht reicht. Psyche Zeitschrift für Psychoanalyse, 38, pp. 915-926.
Neuman A. (2019). Il viaggiatore del secolo. Torino, Einaudi.
—
[1] Luchetti A. (2007). La traduzione, esigenza e possibilità dell’opera. Relazione alla Giornata di studio “Scritture freudiane. Traduzioni, tradizioni, trasmissioni e tradimenti delle Opere di Sigmund Freud” organizzata dal Centro di Documentazione di Storia della Psichiatria “San Lazzaro” all’Aula Magna della Università di Modena e Reggio Emilia il 20 ottobre 2007.
Andrea Braun, Padova
Centro Veneto di Psicoanalisi
Carla Rigoni, Padova
Centro Veneto di Psicoanalisi
*Per citare questo articolo:
Andrea Braun e Carla Rigoni (2025), Traduzione transfert. Una “randonnèe” nella traduzione con il viaggiatore del secolo. Rivista KnotGarden 2025/3, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 132-140.
Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.
Condividi questa pagina:
Centro Veneto di Psicoanalisi
Vicolo dei Conti 14
35122 Padova
Tel. 049 659711
P.I. 03323130280