Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
KnotGarden 2025/3 – Tradurre Freud Oggi
di Francesco Barale
(Milano) è Membro Ordinario con Funzioni di Training della Società Psicoanalitica Italiana.
Il testo propone una rivisitazione di quanto presentato dall’Autore ad una delle serate del Gruppo Storia della Psicoanalisi promosso e coordinato da Rita Corsa e Marco Conci in cui gli fu “chiesto di dire qualcosa su come è nata questa nuova edizione di Costruzioni nell’Analisi”.
*Per citare questo articolo:
Francesco Barale (2025), Una nuova traduzione. “Costruzioni nell’analisi” dà ancora da pensare. Rivista KnotGarden 2025/3, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 39-64.
Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.
È nata da una sollecitazione degli editori di Jaca Book, Vera Minazzi e Sante Bagnoli, per la cui collana Psychè avevo curato alcuni testi (come la raccolta di saggi “Attorno alla psicoanalisi” di Paul Ricoeur).
Il discorso che mi fecero era, più o meno questo: da quando (nel 2009) i diritti editoriali su Freud sono scaduti, sono pullulate una quantità di scadenti edizioni … Perché non mettere invece in cantiere, a 50 anni dalle OSF, se non una edizione critica, almeno una edizione d’uso per studenti e studiosi, non costosa ma il più possibile rigorosa, che tenesse conto di quel che nel frattempo era emerso, era stato scritto (e anche tradotto), dei modi nuovi di leggere quei classici? Magari con un apparato di note sulle questioni via via sollevate e testo originale a fronte? Una sorta di Studienausgabe (SA) in italiano, in sostanza. Studienausgabe, come sapete, è l’altra grande edizione in tedesco di Freud, che a differenza di Gesammelte Werke (GW) non utilizza un criterio cronologico, ma tematico e riporta con una certa cura le correzioni, le varianti e le aggiunte delle successive edizioni dei testi di Freud (per chi fosse interessato a ulteriori dettagli, rimando alla mia introduzione).
Io risposi che una impresa del genere era troppo ambiziosa e del tutto sproporzionata alle nostre forze; che di “edizione critica” di opere di Freud inoltre , allo stato attuale, non era proprio neanche il caso di parlare: non solo perché sarebbe stata un’impresa gigantesca, ma perché sarebbe stata di per sé pressoché impossibile, per molte ragioni (Freud, peraltro, dopo la pubblicazione distruggeva spesso manoscritti e materiali preparatori) …Inoltre, le varianti principali conosciute erano poi già state riportate in SA e poi in SE; e poi non avevamo a disposizione né un C. Musatti né una R. Colorni.
Ridimensionando di molto gli obbiettivi, si poteva però pensare a dei piccoli assaggi. Qualcosa di buono, del resto, era già stato fatto. Ad esempio, le pregevoli edizioni di alcune opere di Freud curate da A. Luchetti, ma anche Il disagio nella civiltà curato per Einaudi da S. Mistura.
Proposi Costruzioni perché è un testo fondamentale e molto breve e per altre ragioni che si chiariranno.
Si concordò di provare. Avevo presente, inoltre, quanto sono complicate e insidiose le sfumature di una lingua (negli ultimi anni, incuriosito in generale dal problema della “traduzione”, mi ero anche cimentato in alcune traduzioni, dal tedesco e dal francese); ma “di fronte a Freud” non me la sarei mai sentita senza un appoggio..…Chiesi così a mia cognata Ingrid, viennese, filologa e lettrice di Freud, che per tanti anni aveva insegnato letteratura tedesca all’ Università di Firenze, se aveva voglia di farla a 4 mani….Trattandosi di una filologa, per giunta tedesca, ho dovuto superare inizialmente qualche diffidenza: Ingrid volle sapere esattamente come avremmo proceduto, fonti, metodo di lavoro, obiettivi ecc. L’ho dovuta rassicurare: si trattava, appunto, niente di più che di una edizione fatta al meglio delle nostre piccole forze. È andata così: io fornivo a Ingrid una mia prima traduzione da GW e SA, che teneva conto, oltre che delle tre principali traduzioni esistenti (Standard Edition SE; le nostre OSF; e l’edizione Francese Oeuvres Complètes de Freud– Psychanalyse OCF.P), dei materiali critici disponibili (in parte li trovate citati nelle note al testo); Ingrid controllava su GW la corrispondenza col tedesco, la coerenza e l’attendibilità complessiva del testo, delle note critiche, ma anche di tutti i riferimenti che vi comparivano. Compresi quelli di Freud. Faccio un esempio del tutto marginale e secondario: la battuta – “tutto si chiarirà nel corso degli eventi” – tratta da “Der Zerrissene” (il lacerato, il dilaniato…), farsa in musica (Posse mit Gesang) di Johann Nestroy, autore popolare ai tempi di Freud (soprannominato “l’Aristofane di Vienna”) e che Freud amava molto. Quella pochade, a me ignota e credo ignota anche ai traduttori di SE, era invece nota a Ingrid, essendo rimasta a lungo in repertorio a Vienna: ma il personaggio che la pronuncia non è un “domestico” (Hausknecht), – come erroneamente indicato da Freud e tramandato sia da SE che da OSF – ma un fabbro chiamato Gluthammer, cioè martello incandescente…. Intendiamoci: questo non è certo né l’aspetto più interessante né più glorioso della nostra traduzione…Quando Ingrid aveva dei dubbi di carattere psicoanalitico tra più opzioni traduttive dello stesso termine, ne discutevamo; la scelta finale era mia. È venuto fuori questo libro; non è certo una “edizione critica”, appunto, ma abbiamo fatto del nostro meglio…
Costruzioni (CnA) fu l’ultimo scritto completo che Freud pubblicò in vita, se si fa eccezione del terzo volume di quel tormentato e identitario L’ Uomo Mosè e il monoteismo, che si decise a pubblicare solo a Londra (come vedremo, i due testi sono strettamente imparentati). Qui, Freud sembra continuamente chiedersi: ma sono proprio “vere” le cose che emergono in analisi? Si, qualcosa di vero c’è! Ma che tipo di “verità”? Corrisponde agli obbiettivi che ci eravamo dati?
Pensate poi a Freud, nel 1937, quando scrive Costruzioni: il carcinoma, le conseguenze dei ripetuti interventi, la protesi per separare cavità nasali e gola, le difficoltà di parola e di alimentazione, la perdita dell’udito da un orecchio… l’ombra del nazismo che si addensa e, con essa, la prospettiva di quell’esilio che fino all’ultimo aveva sperato non necessario (partì alla fine solo il 3 giugno del 1938, ma Ernst Jones, che assieme a Marie Bonaparte aveva organizzato tutto e appositamente era giunto da Londra, faticò molto a convincerlo) … Ė impressionante pensare a questo vecchio che, invece di raccogliere le sollecitazioni di allievi e amici a godersi, protetto altrove, onori e fama, se ne sta tenacemente lì; e, in quelle condizioni, riapre da capo tutte le questioni di una vita…
Questo tormento critico è già evidente nell’incipit, dove compare il personaggio dello “studioso assai stimato”, che, pur avendo sempre apprezzato la psicoanalisi, insinua dubbi corrosivi, ai quali CnA intende rispondere. Le biografie di Freud sono dettagliatissime; tutto è stato setacciato, ma, che io sappia, mai è stato individuato questo anonimo interlocutore. Possiamo pensare che sia una creazione letteraria di Freud, un suo “doppio” critico?
Darò per conosciuto (a grandi linee) il testo e mi limiterò a poche considerazioni
Come vedete è una situazione per certi versi analoga a quella in cui ci troviamo con i nostri pazienti….
La somiglianza dei dilemmi del traduttore ai problemi posti da Freud in CnA è stata notata da molti, tra i quali J. Laplanche; anche i nostri pazienti arrivano con le loro storie e le loro narrazioni interne irrigidite, tra le pieghe delle quali cerchiamo di ridar vita ad altri aspetti occlusi in esse … ma non possiamo far ciò in modo onnipotente, come se fosse un testo trasformabile all’infinito… (un esercizio letterario di stile, alla Queneau…come qualcuno ha teorizzato).
Vedremo tra breve, peraltro, come proprio CnA si sia ampiamente prestato a prevaricazioni dell’“intentio lectoris” sulla “intentio operae” e sull’ “intentio auctoris”.
Uscendo dalla analogia, nel nostro caso si trattava di recuperare alcuni aspetti del testo di Costruzioni nell’ Analisi messi oggettivamente in ombra dalla tradizione traduttiva e anche dalla traduzione italiana, ottima, ma che talvolta si adegua alle scelte “scientiste” della SE; non sempre, ma in questo caso sì, in particolare in un punto fondamentale, che riguarda proprio il movimento interno del “costruire”, come chiariremo dopo.
Istituita l’analogia, l’analista sembra godere, all’interno di essa, di uno “straordinario privilegio” nel suo compito “ricostruttivo”: nella vita psichica
infatti nulla di essenziale viene distrutto (circostanza eccezionale in archeologia, con l’eccezione forse solo di Pompei e della tomba di Tutankhamon), anzi, è materiale vivente nel transfert.
Certo, come per l’archeologo, i materiali di cui l’analista dispone (frammenti di ricordi, sogni, aspetti del transfert …) sono difficilmente isolabili e databili nel groviglio delle loro pluri-stratificazioni: qui c’è anche tutto il tema della Nachträglichkeit (della polisemia della traccia psichica, delle sue continue reiscrizioni e ri-traduzioni, della complessità del rapporto evento/senso) descritta nella lettera del 21 settembre 1897, quella del “non credo più ai miei neurotica” (la cosiddetta “lettera dell’ equinozio”, come la chiamò Laplanche).
Anche la difficoltà successiva è condivisa: in entrambi i casi i materiali a disposizione, infatti, sono piccola cosa rispetto al compito ricostruttivo. Con tutta la migliore volontà, molto sfugge. Di fronte a quei vuoti di senso, che lasciano ancora informe e grezzo, pieno di lacune quanto emerso, all’analista non resta, con Musatti, “che esercitare la sua fantasia creatrice, guidata dal suo inconscio”. Ė la “costruzione”, appunto. Momento che peraltro evidenzia ricorda Freud, come “all’analisi partecipino entrambi i suoi protagonisti, ognuno dei quali ci mette del suo” (anche qui vi risparmio le sovrainterpretazioni).
La “costruzione” non è di per sé una novità. “Costruzioni”, cioè fantasie congetturali che colmano le lacune della ricostruzione, sono descritte in quasi tutti i casi clinici di Freud: Dora, piccolo Hans, uomo dei topi, uomo dei lupi, un bambino viene picchiato…
Estendendo: le stesse “rappresentazioni ausiliarie”, indispensabili per capire i percorsi del sogno, di cui Freud parla nel cap. 7 della Traumdeutung, sono congetture immaginative, che hanno lo statuto del “come se” (als ob), da non scambiare con le cose stesse che provvisoriamente consentono di figurare, da congedare, “come ospiti non invitati”, quando risultino inadeguate.
Estendendo ancora: in generale, i costrutti della metapsicologia erano già stati definiti nel loro insieme come grandi costruzioni congetturali, di immaginazione speculativa: ciò è particolarmente evidente proprio nel celebre passo di AtI sempre citato sulla “strega metapsicologia”, che ci consente l’esercizio di inoltrarci in processi psichici altrimenti inafferrabili. Freud scrive: “e allora c’è la strega. Non si può avanzare di un passo se non speculando, stavo per dire fantasticando” Freud (1937); in realtà nel testo tedesco c’è una particolare marcatura proprio del carattere intuizionistico di quel teorizzare (“phantasieren”) spesso preso per “dottrina”; marcatura che viene diluita sia in SE che in OSF, che omettono gi strategici “due punti” della frase tedesca: “beinahe hätte ich gesacht: phantasieren!”
La svolta di CnA non consiste dunque nel tema della “costruzione” in quanto tale, ma nell’elaborazione che Freud ne dà.
Questa è anche la novità più significativa di questa traduzione, che a cascata ha portato ad altre scelte (ad es. rendere la parola Vermutung con “congettura” e non con “deduzione”, neppure con “ipotesi”). “Io congetturo” (“ego conjector” in latino) significa “sono gettato dentro”; il “conjector” è chi si fa da tramite, l’indovino.
Il verbo in questione è infatti erraten, che in tedesco significa proprio “indovinare” (in inglese “to guess”, in francese “déviner”). La parola “erraten” (indovinare) non è affatto una parola usata qui estemporaneamente. Freud aveva una cura estrema delle parole che usava (non così delle traduzioni. Celebre la battuta con la quale – come viene tramandato – rispose a un collaboratore che gli esprimeva dubbi su una certa traduzione di una sua opera: “meglio avere un buon amico che un buon traduttore”). Nell’intera Opera di Freud il verbo erraten ricorre diverse centinaia di volte (almeno 500, ha sostenuto Gribinski), a partire dal 1895 (lettera a Fliess del 25 maggio) fino al Compendio postumo del 1938. Sempre indica una particolare attitudine mentale “intuitiva” che precede o accompagna altre attività mentali scientificamente più rispettabili, dando loro “corpo”, diremmo ora. Ė difficile pensare che Freud, così attento all’immagine “scientifica” della psicoanalisi, l’abbia usato superficialmente, ignorando l’alone negativo che poteva trascinare con sé, considerato, invece, dai traduttori, visto che su più di 500 occorrenze, erraten è stato tradotto con “to guess” in un solo caso (nel capitolo finale degli Studi sull’ Isteria, dove Freud propone un “metodo speciale” per capire le connessioni tra i fenomeni isterici, che vanno “indovinate prima ancora di essere scoperte”). A parte questo caso (e un altro, nell’uomo dei lupi, dove sta però a indicare una attività mentale del bambino, non dell’analista) è sempre stato tradotto con termini come to explain, to detect, to understand, to discover, to infer, o to make out (questo è il caso di CnA, al quale la traduzione italiana si adegua, traducendo erraten con “scoprire”) che torcono dentro una logica scientista e di “obbiettività” un termine che dentro di sé mantiene non solo l’ indizio del “mistero che si annida nell’intima struttura dell’oggetto psichico”, come Freud scrive in Costruzioni, ma soprattutto un fondamentale aspetto del procedere analitico: quel congetturare a innesco quasi visivo (indovinare), intuitivo, pre-categoriale, talvolta giocoso, persino un po’ infantile, che nasce da dentro la relazione analitica, dal suo corpo, dalla recettività dell’inconscio dell’analista, dalla sua disponibilità a farsi, appunto, conjector degli scambi che lì avvengono, da una “pre-comprensione” che accoglie e decifra tracce ancora enigmatiche. La traduzione francese non ha invece esitato a tradurre erraten con déviner, malgrado l’alone ancor più imbarazzante del termine.
Eppure, più volte Freud aveva indicato come questo movimento “congetturale” fosse il motore della mente analitica. Nella lettera a Fliess del 25 maggio 1895 (prima occorrenza di erraten) descrive la propria ricerca mentale notturna sulle nevrosi, dalle 23 alle 2, come un continuo zu phantasieren, zu übersetzen und zu erraten che si interrompe solo davanti a qualche palese assurdità. Cito il passo in tedesco perché in esso compare un altro termine übersetzen (tradurre), che Freud usa per indicare il costituirsi stesso dell’esperienza psichica dal suo fondo magmatico, che, paradossalmente, spesso i traduttori non hanno “tradotto” (nel caso di questo specifico passo ad esempio Anna Massimello, traduttrice della raccolta completa del carteggio Freud/Fliess, traduce übersetzen con “Interpretare” invece che “tradurre”!). Si aprirebbe qui un altro discorso complesso: solo recentemente la tematica della traduzione, così presente e così importante in Freud e per molto tempo oscurata (anche a seguito delle scelte “traduttive”) ha ripreso vigore, sia attraverso influssi bioniani che laplanchiani.
Tornando a Erraten: il verbo ritorna in pressoché tutti i casi clinici, dove indica la molla delle “costruzioni”, ma anche in molti scritti teorici: Ricordare, ripetere…; Al di là del principio di piacere…fino al Compendio, scritto pochi mesi dopo CnA (e in questo caso bisogna render merito a R. Colorni che finalmente traduce erraten con indovinare, discostandosi dal “discover” della SE).
Per la rilevanza di ciò che erraten indica, basti il celebre passo “epistemologico” di Pulsioni e il loro destino, il passo su come si formano le ipotesi generali che consentono di dare un certo ordine al materiale empirico: “tutto lascia supporre che quelle idee non siano scelte ad arbitrio, ma … in base a relazioni significative col materiale empirico … che indoviniamo (erraten, in OSF arguire) prima ancora di aver potuto riconoscerle (erkennen) e dimostrarle (nachweisen, in OSF indicarle)”. Quel che conta è la sequenza: esiste dunque per Freud una intuizione congetturale, un indovinare (erraten) che precede (come indicano gli stessi prefissi dei verbi tedeschi), il riconoscere (erkennen) e il dimostrare (nachweisen). Questa di Freud, dunque, non è una idea estemporanea, da oscurare perché allontanerebbe la psicoanalisi dalla scienza. Non è certo questa la sede per discuterne, ma rivendicare la continuità del pensiero congetturale e abduttivo (Peirce), di cui l’indovinare è il motore, con la ragione scientifica è tutt’altro che una operazione irrazionalistica. Viceversa, separare ragione congetturale e ragione scientifica significa fare un cattivo servizio a entrambe. Il motore della psicoanalisi è fondamentalmente un pensiero congetturale che si sviluppa nel corpo della relazione analitica. Chi fosse interessato, troverà nella mia Prefazione i riferimenti principali della riflessione su questo sapere congetturale: Charles Peirce, innanzitutto (1928), che ha scritto pagine mirabili su questo “elemento sensuoso del pensiero”, vera molla in realtà di ogni idea nuova, radicato in una “faculty of guessing” frutto di una lunga sedimentazione evolutiva, di una implicazione pre-categoriale col mondo. Mezzo secolo dopo Peirce, Carlo Ginzburg ha scritto pagine altrettanto mirabili sul “paradigma indiziario” (entro il quale colloca il procedere psicoanalitico), attitudine congetturale sedimentata attraverso i millenni in un patrimonio sensoriale e in un “saperci fare” che diventa sapere dei corpi, abito, di vasai, cacciatori, marinai, donne…”dietro il quale si intravvede il gesto forse più antico della storia intellettuale del genere umano: quello del cacciatore accovacciato nel fango che scruta le tracce della preda e cerca di indovinarne le mosse”.
Collegandosi a questa immagine, Alberto Luchetti, scrive: “Con l’indovinare (erraten)… la psicoanalisi indica che se vi è ragione congetturale è perché una relazione ha potuto prendere corpo …dunque corpo congetturale incarnato – oltre il linguaggio e la semeiosi – attitudine alle cui remote radici ben oltre il cacciatore s’intravvede l’Infans, il corpo del cucciolo d’uomo, che…scruta alle bell’e meglio le tracce imperscrutabili dell’inconscio degli adulti, per farne qualcosa dentro di sé , costruirsi un mondo e un apparato dell’anima, facendo di sé quel corpo congetturale e autocongetturante che la psicoanalisi cerca di evocare e toccare, pensare, forse liberare”. Per rimanere alle “origini”, c’è l’altro versante dell’infans di Luchetti: la madre che in quell’infans indovina (congettura) scopi e finalità “inintelligibili con strumenti razionali” (Bordi); lo costruisce, così, come soggetto di intenzioni…
La questione della traduzione del verbo “erraten”, tutt’altro che marginale e puramente “filologica”, come si è visto, è peraltro una storia abbastanza antica: già Eissler in una lettera del 26 settembre 1962 (non pubblicata; la segnalazione è di Mark Solms) scrisse a Strachey che “erraten” non poteva essere tradotto (come fu fatto) con to discover, to expain, to make out…pena il distorcere il senso della parola tedesca. Eissler era certamente ben lontano dal teorizzare la particolare natura di quel sapere “congetturale” che genialmente si esprimeva nella parola “erraten“, ma aveva percepito evidentemente l’aspetto eccessivo di questa torsione “scientista” cui la traduzione tedesca del termine era stata sottoposta. Suggerisce infatti di utilizzare per “erraten” i verbi “guess”, “divine” e “conjecture”! Non fu ascoltato. Il tema fu poi ripreso con forza poi da Gribinski e, da noi, da Alberto Luchetti.
Dopo la mia presentazione della nostra edizione al Centro Milanese, la nostra segretaria scientifica scrisse a Solms, interpellandolo sulla questione. Solms rispose dicendo che aveva presente il problema, cui infatti faceva cenno a pagg. 65-66 del vol. 24 di RSE, ma dando di fatto “un colpo al cerchio e uno alla botte”: scrive infatti che in SE erraten è tradotto “by various English verbs”, alcune volte” con “to guess” (SE 2, 295/RSE 2,263) o “divine” (SE 17, 20/RSE 17, 18), “altre volte” invece con to explain, to make out, to discover…Non è così! Non si tratta di “various English verbs” più o meno casualmente distribuiti…Come ho indicato prima, tra centinaia di occorrenze, in tutto l’arco dell’opera di Freud (ripeto: dalle lettere a Fliess al Compendio!), in solo due contesti (passo degli Studi sull’ Isteria e passo de L’uomo dei lupi) è tradotto nel primo caso con to guess, nel secondo (due volte) con to divine; nel secondo, peraltro, quello de L’uomo dei lupi, erraten non si riferisce all’attività congetturale dell’analista, ma a quella del bambino; in tutte le altre centinaia di casi è, appunto, regolarmente distorto in “to discover”, “to explain” , “to make out” ecc. Dunque, difficile sostenere che c’è stata “pluralità di traduzioni”.
Vi sono infatti “due differenze insuperabili” tra i due tipi di lavoro:
Ma cosa poi può rassicurare che quel pezzetto di costruzione ci abbia più o meno azzeccato? Anche qui pagine mirabili. Sulle reazioni dirette del paziente, si può far poco conto: sia il “sì” che il “no” di per sé possono voler dire tante cose diverse e contraddittorie. Entrambe, nell’immediato, sono “polisenso” (vieldeutig). Vanno trattate con cura e rispettate, ma indagate per quello che sono, formazioni significanti da decifrare. Certamente più utili sono le conferme indirette, inaspettate, per flusso associativo, che indica che qualcosa è stato toccato: ricordi tangenziali, associazioni, risposte paradossali, lapsus convalidanti (il repertorio riporta ai passi più godibili della Psicopatologia della vita quotidiana); se la costruzione è falsa, il paziente la ignora, niente infatti è entrato in risonanza; se è vera (o almeno si avvicina), produce soccussioni non sempre positive…
Il lettore di Freud, tuttavia, avverte che sta montando qualcosa.
Intanto, è in corso, un mutamento d’accento su questioni radicali.
– Il tema dell’incompletezza. Ogni costruzione è piccolissima cosa rispetto alla complessità di ciò che è avvenuto e di come esso si è iscritto e ri-iscritto nel mondo interno… Basti pensare a come non molti anni prima (1922, Osservazioni e pratica dell’interpretazione dei sogni, OSF, 9, 427-8) Freud avesse sostenuto come l’incompletezza dell’interpretazione fosse un elemento cui si appoggiava la rimozione, da superare nel compito ricostruttivo. L’incompletezza ora non solo è da tollerare, ma diventa l’orizzonte inevitabile dell’analisi (come della vita…vengono i brividi pensando che Freud, scriveva queste cose al limite della sua vita). Anzi, l’unico significato indiscutibile del “no” di un paziente a una nostra costruzione riguarda proprio la sua incompletezza. L’incompiutezza, da limite, diventa carattere strutturante del tentativo di muoversi dentro la vita psichica e verso la sua verità.
– Il tema del rapporto verità/falso nella vita psichica e nell’analisi. Quell’analista archeologo, proteso verso la ricostruzione della “traccia psichica”, si scopre perduto in un percorso di infinite deformazioni, dietro le quali appaiono altre deformazioni: ogni elemento che sembra disvelato rimanda a un non ancora disvelato, ogni iscrizione psichica avviene a spese di un fondo di “non iscritto” e ogni successiva re-iscrizione lascia ai suoi margini nuovi resti. Ben che ci vada, al posto della verità dobbiamo accontentarci della verosimiglianza. Per il resto, dice Freud, si ha talvolta l’impressione, citando Polonio (in Amleto) “di aver preso una carpa di verità con un’esca di menzogna”. E, forse, ciò è spesso “quanto di meglio possa accaderci”.
Il tema aveva occupato Freud fin dall’ inizio, dal proton Pseudos degli Studi sull’isteria, attraverso i ricordi di copertura (ma non lo sono un po’ tutti…?) via via fino ora alla “carpa di verità attraverso l’esca di menzogna”. Si è parlato di concezione “spinoziana” della verità (come il “non ancora disvelato”), ma a Freud non interessava la questione “filosofica”, ma mostrare il groviglio di forze che insieme cerca e si oppone a quel disvelamento e in cui l’analista è immerso.
Ecco allora la svolta! Anzi, le due svolte, all’inizio del terzo capitoletto. Prima svolta: la fondatezza del lavoro analitico non poggia dunque sulla sua capacità di far riemergere ricordi (sulla corrispondenza con la realtà della storia del paziente) ma sulla capacità relazionale di produrre senso (pur non abbandonando mai del tutto quell’ancoraggio veritativo). Seconda svolta. Malgrado lo smarrimento di questo appoggio sicuro, se l’analisi è condotta correttamente (vedremo cosa significa) il paziente arriva a una sicura convinzione della verità della costruzione (ein Gefühl subjecktiver Überzeugung) che, dal punto di vista terapeutico, “ha la stessa efficacia di ricordi recuperati”, anche se corrisponde a un altro ordine di verità, quella dell’esperienza psichica, con rapporti indecidibili con l’ipotetica verità storico-materiale. Tale convinzione soggettiva è un sostituto (ein Ersatz) del vero ricordo. Con una strana secchezza, Freud commenta: “come sia possibile che una tale sostituzione, all’apparenza incompleta, possa produrre lo stesso un pieno effetto, sarà materia di successive indagini”.
“Sostituzione non da poco” e assai scivolosa, commenta Levine, che risolleva gli spettri della suggestione e del controtransfert. Se si considerano tutti gli sforzi delle pagine precedenti per dare una immagine dell’analisi come monda da suggestioni (questo voleva dire “condotto correttamente”), anche per Freud deve essere stato così. L’intero impianto di Costruzioni, dall’ incipit (il critico misterioso), fino, ora, a questo “secco” riferimento alle “successive indagini,” rivela quanto problematico sia stato per Freud questo passaggio.
Altre volte Freud era arrivato sulla soglia di questa svolta. Sempre in Osservazioni sulla teoria e pratica dell’interpretazione dei sogni (1922) aveva proposto l’immagine del puzzle: ogni tassello della costruzione di senso nella relazione analitica non era “vero” di per sé, ma se apriva ad altri incastri. Anche lì aveva scritto “spesso il ricordo è irraggiungibile e viene sostituito da una convinzione soggettiva”. Ma a quel tempo quella era una limitazione da evitare. Ora Freud compie un altro passo: da quel puzzle non si esce proprio e il valore della costruzione si sposta da quella adequatio rei et intellectus che era la coincidenza con la realtà storica del rimosso alla capacità di produrre senso.
Parte importante della psicoanalisi successiva si muoverà nel solco di questa “sostituzione”. Ciò che verrà costruito sarà sempre meno il passato storico e sempre più “una costruzione a due realizzata con i materiali presenti nelle menti dei protagonisti, quale che sia la loro provenienza, nella situazione analitica e non altrove e in un altro tempo” (Di Chiara).
Tuttavia, come chiaramente risulterà dalle folgoranti pagini finali, in Freud la sostituzione non è piena: l’aspetto referenziale “extra testuale” non è mai abbandonato del tutto e il compito ricostruttivo, pur indebolito, continuerà a orientare l’indagine. Quel compito procede in un labirinto interminabile di distorsioni, da formazione significante a formazione significante, ma Freud continuerà a pensare che in fondo a quel labirinto ci sia un “nucleo di verità”, e che le narrazioni dell’esperienze umane che faticosamente lì si dispiegano, tra decostruzioni e costruzioni, non siano solo fiction, ma anche riflesso di qualcosa di extra-testuale (corpo, storia, pulsioni…) che, pur irraggiungibile, orienta la ricerca. Del resto, anche la “sicura convinzione” può esser tale non perché è una felice invenzione, ma perché qualcosa dentro il paziente è stato davvero toccato, raccolto; qualcosa mette in risonanza le “storie non dette” (Ricoeur).
A partire da quella sostituzione, la psicoanalisi successiva aprirà diverse prospettive, soprattutto quando dovrà confrontarsi con la dimensione a cui ora Freud si affaccia: un inconscio diverso da quello delle tracce rammemorabili; e un ulteriore cambiamento nel concetto di costruzione si renderà necessario.
Eccoci, dunque, alle vertiginose pagine finali di CnA.
Anche qui si parte dalla clinica. In risposta a alcune “costruzioni” appaiono singolari ricordi, “ultra-netti” (überdeutlich), perché risaltano vivaci e nitidi da uno sfondo enigmatico. Freud era sempre stato incuriosito da questi fenomeni. Ne aveva già parlato (Il meccanismo psichico della dimenticanza 1898, OSF 2, 424) interpretandoli come compromesso tra spinta del rimosso a riemergere e forze rimuoventi che facevano passare solo frammenti vividi, ma privi di nessi. Inizialmente anche ora li intende così. Ma poi si accorge che in questi fenomeni, che hanno peraltro una illustre storia in psicopatologia (Racamier li aveva chiamati “ricordi illuminati”, perché risaltavano con luminosa evidenza da uno sfondo di mancanza di senso. A. de Waelhens, il grande fenomenologo di Lovanio, studioso anche di psicoanalisi, “fotografie di un reale pietrificato”, una sorta di “grado 0” della memoria che precede il tessuto connettivo del ricordare. Jaspers li aveva descritti come “risorgenze ecmesiche” dall’intensità quasi allucinatoria che saltano l’elaborazione psichica del ricordo); non è il rimosso in questione.
Come è noto, flash simili compaiono tipicamente nelle esperienze post-traumatiche, come resti di un’esperienza eccedente le capacità di legame dell’apparato psichico.
Proprio in questo senso Freud se ne era occupato in Al di là del principio di piacere, descrivendo l’evidenza “ultra-netta” e l’incoercibilità dei “sogni traumatici”. Proprio la riflessione su questi fenomeni aveva contribuito a un cambiamento nella teoria del sogno. Essi testimoniavano di una funzione basale del sogno, al di là di principio di piacere, del rimosso e desiderio ivi racchiuso: quella del legame, del tentativo di “trasformare in qualcosa che può essere ricordato e psichicamente elaborato” (OSF, 9, 203) una materia ancora non legata, che spinge per entrare nella rappresentabilità.
Primo Levi descrisse il continuo riemergere dalla sua prigionia (trauma estremo) di: “una memoria acustica e visiva che non so spiegare…incisa nella mente come su un nastro magnetico…frasi di lingue mai conosciute…ma più vivide e dettagliate rispetto a qualsiasi altra cosa accadutami…”
Freud intuisce qui che anche queste immagini allucinosiche che cortocircuitano il lavoro della memoria hanno a che fare, come i sogni traumatici, con una dimensione “non rimossa” dell’inconscio, alla ricerca di legami mai istituiti. Sono intuizioni di straordinaria modernità. Parte della psicoanalisi contemporanea ha ripensato in questo modo questi fenomeni. Solo alcuni accenni: i Botella 60 anni dopo hanno ripreso il tema della “via regrediente” della figurabilità attraverso cui possono farsi strada aspetti pre-rappresentativi, mai legati a rappresentazioni di parola. O il tema della “trasformazione in allucinosi”, in Bion e nella psicoanalisi post-bioniana.
Torniamo a CnA. Nella prodigiosa mente di Freud, 82nne e malato, si accende a questo punto una fantasia visionaria, un “crescendo” impressionante che ricorda il febbrile notturno erraten, phantasieren und übersetzen della lettera a Fliess del 1895. In poche righe Freud passa dall’intuizione che quelle immagini allucinosiche siano ri-emersioni di qualcosa avvenuto “in uno spazio e tempo prima del linguaggio” (e che proprio da ciò traggono la loro “iper-evidenza”), all’idea che la stessa cosa valga per le costruzioni deliranti, pure alimentate, nella loro forza indomabile , dal nucleo di realtà rinnegato (Verleugnung!) che giace sul loro fondo… poi all’idea che le stesse costruzioni dell’analista in fondo abbiano lo stesso statuto di “sostituzione” di una realtà irraggiungibile (ma che proprio da essa, quando la mettono in risonanza, traggano la loro forza di convincimento)…infine, che anche le formazioni deliranti collettive (le religioni) traggano il loro “straordinario potere di convincimento”, malgrado la loro irragionevolezza, dal nocciolo di verità sul loro fondo, rimosso da epoche dimenticate …
La conclusione di Costruzioni si ricongiunge qui direttamente al Mosè, che Freud, pubblicherà da lì a poco in esilio. C’è, a questo proposito, un aneddoto che la dice lunga su come Freud non volesse/potesse rinunciare all’idea che alla fine del labirinto di costruzioni si annidasse un nucleo di verità storica. Nel giugno del 1938, mentre stava per pubblicare il 3° saggio del Mosè, arrivò in visita un celebre studioso di storia ebraica, Yahuda, che lo scongiurò di non pubblicare, in quei tempi di persecuzione, un saggio in cui sosteneva che gli ebrei erano responsabili, tra le altre cose, anche dell’assassinio di Mosè. Per rinforzare la sua richiesta, Yahuda fece presente a Freud che lo studioso alle cui tesi Freud si era appoggiato (Ernst Sellin) da tempo aveva ammesso di essersi sbagliato. Freud, che pure aveva affermato che senza le scoperte di Sellin mai avrebbe scritto il Mosè, ci pensò un poco e poi disse: “eppure qualcosa di vero deve esserci…”.
In quale ambito di verità?
Sembra ritornare, dopo 40 anni, la questione della lettera del 21 settembre 1897, quella della polarità tra fattuale e fantasmatico. Polarità di cui buona parte della psicoanalisi contemporanea ha dichiarato l’inattualità. Certo, come ha scritto Petrella, “dalla seconda metà del secolo passato la psicoanalisi ha posto l’accento soprattutto sugli aspetti interattivi, intersoggettivi ed esplorativi dell’analisi. La costruzione psicoanalitica ha perso tendenzialmente quel valore storico-retrospettivo che Freud le aveva assegnato…diventa invenzione, confondendosi con la costruzione del Sé e con le trasformazioni rese possibili dal processo psicoanalitico”. Ma siamo sicuri che, con questo, la questione che ha tormentato Freud in CnA (quella del referente extra-testuale delle narrazioni che si sviluppano in analisi) sia del tutto cancellata? Certo, quel referente è a dir poco sfuggente; e verso la questione stessa dobbiamo esercitare epochè o “capacità negativa”, almeno mentre lavoriamo. Tuttavia, da lì passa la differenza tra ciò che costruiamo in analisi con i nostri pazienti e pure “invenzioni” di fantasia. Le sfumature sono estese. Tra le molte, mi piace di ricordare, a conclusione, quella di Eric Brenman. Brenman accostava la “costruzione” all’ idea bioniana di un “remembering” come riapertura di una storicità “cristallizzata” nelle memorie e negli schemi sedimentati nei mondi interni (di paziente e analista). Questa riapertura richiede di sospendere (tra gli altri “cristalli di memoria”) anche quella nozione di verità cui Freud tenacemente cercava di ancorare, nello “storico-fattuale”, le sue costruzioni. Ma, diceva Brenman, sospensione non significa cancellazione. Del resto, è stato notato (H. Blum), persino negli analisti che dichiarano di farne a meno, ne sostengono l’inattualità, o addirittura affermano che ostacoli l’“unisono”, la polarità ricostruttiva continua a lavorare silenziosamente sullo sfondo della relazione, come asse orientativo implicito (che ci fa sentire che ci riferiamo proprio a “quel” paziente, con “quella” storia, “quelle” vicende…). E soprattutto come esperienza potenziale, anche se indiretta, del lavoro analitico, che alimenta un sentimento vitale di legame, di continuità. Ciò che per il paziente più conta, diceva Brenman, è soprattutto l’esperienza di qualcuno in grado di accompagnarlo, con pazienza e amore di verità, in questa esplorazione; decostruendo-ricostruendo ciò che un tempo già era stato costruito (la storia con la S maiuscola, con cui il paziente si presenta all’inizio), individuando nuovi percorsi anche attraverso aree di impensabilità. “L’analisi – scrive – non fornisce risposte alle domande storiche, ma la fiducia di poterle esplorare”. Certo, meglio che vada, si raggiungono solo altre storie. Non viene certo ricostruito il “passato autentico” e neppure cancellato ciò che è stato; ma viene allentato il legame tra il passato dominante e il presente; e nella storia cominciano a essere intravviste, in filigrana, altre microstorie, che pure erano state, anche se più debolmente. Mondo di esperienze interrotte, impigliate nella coazione a ripetere. Futuro dimenticato presso di noi.
Bibliografia
[N.d.c. La bibliografia del testo è stata redatta a posteriori dai curatori con inevitabili incompletezze e imprecisioni di cui ci scusiamo.]
Barale F. (2024). Saggio introduttivo a “Costruzioni nell’analisi”. Milano, Jaka Book
Botella S. e C. (2001) La raffigurabilità psichica. Borla, Roma 2004.
Bourguignon A., Cotet P., Laplanche J., Robert F. (1989). Traduire Freud. Paris, PUF.
Brenman E. (1980). The value of Reconstruction in Adult Psychoanalysis. Int. J. Psychoanal., 61, pp. 53-60.
Di Chiara G. (1982). Sulle finalità della psicoanalisi: il significato delle costruzioni
nell’analisi. In Di Chiara G. Itinerari della psicoanalisi. Torino, Loescher, 1982. Riedito in Di Chiara G. Il dono dell’altro. Verso il narratore psicoanalitico. Scritti 1975-2024. Milano, Jaka Book, 2024.
Freud S. (1892-95). Studi sull’isteria. O.S.F. 1.
Freud S. (1898). Meccanismo psichico della dimenticanza. O.S.F. 2.
Freud S. (1915). Pulsioni e loro destini. O.S.F. 8.
Freud S. (1920). Al di là del principio di piacere. O.S.F. 9.
Freud S. (1922). Osservazioni sulla teoria e pratica dell’interpretazione dei sogni. O.S.F. 9.
Freud S. (1937a). Analisi terminabile e interminabile. O.S.F. 12.
Freud S. (1937b). Costruzioni nell’ analisi. O.S.F. 11.
Freud S. (1937). Costruzioni nell’analisi. A cura di Francesco Barale, traduzione di
Francesco Barale e Ingrid Hennemann Barale, Milano, Jaka Book (2024).
Freud, S. Epistolari. Lettere a Wilhem Fliess 1887-1904. Bollati-Boringhieri, Torino 1990.
Ginzburg C. (1979). Spie. Radici di un paradigma indiziario. In Gargani A. (a cura di) Crisi della ragione. Nuovi modelli nel rapporto tra sapere e attività umane. Einaudi, Torino.
Gribinski M. (1994). The stranger in the house. Int. J. Psychoanal., 75, pp.1011- 1021.
Gribinski M. (2004). Indovinare pressappoco. Riv. Psicoanal., 50,53-73.
Jones E. (1953). Vita e opere di Sigmund Freud. Il Saggiatore, Milano 1962.
Lewkowicz S. e al. (2011) On Freud’s “Constructions in analysys” Contemporary Freud, London Routledge.
Luchetti A. (2018). Interpretare, costruire, indovinare: il corpo congetturale. Psiche, 2, pp. 475-508.
Luchetti A. (2002). “Fantasticare, tradurre, indovinare”. Su evoluzione e rivoluzione della metapsicologia. Riv. Psicoanal, 48, pp. 41-68
Musatti C. (1996). Introduzione O.S.F. Volume 11. Bollati-Boringhieri, Torino.
Petrella F. (2008). Storia e psicoanalisi: un problema di metodo. Costruzione, invenzione, memoria e verità nel lavoro clinico. Riv. Psicoanal. 54, pp.755-762.
Pierce C. S. (1929). Opere. Bompiani, Milano 2003.
Racamier P.C. (1984). A propose d’adolescence et psychose. Adolescence, 2,1, p.23
Waelhens (de) A. (1972). La psicosi. Astrolabio, Roma 1976.
Yahuda A.S. (1939). Sigmund Freud on Moses and his Torah in Hebrew and Arab. A.S. Yahuda ed., Shulsinger, New York 1946.
*Per citare questo articolo:
Francesco Barale (2025), Una nuova traduzione. “Costruzioni nell’analisi” dà ancora da pensare. Rivista KnotGarden 2025/3, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 39-64.
Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.
Condividi questa pagina:
Centro Veneto di Psicoanalisi
Vicolo dei Conti 14
35122 Padova
Tel. 049 659711
P.I. 03323130280