Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
KnotGarden 2025/3 – Tradurre Freud Oggi
di Riccardo Steiner
(Londra) è membro della British Psychoanalytical Society. Insieme a Pearl King ha curato il volume che raccoglie i materiali delle famose Discussioni Controverse avvenute a Londra nella British Psychoanalytical Society tra gli analisti kleiniani, viennesi e del “gruppo indipendente” durante la seconda guerra mondiale [The Freud-Klein Controversies 1941-45. New Library of Psychoanalysis]. E’ autore di innumerevoli articoli pubblicati nelle riviste internazionali e di volumi editi da Karnac Book: ‘It’s a New Kind of Diaspora’: Explorations in the Sociopolitical and Cultural Context of Psychoanalysis, Tradition, Change, Creativity: Repercussions of the New Diaspora on Aspects of British Psychoanalysis, Unconscious Phantasy and Within Time and Beyond Time: A Festschrift for Pearl King. [N.d.C.]
*Per citare questo articolo:
Riccardo Steiner (2025), La complessa storia della traduzione di Freud in Inglese. Rivista KnotGarden 2025/3, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 18-38.
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Queste mie note vogliono essere semplicemente una brevissima messa a punto della complessa storia della traduzione di Freud in inglese con qualche nota finale sulla Revised Standard Edition.
Comincio con una annotazione personale. Negli anni ottanta, in seguito alla pubblicazione nel 1983 del libro di B. Bettelheim Freud and Man’s soul , che sembrava quasi un’eco commovente del libro di S. Zweig (1881-1942) The World of Yesterday (1942) e che criticava violentemente la traduzione di Strachey con tutta una serie di esempi del vocabolario tecnico di Freud distorto, meccanizzato e deprivato in inglese del suo contenuto umanistico mitteleuropeo, tedesco e viennese (basti pensare al titolo dove Soul traduzione di Seele in inglese fu scelto da Bettelheim in polemica diretta con Mind della traduzione di Strachey), e in seguito alla pubblicazione dei lavori di Ornston (1982, 1985), di Mahony (1980, 1987) e di altri che riprendevano e allargavano le critiche alla traduzione di Strachey (si pensi solo a Lacan), la Società Britannica di Psicoanalisi mi chiese di fare uno studio sulla traduzione per vedere se tutte queste critiche fossero fondate e se occorresse pensare a una nuova traduzione o almeno ad una revisione della traduzione di Strachey (Steiner, 1984).
Non era solo un problema di traduzione, c’era di mezzo lo status internazionale del potere egemonico sul testo di Freud della Società Britannica che per varie ragioni storico, sociali e politiche (Steiner, 1987, 1989, 1994, 2000) aveva imposto anche all’IPA la traduzione di Strachey fatta con il consenso e l’autorizzazione di Anna Freud. Molto del prestigio internazionale della Società Britannica era legato a questa traduzione diventata una sorta di Bibbia della psicoanalisi freudiana. Oltre alla traduzione c’era poi lo straordinario apparato di note ad ogni testo fatto da James Strachey e, secondo me, anche da sua moglie, Alix Strachey. Apparato di note che venne copiato, con il pagamento di profumate royalties alla Società Britannica, e utilizzato da tutte le traduzioni in altre lingue dell’opera di Freud, anche se venne a volte persino migliorato come è il caso di certi volumi dell’edizione italiana curata da Cesare Musatti. Il professore Michele Ranchetti, titolare della cattedra di Storia del Cristianesimo a Firenze, ma studioso italiano poliedrico che si occupava dei legami tra gli Strachey e Boringhieri negli anni Sessanta (al tempo della prima sistematica traduzione in italiano delle Opere di Freud), mi riferì che James Strachey gli aveva detto che l’edizione Italiana della Interpretazione dei sogni era migliore della sua per quanto riguardava le note. Persino l’edizione tedesca delle Opere di Freud, Die Studien Ausgaben, curata da Ilse Grubrich Simitis[1], tradusse le note di Strachey con qualche aggiunta al punto che la stessa A. Freud nel 1970 (v. S.E., vol 24, Introduction) dichiarò che Strachey in certi aspetti (cura filologica del testo per esempio) era stato migliore di suo padre.
La scomparsa della lingua tedesca come lingua ufficiale dell’IPA in seguito alla diaspora da Vienna e da Budapest degli analisti ebrei durante il nazismo e arrivati in Inghilterra e in America (Steiner, 2000) aveva fatto della lingua inglese la lingua franca dell’IPA per quel che riguardava la citazione dei testi di Freud.
C’erano però anche questioni finanziarie: la traduzione di Strachey, oltre all’egemonia culturale e relativo apparato di note ai testi, garantiva un cospicuo introito finanziario alla Società Britannica. In quegli anni Ottanta era anche venuto meno il copyright sugli scritti di Freud in inglese e chiunque, volendo, avrebbe potuto ritradurli. Da qui la comprensibile ansia e preoccupazione della Società Britannica di Psicoanalisi.
Ciò che emerse dalla mia indagine (Steiner, 1984, 1987, 1989) fu che dietro il nome di J. Strachey, di sua moglie e poi di Anna Freud (riconosciuta come la collaboratrice principale della Standard Edition) alla fine degli anni Cinquanta-inizio Sessanta del secolo scorso, si celava una storia estremamente complessa ed interessante.
La Standard Edition, infatti, si rivelò il condensato e la rielaborazione da parte degli Strachey e dei loro aiutanti di una serie di traduzioni che risalivano in realtà ai primi anni del novecento realizzate in America sotto l’egida di A. A. Brill. A lui era stato affidato nel 1908 il compito dallo stesso Freud allorché con Jones lo aveva incontrato per la prima volta a Vienna dopo il Congresso di Salisburgo.
Le prime discussioni su come tradurre certi termini tecnici risalgono infatti a quegli anni con la partecipazione a volte dello stesso Freud e di Jones che sapeva il tedesco abbastanza bene.
Studiando le traduzioni di Brill ed i saggi di vari psichiatri, psicologi e neurologi americani, e dello stesso Jones che si era trasferito in America nel 1909/10, si può notare come certi termini tecnici ego, superego, repression, persino mind, ecc.) siano già presenti in America in quegli anni. Di particolare importanza furono le traduzioni fatte da Benjamin Chase delle Cinque Lezioni che Freud tenne in America a Harvard quando ci andò con Ferenczi e altri, traduzioni che furono, stando a Chase, supervisionate anch’esse dallo stesso Freud.
Quando Jones tornò in Inghilterra, nel 1913 e nel 1919, trovò che, sull’onda dell’interesse per la psicoanalisi di una certa cultura psichiatrica ed educativa britannica, Forrester (2019) aveva usato rudimenti psicoanalitici per tentare di curare le sindromi post traumatiche dei soldati traumatizzati al fronte durante la prima guerra mondiale, nonostante il pregiudizio e il rifiuto di accettare la psicoanalisi da parte dell’establishment tardo vittoriano ed edoardiano britannico.
C’era poi l’interesse per la psicoanalisi di una certa cultura d’avanguardia inglese di quegli anni; si pensi al gruppo di Bloomsbury cui appartenevano il giovane Strachey, la sua futura moglie Alix, suo fratello Lytton, il famoso letterato e biografo, Leonard e Virginia Woolf che nel 1924-25 divennero gli editori autorizzati di Freud in Inghilterra. Si aggiungevano il grande economista Keynes e altri.
Quando nel 1919 Jones fondò la British Psychoanalytical Society a Londra, la possibilità di impadronirsi della traduzione delle opere di Freud giocò un ruolo fondamentale per il prestigio della nascente psicoanalisi istituzionalizzata inglese. Jones tentò di eliminare gli Americani e cominciò a tempestare Freud con lettere ed esempi per convincerlo di come le traduzioni di Brill fossero pessime, supportato in questo anche da certi freudiani americani come Putnam. Vedi il carteggio Freud-Jones (Steiner, 1984, 1987, 1993, 2021, 2024).
Jones, sull’onda anche dei cambiamenti sociopolitici dovuti alla sconfitta dell’impero Austro Ungarico e della debolezza socio-economica di Austria, Germania e Ungheria del primo dopoguerra – come dichiarò anche Otto Rank (Steiner, 1989, 2024), ed ammise lo stesso Freud ai suoi colleghi – aveva in mente di creare una psicoanalisi inglese che avesse l’egemonia sulle traduzioni dell’opera di Freud in lingua inglese. Già nell’aprile 1920, in una lettera a Freud, Jones dichiarava che avrebbe voluto tradurre tutto Freud in una edizione Standard e che, se ci fosse riuscito, questo sarebbe stato il successo più importante della sua carriera (Paskaukas e Steiner, 1993).
Qui sta il punto: non fu Strachey, come credettero Bettelheim e molti altri americani e non, a standardizzare in maniera piuttosto rigida e scientista Freud; fu Jones, con l’appoggio anche, ma non sempre, di Freud stesso e di sua figlia a tentare per primo l’impresa.
Per riuscirci creò un gruppo di traduttori a lui obbedienti che applicarono, fin dalle prime traduzioni sistematiche di Freud degli anni venti, un suo glossario creato con la loro collaborazione (Steiner, 1987, 2024). Se ne trovano le prime tracce già nella seconda edizione degli Scritti di psicoanalisi di Jones pubblicati nel 1918 a Londra. Nella prefazione al Glossario (cui avevano collaborato J. Strachey e sua moglie, Alix, Joan Riviere, C. Fluegel, J. Rickman e ovviamente – nota bene! – anche S. Freud e sua figlia Anna) Jones dichiara esplicitamente che vuol fare della psicoanalisi una scienza che abbia un vocabolario simile a quello delle altre scienze naturali, monosemico e impregnato, sin dove possibile dei suoi termini tecnici, di greco antico e latino come appunto era stato possibile fare nelle altre scienze naturali. Una vera e propria lingua franca che poteva essere capita, ma anche – cosa da non dimenticare – insegnata in Gran Bretagna e in America; la psicoanalisi infatti in Inghilterra e in America si stava istituzionalizzando e aveva bisogno di concetti chiari.
Freud, per Jones (1910), era il Darwin della mente, ma soprattutto il Freud inglese doveva distinguersi dal Freud tedesco perché la lingua scientifica tedesca, come Jones dichiarò sempre nella prefazione al Glossario (1924), non usava molti termini in greco antico e latino e quindi il Freud inglese doveva diventare più scientifico dell’originale tedesco. Il Glossario, perciò, doveva arginare il caos linguistico anarchico che proveniva dall’America dove la psicoanalisi rischiava di diventare qualcosa che non poteva essere preso sul serio.
Last but not least, secondo Jones questo glossario doveva soprattutto convincere anche l’establishment di psichiatria, psicologia e neurologia inglesi che la psicoanalisi era una scienza da prendere sul serio. Ci vollero quasi nove anni per far dichiarare alla British Medical Association che la psicoanalisi era una terapia affidabile e praticabile e Jones fu coinvolto in prima persona in questo lungo dibattito. Va ricordato inoltre che da buon empirista non mostrò mai grande simpatia per certi aspetti del pensiero di Freud: erano troppo speculative la pulsione di morte e la comunicazione telepatica che interessò sia Freud che sua figlia Anna e Ferenczi negli anni Venti e Trenta. Jones, preoccupatissimo delle possibili reazioni della psichiatria e della psicologia clinica inglesi per quanto riguardava la telepatia, prese su questo le distanze da Freud come appare dal loro carteggio e successivamente dalla biografia di Freud che Jones pubblicò nel 1957/58.
Da qui la scelta di certi termini tecnici del Glossario come cathexis, anaclitic, scopophilia, parapraxis, ecc. che si aggiunsero a quelli già creati da Jones e da Chase, ma qualcuno anche da Brill in America: ego, superego, repression, instinct, interpretation, primary e secondary process, defences, transfert. Tutto quello che Bettelheim e altri attribuivano a Strachey, e solo a lui, ai suoi capricci e stranezze, in realtà era stato creato in gran parte da Jones e dai suoi colleghi che ho appena citato eccettuato cathexis e forse anaclitic creati da Strachey ma sotto lo stretto controllo e approvazione finale di Jones nel 1920/21 (Steiner, 1989, 2024, 2025). Certamente il Glossario si può discutere e personalmente non sono d’accordo con gli eccessi di tecnicismo di cathexis, anaclitic, ecc., ma non si può negare che già negli anni Venti il progetto di Jones, anche se non sempre accettato subito da Freud – come nel caso di cathexis (Steiner, 2021) – aveva una sua logica e rifletteva inevitabilmente certi aspetti della cultura psichiatrica, psicologica, neurologica ed educativa della Gran Bretagna di quegli anni; una cultura in generale ostile alla cultura di lingua tedesca. Basterebbe leggere le recensioni delle prime traduzioni delle opere di Freud. Bisogna poi tener conto anche dell’ostilità nei confronti di quello che proveniva dall’Austria e dalla Germania in seguito alla prima Guerra mondiale.
Non va certo dimenticato perciò quanto Strachey scrisse nella sua Introduzione al primo volume della S.E. p. XIX dove dichiarò esplicitamente che il modello che aveva avuto in mente nel tradurre Freud era stato quello di uno scienziato inglese, e sottolineava inglese, di vaste letture, vissuto nel secolo XIX (Steiner, 1987). Quello che Strachey non diceva chiaramente è che quel modello era in gran parte anche quello di Jones concepito già nei primi anni venti del secolo scorso. Infatti il Glossario divenne una specie di sine qua non a cui si doveva ricorrere per tutte le nuove iniziative editoriali della neonata Società Britannica, non ultima la creazione nel 1920-21 di un International Journal of Psychoanalysis che fece assoluto uso del Glossario. La traduzione del testo di Freud doveva essere consonante con questo nuovo vocabolario intriso di termini tecnici in greco antico e latino che lo irrigidiva, a volte lo privava della sua prosa appassionata e deliberatamente ambigua nella sua eleganza scientifica, ma anche così distante dal linguaggio comune inglese. Obbligava il lettore inglese o di lingua inglese ad accettare una sorta di lectio difficilior del testo di Freud. Non posso discutere quanto tutto questo distorse o trasformò già negli anni Venti il Freud tedesco, romantico, mitteleuropeo, filosofo scrittore e anche ebreo.
Ma si pensi anche a questo: i traduttori inglesi che collaborarono al Glossario furono aiutati da Jones ad andare a Vienna a farsi analizzare da Freud. Gli Strachey nel 1920, J. Riviere e J. Rickman nel 1921-22. E Jones nelle sue lettere li raccomandava esplicitamente a Freud perché imparassero a tradurlo discutendo delle traduzioni con lui (vedi il carteggio tra Freud e Jones – Paskaukas, Steiner 1993; Steiner, 1993, 2022, 2024). Discutendone con Freud gli Strachey, J. Riviere ma anche Jones riuscirono, almeno parzialmente, ad ottenere di diventare i traduttori ufficiali in inglese di Freud, almeno del Freud che lui aveva venduto agli Americani!
Freud tolse nel 1920 al suo vecchio amico Brill, ebreo galiziano emigrato a New York, l’autorizzazione ad essere il suo traduttore ufficiale in lingua inglese, lo fece parzialmente perché, anche per ragioni finanziarie, Freud aveva venduto certi diritti di traduzione agli americani.
Jones e la Società di Psicoanalisi Britannica ebbero anche successivamente grossi problemi per riscattare questi diritti di traduzione. Non va dimenticato che Freud a Vienna si trovava in grandi ristrettezze economiche e che fu quasi costretto alla fame nell’immediato dopoguerra della prima guerra mondiale. Vedi i Carteggi con Jones, con Abraham, con Ferenczi, con Eitingon e le biografie scritte da Jones, Clark, P. Gay, Roudinesco. Cercava quindi aiuti soprattutto dagli americani che insieme agli inglesi in training con lui in quegli anni lo aiutarono a sopravvivere e con lui la sua numerosa famiglia!
Tutto ciò costituì un punto capitale. E costituisce anche oggi qualcosa che non si può ignorare se si vogliono capire le vicissitudini della traduzione inglese di Freud. L’imprimatur di Freud e di sua figlia Anna che per esempio troviamo stampato in prima pagina della traduzione dei Cinque Casi clinici (1925) non fu perciò soltanto una questione discussa sulla carta.
Gli Strachey, per esempio, che si fermarono a Vienna dall’autunno 1920 al luglio del 1922, vennero presi contemporaneamente in analisi da Freud nello stesso periodo in cui, a loro insaputa, aveva in analisi anche sua figlia. Anna cominciò a collaborare con loro aiutandoli nelle traduzioni; Freud diede loro da tradurre subito un suo saggio e poi, entusiasta per le capacità linguistiche della coppia, ma soprattutto di James, propose loro di tradurre i Cinque Casi clinici, senza nemmeno consultare Jones che da Londra cercava di controllare tutte le traduzioni.
Di domenica pomeriggio, dopo aver avuto sei ore di analisi settimanali, gli Strachey andavano a casa di Freud a discutere, presente a volte anche Anna, della traduzione dei Cinque Casi clinici o di Psicologia delle masse e analisi dell’Io, un testo che James tradusse e pubblicò nel 1921 (Steiner, 1984, 1989, 2021, 2024). E quando dovettero lasciare Londra nel 1922 – come si ricava dalla corrispondenza e dalle carte che ho studiato – risulta che gli Strachey rimasero in contatto con Freud e soprattutto con sua figlia con cui discussero infinite questioni di traduzione del Caso di Dora, del Piccolo Hans, de L’uomo dei lupi, de L’uomo dei topi e del Caso del Presidente Schreber (Steiner, 2024).
È quindi un fatto accertato che sino ad un certo punto già in quegli anni anche Freud fosse coinvolto nel decidere come tradurre la sua opera in inglese. Anche se a mio parere non va dimenticata sua figlia Anna che, secondo me, sapeva l’inglese benissimo, anche meglio di lui. Ma non va dimenticato ancora una volta il ruolo di Jones. Le lettere scambiate con Freud ci testimoniano della sua volontà di controllo assoluto anche sulla traduzione dei Cinque Casi Clinici fatta dagli Strachey e che venne a far parte di quattro volumi dell’opera di Freud intitolati Collected Papers pubblicati, sotto il controllo di Jones, dalla Hogarth Press di Leonard e Virginia Woolf a partire dal 1924, e su cui si basò la lettura di Freud da parte degli inglesi sino alla pubblicazione della Standard Edition curata e tradotta da James Strachey con l’aiuto di A. Freud e la collaborazione di Alix Strachey che negli anni Venti, tra l’altro, sapeva il tedesco molto meglio di James (Steiner, 2021, 2024) e che aveva tradotto il Caso di Dora con grande apprezzamento di A. Freud (Steiner, 2024). Su questo punto dovrò tornare. La cosa stupefacente, divertente, comica o tragicomica a volte è l’enorme ed assoluto controllo che Jones volle avere su quelle prime sistematiche traduzioni e sull’applicazione del Glossario. Egli aveva in parte ragione a voler controllare l’inglese e l’applicazione del suo Glossario per i motivi che ho già tentato di chiarire. Si preoccupò persino degli aspetti editoriali delle traduzioni, del colore della copertina dei volumi e del numero delle loro pagine. I volumi dovevano apparire identici a quelli di medicina, di psichiatria, di neurologia, ecc. che si potevano vedere nelle biblioteche private dei grandi dottori, dei primari di Harley Street di Londra dove si accentrava e ancora oggi si accentrano i migliori medici specialisti (Steiner, 1987).
A leggere il carteggio con Freud si nota tuttavia la poca simpatia che Freud aveva con quella che lui chiamò l’ossessività da cinese di Jones ed il suo comportamento autocratico.
Jones sin dal 1908, data del loro primo incontro, aveva suscitato una fortissima ambivalenza in Freud che ammirava la sua enorme energia e le sue capacità organizzative, ma che, oltre al suo dongiovannismo, apprezzava poco tutti i tentativi che Jones faceva per cercare di spiegargli l’importanza di un buon inglese elegante e non americanizzato per la circolazione ed il successo delle traduzioni inglesi della sua opera. A Jones, che ad un certo punto criticò brutalmente Brill che pure a volte nel suo americano primitivo aveva cercato di rispettare gli aspetti più emotivi del linguaggio di Freud (Steiner, 1987, 1989), rispose: “Meglio aver un buon amico che un buon traduttore” (Jones E., Biografia di Freud, vol. 2, 1957, p. 46)[2]. Buoni amici e buoni traduttori li trovò negli Strachey che, nonostante il loro snobismo da grandi borghesi inglesi, i loro problemi psicologici, la terribile apatia di James, i problemi della loro bisessualità e la loro depressione, soprattutto nel caso di Alix, Freud apprezzò moltissimo sin dall’inizio dei loro incontri a Vienna, al punto da ringraziarli pubblicamente nelle prime pagine della traduzione (1925) del Caso di Dora definendoli come i suoi migliori traduttori. E in tutte le lettere che scambiò con Jones su James e Alix Strachey Freud li difese sempre a spada tratta dalle sue critiche o insinuazioni velenose sia come persone, sia come suoi traduttori preferiti senza dimenticare J. Riviere traduttrice eccelsa anche se non tradusse molto di Freud. Non c’è dubbio che sia nel caso degli Strachey appartenenti al gruppo raffinato di Bloomsbury che di J. Riviere, una sorta di aristocratica, Freud era stato affascinato dalla loro cultura e dal loro stile di vita.
Ma, se stiamo solo a quel che ho accennato, va notata una cosa molto specifica, direi un unicum che caratterizza queste traduzioni degli anni Venti e che lascerà una traccia indelebile anche per quel che riguarda la S.E. di James Strachey e anche per certi aspetti la RSE di Mark Solms. Dato il soggetto delle traduzioni e lo strano contesto in cui ebbero luogo, con la mescolanza di sedute analitiche personali o a volte anche per lettera come nel caso di Jones e discussioni su come tradurre Freud, non si può ignorare o sottovalutare il ruolo giocato dall’inconscio di Freud e quello degli Strachey, di Jones, di J. Riviere e di J. Rickman. Va considerato quindi il ruolo giocato in queste traduzioni dall’enorme mobilizzazione di transfert e controtransfert più o meno coscienti e più o meno risolti tra tutti loro. Pensando ad altre grandi traduzioni di autori classici in tutti campi, quel che avvenne tra questi traduttori, Freud e il suo testo costituisce veramente qualcosa di unico per il costante coinvolgimento personale dei traduttori e dell’autore tradotto. Si pensi solo, ad esempio, alle reazioni invidiose (lo notò lo stesso Freud) infantili, a volte veramente da folle di Jones nei confronti degli Strachey ma soprattutto di J. Riviere. Anche lei era stata una paziente di Freud e lui, come fece con gli Strachey, la difese a spada tratta dagli attacchi arroganti, misogini e invidiosi di Jones. Questi fu costretto da Freud a rassicurarlo persino sul fatto di non aver avuto rapporti sessuali con la Riviere a Londra quando era stata sua paziente anche se non era riuscito a controllare e capire il transfert erotico della Riviere, come emerge dalle lettere della stessa a Jones che anch’io ho potuto consultare.
Come nel caso degli Strachey, Jones aveva mandato J. Riviere a Vienna, ma poi si era sentito escluso dall’analisi e dal contatto diretto che sia gli Strachey che J. Riviere e persino K.J. Rickman avevano avuto con il Maestro. Si era scatenata in lui una sorta di rivalità tra fratelli da Totem e Tabu. E quindi Jones pretendeva di avere l’ultima parola, come scrisse esplicitamente a Freud, sulle loro traduzioni anche quelle discusse con lui e approvate da Freud e sua figlia! Le lettere di Freud e di Jones su Joan Riviere e di Freud su Jones dove lo ridicolizza, lo accusa di mala fede, lo analizza esplicitamente per lettera e ancora le patetiche difese di Jones che mischiava traduzioni e volontà di essere lui il discepolo figlio prediletto di Freud costituiscono non solo un capitolo divertente per capire il contesto veramente unico e singolare in cui si svolsero quelle traduzioni, ma anche un capitolo tragicomico tra i più significativi di tutta la storia della psicoanalisi pre-seconda Guerra mondiale.
Ma quanto ho potuto qui solo accennare in fretta pone dei quesiti importanti.
Si trattò solo di tradurre Freud e di adattarlo ad una certa cultura britannica o anche di avere l’autorizzazione a quasi possedere la sua persona e non solamente per via dei contratti di traduzione? E chi lo possedeva? A proposito del Glossario e di certi termini astrusi derivati dal greco antico, quello di Eschilo (si pensi a cathexis per tradurre besetzen, una parola del linguaggio comune tedesco che significa possedere, occupare o a ahnlenung che significa dipendere da, appoggiarsi a), ho avanzato ironicamente l’ipotesi, ma forse non priva del tutto di verità, che Jones e lo stesso Strachey, costretto da lui a ricorrere a questi termini tratti dal greco antico, avessero capovolto un po’ il rapporto di dipendenza da Freud mirando ad occuparlo a loro modo costringendo il lettore a leggere il loro Freud (Steiner, 2021).
Se è possibile ipotizzare la partecipazione dell’inconscio nel tradurre, nonché il ruolo dell’inconscio nel rapporto tra traduttore e autore (Venuti, 2019), la psicoanalisi ha la possibilità di aiutare a capire questo complesso problema di teoria della traduzione.
L’importanza di questi aspetti personali sembra essere confermata anche dal fatto che il povero Brill, quando Freud (che lo amava molto perché galiziano e ebreo errante come lui) gli tolse l’autorizzazione a tradurlo, ebbe un break down. Jones ne discusse, trionfante, nelle sue lettere a Freud. Il fatto fu anche annunciato e analizzato nelle Rundbriefe di quell’anno 1920.
Tutto ciò aiuta a capire meglio il tipo di controllo esercitato sulla traduzione: Jones, come scrisse a Freud nel 1925, per più di tre anni aveva controllato parola per parola tutto quanto veniva tradotto, come un mastino – si potrebbe dire – che non poteva mollare l’osso. Basterebbe leggere le lettere scambiate tra James Strachey e sua moglie – quando quest’ultima era andata a Berlino per una seconda analisi con K. Abraham nel 1924-25 – per avere un’idea di come i due mal sopportassero il mastino Jones e i suoi interventi sulle loro traduzioni.
Non stupisce perciò che alla morte di Freud in una bellissima e commovente lettera a James Strachey (Steiner, 1987, 2024) Jones abbia proposto di creare un comitato che si sarebbe dovuto occupare, con l’aiuto di Maria Bonaparte, della traduzione standard di tutte le opere di Freud. “Se non lo facciamo noi – scrisse Jones – nessuno lo saprà fare meglio di noi”. Esagerava, ovviamente, ma era ancora lui, Jones, a voler guidare e controllare l’impresa della traduzione. Il comitato venne creato e reimpastato parecchie volte, nel dopoguerra vi si aggiunse A. Freud allorché James Strachey accettò formalmente di lavorare alla S.E.
È vero che nel 1940 Alix che, come ho già detto sapeva molto bene il tedesco, pubblicò un supplemento del Glossario con molti nuovi termini tecnici per tradurre Freud che venne poi usato da James Strachey nella S.E., ma questo Vocabolario era una copia allargata del Glossario e (nota bene) seguiva ancora le direttive proposte da Jones nel 1924.
James Strachey con la aiuto della moglie divenne il traduttore della S.E. anche se andrebbe fatto uno studio accurato di come abbia usato e standardizzato le traduzioni di sua moglie e di J. Riviere e di altri traduttori che Jones aveva usato quando aveva pubblicato i famosi volumi dei Collected Papers di Freud a partire dal 1924. Ci sono molte voci anche nella S.E. per non dimenticare gli aspetti patriarcali che risalgono agli anni Venti e anche prima.
Ho trovato tracce della collaborazione ulteriore tra Jones e James Strachey in certe note e lettere scambiate tra loro negli anni Cinquanta quando Jones, ritiratosi, stava scrivendo la biografia di Freud sotto l’occhio vigile e, a volte, la censura di Anna Freud su alcuni aspetti della vita di suo padre (Steiner, 1999), mentre James lavorava alla S.E. – anche lui sotto l’occhio vigile di Anna – a ricordare ancora il loro sodalizio degli gli anni Venti e quindi indubbiamente a mantenere una linea di continuità con quegli anni al punto che i cinque casi clinici, tradotti e pubblicati nel 1925 (dove si riconosceva l’imprimatur di Freud, ma anche quello di sua figlia), furono ripubblicati nella S.E. con pochissime correzioni (Steiner, 2024).
Jones e Strachey si scambiarono chiarimenti e quesiti in una atmosfera molto amichevole senza la rabbia competitiva che aveva caratterizzato la loro relazione e la rivalità tra fratelli nei confronti di Freud degli anni Venti.
La cosa interessante da sottolineare forse, pensando a tutto quello che ho ricordato sul ruolo giocato da Jones, è come sia stato Jones ad aiutare Strachey a capire il manoscritto del Progetto di una psicologia (1895) poi pubblicato nella S.E. e su cui ha apportato dei contributi fondamentali anche Mark Solms nella R.S.E. Jones era neurologo mentre Strachey dopotutto non poteva capire molto bene il Freud neurologo del Manoscritto. Aveva tentato in gioventù di studiare medicina, come gli aveva consigliato Jones, ma l’aveva subito abbandonata per andare a Vienna da Freud.
Spero che queste rapide note possano dare l’idea di quanto complessa sia la storia di questa traduzione. Quando M. Solms fu scelto per lavorare alla R.S.E. io ero riuscito già a chiarire molti aspetti di questa traduzione per quel che riguardava gli anni Venti. E per quanto mi ricordo la Società Britannica si era mostrata incline a tentare una revisione della S.E. ma non a una ritraduzione completa. Consciamente e inconsciamente il peso di tutta questa vicenda e il valore dell’imprimatur di Freud e di sua figlia non potevano essere cancellati. Era come se i fantasmi di questa grande generazione di pionieri non potessero facilmente essere dislocati; anche loro occupavano ancora la traduzione di Freud. Ultima a scomparire era stata Anna nei primi anni Ottanta. Va anche tenuto presente, secondo me, l’enorme spesa finanziaria che una ritraduzione completa delle opere di Freud avrebbe comportato.
Ci si potrebbe domandare quanto Mark Solms abbia tenuto conto del mio lavoro di storico. Per quanto tenda a volte a dimenticarsi un po’ dell’importanza del ruolo di Jones per varie ragioni, non ultima il fatto di essere lui un neuropsicoanalista; l’approccio scientifico di Jones gli è andato a genio anche perché nel Compendio, l’ultimo saggio di Freud pubblicato postumo, c’è la dichiarazione che la psicoanalisi è una scienza naturale, il che giustifica indirettamente molto l’approccio di Jones. Ma va anche detto che a volte Freud si contraddice definendo la Psicoanalisi come pura psicologia staccata dall’anatomia biologica. In più, per mostrare il peso inconscio di certi aspetti delle traduzioni degli anni Venti Mark Solms non ha certo potuto avvalersi dell’imprimatur diretto di Freud o di Anna. Ma anche la sua R.S.E. è nata sotto l’egida, sia pur indiretta, ma ancora presente di quell’imprimatur cui ho fatto tante volte riferimento. Mark Solms cominciò a lavorare alla sua R.S.E. sotto l’egida quasi diretta dell’erede ufficiale di Freud: Anna Freud. Fu infatti C. Yorke, psicoanalista, vicedirettore dell’Anna Freud Centre a Londra, fedelissimo seguace di Anna, a giocare un ruolo molto importante nell’aiutare Mark Solms nei suoi primi passi come nuovo traduttore e a battersi perché gli fosse dato l’incarico di revisionare la S.E. negli anni Novanta del secolo scorso. Come del resto va ricordato l’appoggio che diede a Solms I. Grubrich Simitis la grande studiosa tedesca, psicoanalista e specialista dei testi di Freud, anche lei una fedelissima seguace sia di Strachey che di A Freud. Per non parlare di K. Eissler, il potentissmo direttore dei Freud Archives a Washington e pure lui un fedelissimo della cerchia di A. Freud.
Il vecchio imprimatur, e forse qualche nodo di problemi e angosce personali vecchie e nuove, si direbbe sia stato conservato parecchio perché pochissimo è stato rivisto del vecchio glossario. M. Solms ama e difende anche cathexis e anaclitic sia pur introducendo qualche correzione; vedi per esempio l’uso di instinct che nel nuovo glossario viene sostituto da drive perché James aveva troppo insistito a tradurre trieb con instinct.
Freud usa instinct rarissimamente, per esempio nelle conclusioni del caso dell’Uomo dei lupi quando discute delle fantasie primarie inconsce di natura filogenetica che riprenderà poi anche nel saggio Mosè e la religione monoteistica.
C’è da tener presente il fatto nuovo e affascinante che essendo Mark Solms anche un neuropsicoanalista ciò ha contribuito enormemente a chiarire e ad arricchire la nostra conoscenza di Freud neurologo preanalitico, ma anche a dimostrare la linea di continuità tra il Freud neurologo e lo psicoanalista. Nella R.S.E. Mark da questo punto di vista, pur riconoscendo il passar del tempo e facendo riferimento alle critiche più pesanti di Bettelheim, Ornston, Mahony, Lacan e Laplanche, al fondo le rigetta e propende per un Freud in cui le cosiddette scienze naturali giocano un ruolo preponderante.
E quindi conserva il modello di Freud uomo di scienza all’inglese di Jones e di Strachey.
Ciò non toglie la novità dei nuovi contributi, degli inediti, delle correzioni alle note di J. Strachey, dell’uso delle ricerche di I. Grubrich Simitis, degli stupefacenti aggiornamenti bibliografici e dell’indice del vecchio volume 24 della S.E.
Certo mi ricordo che all’inizio dell’impresa di Mark Solms con C. Yorke si discusse della possibilità di arricchire le note di Strachey ai testi e di poter usare i carteggi di Freud con i suoi seguaci, amici e colleghi là dove faceva riferimento ai suoi lavori in corso o rispondeva a certi quesiti circa l’interpretazione di alcune sue idee. Si pensi solo al dialogo con Jones nel 1927 sulla pulsione di morte dove ad un certo punto Freud gli dichiara che non ne può più fare a meno nel suo lavoro clinico e Jones gli risponde da classico empirista inglese anticipando il pensiero del gruppo degli indipendenti della Società Britannica insistendo sull’aggressività distruttiva causata dalle frustrazioni dell’ambiente esterno. Si pensi altresì alle importanti precisazioni sul problema del lutto e la melanconia che si trovano nel carteggio con Abraham intorno agli anni Venti, o ai problemi legati alla costruzione e ricostruzione storica nel caso delle biografie di tipo psicoanalitico discussi nel carteggio con A. Zweig negli anni Trenta, temi che si ritrovano sviluppati poi anche nel famoso saggio Costruzioni in analisi. E poi c’è una mia fissazione da rimandare anch’essa al futuro: quando sarà possibile avere un Freud di cui si conoscano bene anche le fonti citandole e studiandole, aiutando così il lettore a capire la complessità linguistica dell’essere figlio del suo tempo e allo stesso tempo il suo essere così tanto anche anticipatore del futuro nel campo dello studio dell’inconscio? Ne verrebbero fuori incredibili, piccole e grandi scoperte come è accaduto per i classici come Dante, Shakespeare, Galileo, Newton, ecc.
Ma ogni traduzione per definizione è una approssimazione e un esempio di come nel tradurre ci sia l’accettazione di un lutto, di una perdita dell’originale e un tentativo di riparare questa perdita avvicinandosi il più possibile all’originale stesso… Oggi è il momento di elaborare il lutto e la perdita della S.E. anche se moltissimo della S.E. rimane nella R.S.E.
Ci saranno altre revisioni? O traduzioni di Freud? Sicuramente. Questo è il segreto dei grandi testi che rispondono sempre ai diversi contesti e ai nuovi stimoli culturali che ce li fanno interrogare, tradurre in maniera più o meno corrispondente alle nuove domande, alle urgenze educative, scientifiche, filosofiche, letterarie e sociopolitiche in cui viviamo nel presente o che nel futuro vivranno le generazioni che verranno.
Bibliografia
[N.d.c. La bibliografia del testo è stata redatta a posteriori dai curatori con inevitabili incompletezze e imprecisioni di cui ci scusiamo.]
Paskauskas R.A., Steiner R. (1993). The Complete Correspondence of Sigmund Freud and Ernest Jones 1908- 1939. The Complete Correspondence of Sigmund Freud and Ernest Jones 1908- 1939, 28, pp. 1-822.
Steiner R. (1984). Ernest Jones. Freud’s Alter Ego. By V. Brome. London. Caliban. 1982. Pp 250. Int. J. Psychoanal., 65, pp. 215- 218.
Steiner R. (1987). A World Wide International Trade Mark of Genuineness? – Some Observations on the History of the English Translation of the Work of Sigmund Freud, Focusing Mainly on his Technical Terms. Int. Rev. Psychoanal., 14, pp. 33-102.
Steiner R. (1988). Bloomsbury/Freud. The letters of James and Alix Strachey, 1924-1925. Edited by Perry Meisel & Walter Kendrick. London, Chatto Windus 1986. Pp. 360. Int. J. Psychoanal., 15, pp. 404-407.
Steiner R. (1989). It is a New Kind of Diaspora. Int. Rev.Psychoanal., 16, pp.36-72.
Steiner R. (1993). Introduction to The Complete Correspondence of Sigmund
Freud and Ernest Jones 1908-1939. The Complete Correspondence of Sigmund Freud and Ernest Jones 1908-1939, 28, pp. XXI-l
Steiner R. (1994). In Vienna veritas. Int. J. Psychoanal., 75, pp. 511-573.
Steiner R. (1994). The Tower of Babel’ or ‘After Babel in Contemporary Psychoanalysis’? – Some Historical and Theoretical Notes on the Linguistic and Cultural Stategies Implied by the Foundation of the International Journal of Psycho-Analysis, and on its Relevance Today. Int. J.Psychoanal., 75, pp. 883-901.
Steiner R. (2000). Die Zukunft als Nostalgie: Biographien von Mythen und Helden…? Bemerkungen über Jones’ Freud – Biographie (Teil I). Psyche –Zeitschrift für Psychoanalyse, 54, pp. 99-142.
Steiner R. (2024). “My Father Says … My Father Says: The Collaboration Between Sigmund and Anna Freud, James and Alix Strachey, when Translating The Case Histories. Int. J. Psychoanal., 105, pp. 651- 686.
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[1] [N.d.c. Per una nota su I. Grubrich Simitis vedi il sito del Centro Veneto di Psicoanalisi nella Sezione Storia della Psicoanalisi].
[2] [N.d.c. Cfr. l’edizione italiana: Ernest Jones Vita e opere di Freud.Vol. II, p. 68. Il Saggiatore, Milano 1962].
*Per citare questo articolo:
Riccardo Steiner (2025), La complessa storia della traduzione di Freud in Inglese. Rivista KnotGarden 2025/3, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 18-38.
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