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Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana

 

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Introduzione ai lavori di Minne e De Mari

di Anna Cordioli

(Padova), Membro Associato della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Veneto di Psicoanalisi.

Nella costruzione di questo numero del KnotGarden, abbiamo deciso di inserire anche due interventi molto interessanti che riguardano sicuramente la guerra ma in senso più ampio.

Questi lavori, presentati al convegno della Federazione Europea di Psicoanalisi di Vienna del 2022, parlano di fenomeni sociali devastanti (la guerra di Mafia e le guerre tra gang) ma le cui dimensioni sono imparagonabili alle guerre tra nazioni.

Vlasta Polojaz, in una conversazione fatta una sera d’estate, mentre commentavamo con preoccupazione le notizie dall’Ucraina e le crescenti tensioni in Bosnia-Erzegovina, mi fece riflettere sulle dimensioni dei conflitti.

Possiamo veramente accostare dei conflitti efferati ma circoscritti a fianco delle testimonianze di chi sta patendo l’invasione dei carrarmati? C’è il rischio di sminuire gli uni o gli altri drammi? È più terribile morire per una bomba arrivata dal cielo o in un agguato in centro città? Inutile dire che questi sono contesti imparagonabili ma è importante cogliere alcune differenze e impostare un pensiero di cornice che crei una prospettiva di lettura.

 

Quando il conflitto è sia nella mia città, che nella città a fianco, sia nella mia via, sia nella via a fianco, succede qualcosa di particolare nella mente: la distruzione appare sterminata, senza isole salve, una erosione senza pause della speranza e del senso di sicurezza.

Quando i numeri dell’annientamento sono enormi, anche essere vittima perde ogni carattere individuale. Le persone delle fosse comuni di Bucha o di Srebrenica sono morte solo in quanto appartenenti ad una diversa nazione o etnia, non c’era nulla di personale nel loro annientamento, nessun tratto individuale è stato loro concesso né da vivi né da morti. Ed è per questo che a lungo le commissioni internazionali hanno lavorato con impegno e ostinazione per ridare almeno un nome ai corpi delle vittime.

Questa spersonalizzazione, che ben conosciamo nel processo di creazione del nemico, nelle guerre tra nazioni giunge al suo apice di astrazione. La popolazione civile si sente in pericolo in quanto ciascuno, impersonalmente, sente di essere un possibile danno collaterale della guerra. La propria storia non verrà narrata da nessuno, non ci saranno generazioni successive che potranno ricordare quella vita vissuta perché anche i bambini verranno uccisi. La minaccia della guerra è quella di far sparire tutto: la persona, la storia, l’eredità umana, la cultura.

 

Le guerre di Mafia e le guerre tra gang, come ci mostreranno Minne e De Mari, pur coinvolgendo territori geografici più ristretti, replicano in scala minore quasi tutte le dinamiche del conflitto bellico. Ritroviamo gli aspetti di identificazione con l’ideale del proprio gruppo di appartenenza, la sparizione del soggetto e l’apparizione del miliziano, l’alienazione dell’altro che diviene solo un nemico da annientare. In particolare vedremo l’adesione ad una narrazione gruppale dai toni epici e tragici. L’appartenenza al progetto criminale viene raccontata come l’appartenenza ad un codice d’onore e di giustizia che, guarda caso, serve perfettamente le finalità della milizia.

Infine, un aspetto su tutti, mi sembra tipico dell’assetto di guerra: l’assoluta sacrificabilità dei giovani. Come abbiamo visto, in guerra vanno soprattutto i ragazzi, che spesso suppliscono la loro inesperienza rispetto alle cose della vita con la forza fisica e l’incoscienza degli effetti delle azioni. 

Come ci dirà De Mari, questi giovani diventano strumento della guerra ma sono anche ciò che durante la prima guerra mondiale si diceva “carne da cannone”. Su di essi non viene fatto un pensiero circa il futuro: il loro compito si esaurisce con il loro sacrificio. Viene loro inculcato il mito dell’eroe che muore giovane per la giusta causa ma la verità è che valgono poco o nulla. Sono “paranza”.

Ecco che questi due articoli ci mostrano da vicino i processi di creazione, basata sulla menzogna, della psicologia del soldato semplice. Una narrazione che tace una verità amara: chi muore in guerra, da una parte o dall’altra, verrà quasi sempre, comunque, dimenticato.

 

Anna Cordioli, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

annacordioli@yahoo.it

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