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Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana

 

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Breve storia di un incontro felice

di Ermanno Doninotti

Non avrebbe alcun senso cercare di riassumere tutti i contributi che A. Green ha dato alla Psicoanalisi, sarebbe presuntuoso: cercherò quindi di cullarmi nei ricordi.

Ero al secondo anno della mia formazione presso l’Istituto di Training della Società Psicoanalitica Italiana quando decisi di mettere il naso fuori dalla porta per capire cosa si stesse facendo altrove. Così scrissi due mail alla Società Britannica e due mail alla Società francese, rispettivamente ai Presidenti ed ai responsabili scientifici: mi rispose solo qualcuno della SPP, così andai a Parigi.

Dopo una diffidenza iniziale si sparse la voce che c’era un analista in formazione italiano che avrebbe voluto frequentare le varie attività della SPP e fui accolto con grande disponibilità. Incominciai così a farmi un’idea di come funzionasse la Società e fui sorpreso di quanto fosse favorita ed incentivata la partecipazione dei candidati a seminari, convegni, congressi, gruppi di supervisione clinica e teorica e tutto ciò che si svolgeva nell’Istituto di Rue Saint Jacques senza troppa differenza tra analisti già titolati e giovani candidati, o meglio, analisti in formazione.

Così iniziai a frequentare e capii quanta importanza veniva data al linguaggio metapsicologico, sentii nominare concetti mai incontrati prima come ad esempio quello di pulsione di morte per la quale in seguito sviluppai un grande interesse arrivando a scrivere un libro specificamente dedicato. Tra le altre frequentazioni mi capitò di partecipare regolarmente un gruppo di preparazione al Congresso degli Psicoanalisti di Lingua Francese (CPLF). Fu proprio in una di queste occasioni congressuali che vidi e sentii parlare per la prima volta A. Green. Passarono anni ricchi di occasioni per imparare e più cercavo di capire più si insinuava in me un interrogativo: perché durante la mia formazione italiana riguardo agli analisti francesi ci fu detto poco o niente? Perché le traduzioni dei libri in italiano dello stesso Green erano fatte così male al punto quasi dal far pensare che Green e Lacan andassero sottobraccio a discutere di Psicoanalisi? Perché tutto quanto fu scritto da S. Freud dopo il 1920 era quasi assente nella formazione degli analisti italiani? Perché se in Italia qualcuno, me compreso, osava o osa dire o scrivere Pulsione di Morte viene considerato (successe anche a me, da parte di importanti analisti italiani) uno che nulla ha capito della Psicoanalisi?

In tali occasioni Green disse durante uno dei suoi seminari clinici del venerdì e ogniqualvolta gli chiedevano il perché di questa difficoltà a pensare a questo concetto, rispose che pensare di avere in noi, in tutti noi, una pulsione di morte o di distruttività è inaccettabile come se si trattasse di un vero e proprio trauma. Credo sia importante ricordare che il libro di Green sulla distruttività e la pulsione di morte [Pourquoi les pulsions de destruction ou de mort? Paris, Panama, 2007 – volume non tradotto in italiano!] fu scritto anni prima della serie di attentati che colpirono la Francia, prima della creazione dell’ISIS, prima dello scatenarsi del terrorismo di massa diffusosi in tutto il mondo.

Così l’idea dell’esistenza di una pulsione di morte cominciò ad interessarmi, raccolsi tutta la bibliografia possibile e scrissi un libro: Psicoanalisi della distruttività e pulsione di morte.

Tornando a Green si era diffusa l’idea che fosse una persona scostante, sempre arrabbiato e pronto a litigare durante i congressi e varie attività che concernevano la Psicoanalisi. Devo dire che anche a me in prima battuta non fece un gran bell’effetto però non mi sembrava un uomo cattivo come tanti lo descrivevano.

Correva l’anno duemila e sette e grazie ad una amica analista francese riuscii ad essere inserito nel gruppo di discussione clinica tenuto dallo stesso Green all’Istituto di Parigi, un gruppo di una quindicina di persone che a turno portavano un caso clinico. Ricordo quei gruppi per due motivi, il primo è che si trattava e si tratta dell’occasione formativa che per me, nel frattempo diventato analista, non ha eguali. L’altro motivo è che nel piccolo gruppo o in occasioni meno formali, come prendere un caffè discutendo di Psicoanalisi, ebbi modo di conoscere, penso, il vero Green. Era un vecchio leone che amava la Psicoanalisi e non tollerava che qualcuno ne maltrattasse il linguaggio metapsicologio. Se ciò accadeva allora si che si arrabbiava e anche tanto.

Ora scrivo una cosa che mi farà alcuni nemici: durante le supervisioni di gruppo ed immagino ancor più in quelle individuali, Green dimostrava di essere un uomo delicato, un clinico raffinato, uno Psicoanalista capace di tenere contemporaneamente presenti gli aspetti preconsci, consci e legati agli affetti del paziente, il suo stile difensivo, le manifestazioni controtransferali ecc. senza fare confusione tra tutti questi. Mi colpì molto il racconto che fece di una sua paziente anoressica in analisi da molti anni e che Lui andava a trovare a casa nei periodi peggiori, l’umanità di quel racconto come del resto di tanti altri. Questo lo scrivo per dire che non ha alcun senso pensare a Green come ad un uomo cattivo, anzi era tutt’altro, basta pensare al Suo impegno dedicato alla formazione dei giovani analisti, indice di generosità.

Quando venne a sapere che stavo scrivendo un libro sulla distruttività ed avevo scritto in copertina “Dedicato ad A. Green” si commosse e una volta stampato gliene diedi una copia.

Si incuriosì, lui non sapeva leggere l’italiano, così lo diede alla moglie che aveva fatto le scuole superiori in Italia.

Poi si ammalò e fui uno tra i pochissimi che sapeva in che ospedale si trovava ed aveva il permesso di andarlo a trovare. Entrando nella stanza in cui era ricoverato la cosa che mi colpì molto fu la quantità di libri, anche di discipline molto differenti dalla Psicoanalisi, che c’erano e che occupavano ogni superficie possibile compreso il letto a fianco al suo.

Mi ringraziò della visita ed a modo suo, tra le parole mi fece capire che dapprima era stato diffidente verso di me ma che poi, essendosi fatto tradurre parti del libro, aveva cambiato completamente idea e quando me lo disse era quasi imbarazzato. In quel momento, in quella stanza, c’eravamo lui e ed mia amica analista: dopo i convenevoli ci trattenne spiegandoci perché aveva tutti quei libri e perché aveva già programmato i seminari ed altro, per l’anno successivo ecc.

Al momento dei saluti mi strinse con forza la mano, ci guardammo negli occhi quasi come se sapessimo che sarebbe stato il nostro ultimo incontro … e fu così.

A Lui la mia massima gratitudine.

 

Bibliografia

Green A. (2007), “Pourquoi les pulsions de destruction ou de mort?”  Paris, Panama

Doninotti E., (2011), “Psicoanalisi della distruttività. La pulsione di Morte. Dedicata a André Green”, Upsel Domenighini

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