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Il segreto, il perturbante, l’ascolto … un sacco pieno di buchi

di Maria Stanzione Modàfferi

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“Sento gli avversi numi, e le secrete

cure che al viver tuo furon tempesta “

                                                                 (U. Foscolo)

 

 

Unheimlich, dice Schelling, certamente è tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto, nascosto, e che invece è affiorato”.

Così Freud ne “Il perturbante” (1919, pag. 86).

Unheimlich, e la sua “variante contraria” heimlich, altro non è che lo svelamento del rimosso e dunque del segreto. Ma il segreto è trauma, rottura o mancanza di senso e l’esperienza del perturbante ci riporta ai tentativi dell’Io di creare compromessi per tollerare l’angoscia che invade i suoi confini, impregnati di enigmi, e ristabilire così l’equilibrio narcisistico. Il “baluardo contro la scomparsa dell’Io” rappresentato dal sosia, l’inquietudine del doppio, il Gemello immaginario e la personificazione di emozioni segrete (Bion) esprimono, tutti, il tentativo di rappresentare aspetti scissi non ancora simbolo o mai significabili, ciò che era o sempre sarà segreto.

Vediamo, allora, come il segreto ci conduca, in corsia preferenziale, a ciò che è sottratto alla coscienza e dunque all’inconscio.

Questo gioiellino letterario fu scritto prima della svolta del ’20, tra il primo e l’ultimo Freud, quasi una segreta anticipazione rivelatrice dello stato d’animo per quanto si accingeva a introdurre con la nuova teoria delle pulsioni, qualcosa che gli era sempre stato familiare e ovvio ma che gli apparirà nuovo e sorprendente. Il saggio ci mostra come il segreto, contenga una valenza letteraria e psicoanalitica, potente e doppia. Pensiamo a come i temi di verità, finzione, inganno, mistero, realtà, sogno, tutti in relazione di contrappunto con il segreto, godano i vantaggi di una doppia cittadinanza e a come, in definitiva, sia la psicoanalisi che la letteratura scandaglino la profondità dell’umano per riportarla in superficie attraverso la parola, il linguaggio scritto o parlato perché non resti muta e senza vita nei luoghi misteriosi del sonno e dell’invisibile.

Se il mistero, l’enigma riguardano gli abissi sconosciuti della nostra psiche, il segreto riguarda la loro conoscenza.

Freud ha evidenziato come esso sia interno, interdetto, inconscio, inseparabilmente intrecciato alla radice problematica del desiderio e come l’inconscio e il desiderio si manifestino attraverso vie oblique, indirette e misteriose atte a velare e svelare verità nascoste – con i correlati di vergogna, patologia o follia che la rivelazione o il rinnegamento comportano – sulla vita, sulla morte e sull’atto sessuale che le “secerne” entrambe (segreto da se-cernere).

In definitiva il segreto per antonomasia nasconde e illumina un’unica scena, quella degli amanti, per sempre invisibile e lontana, troppo e mai abbastanza raccolta dall’occhio e dall’orecchio che ne conservano altresì i frammenti, gli indizi, ne creano l’esistenza e la negano. Il segreto svela e occulta all’infinito sempre la stessa scena, mantenendola in vita e rendendo incompiuto il compito della comprensione, mentre la domanda, mai sazia di risposta, resta beante sul tempo infinito della conoscenza. Il segreto è il carburante della scienza e spiana così la via al lavoro del sogno, dell’allucinazione e del delirio.

E allora la “domanda” del bambino sempre nasconde un questionario lungo e misterioso sul mondo, sulla realtà e su di sé, ben più esteso del segreto che non sa, che non sa di sapere o che mantiene perché non trapeli.

Tuttavia è proprio nell’impensabilità del segreto che il bambino non conosce, nella tossicità potenzialmente esplosiva di mantenerlo in un ripostiglio della mente o nella traumaticità della sua rivelazione che aleggia l’esperienza del perturbante facendo di questi luoghi il suo habitat naturale. È qui che esso si muove, lungo una sottile linea di confine, sempre prossima alla rottura e alla perdita del senso noto e familiare delle cose del mondo, giacché consiste proprio “in quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare” (ibid. pag. 82).

Il perturbante, analogamente al segreto, è infatti impregnato di quel sentimento di “incertezza intellettuale” ed è “propriamente sempre qualcosa in cui per così dire non ci si raccapezza” (Ibid. pag. 83).

Entrambi devono la loro potenzialità euristica a quel movimento esplorativo della realtà che continuamente costruisce e decostruisce il margine tra il già noto e l’abisso della conoscenza, un luogo che definirei “spazio mentale del sapere”, irraggiungibile, in continua espansione e dentro il quale non si può che essere soli come nel sonno, nel sogno e nella morte. 

Ma così come il bambino costruisce in solitudine la propria identità scoprendo il mondo nell’esplorazione segreta delle proprie emozioni, con un movimento continuo di alterazione e di perdita, anche – e forse ancor più – il perturbante e il segreto attraggono l’adolescente che di essi si serve per mettere in scena le angosce del dramma identitario che, tra cambiamento e nostalgia, sta vivendo.

Userei qui le parole di Sandor Marai nel romanzo Le braci (1998), anche estrapolandole dal contesto in cui sono poste, per descrivere l’esperienza emozionale e perturbante del cambiamento corporeo in adolescenza, talvolta vissuta in solitudine tra vergogna e inadeguatezza, ma che spesso precede l’esplorazione e la conoscenza del proprio sviluppo emotivo e sessuale: … “come se il corpo fosse a conoscenza di qualche segreto. Come se nascondesse qualcosa, nelle ossa, nel sangue, nella carne, il mistero del tempo e della vita, qualcosa che non si può comunicare agli altri e non si può tradurre in una lingua diversa: un segreto che le parole non sono in grado di sostenere” (pag. 16).

Il corpo che spesso, sin da subito e poi nelle sue trasformazioni (crescita, adolescenza, malattie, invecchiamento), si pone come un “altro” inquietante, all’interno di una drammatica relazione con sé stessi, incarna il muto svelamento dell’indicibile ma può farsi esso stesso ponte per scoprire il prossimo nella sua alterità. Il corpo comunica nel luogo del silenzio e, spesso, la condivisione di segreti che lo riguardano ammette la fuoriuscita da sé e il raggiungimento dell’altro. Pensiamo al dialogo degli amanti durante il rapporto sessuale che ne sbiadisce i confini velando e svelando l’amore e la morte, ai discorsi bisbigliati tra adolescenti sulla propria fisicità o sessualità, alle comunicazioni al medico nel segreto di una stanza e a come questo parlare del corpo, erotico, timido, vergognoso, talvolta a tinte ipocondriache possa essere una potenza motrice foriera di un dialogo più complesso che potrà consentire l’oltrepassamento dei limiti comunicativi e afasici del corpo proprio e dell’altro attraverso il linguaggio.

Corpo, piacere, dispiacere, dolore, domanda d’aiuto, può ora partire “un grido” verso l’altro che caratterizzerà l’esistenza stessa del soggetto.

Ora non ci vuole più molto perché il silenzio e il dolore, muto e asciutto, inventino il linguaggio: il grido, oltre che fare da scarica, può stabilire un ponte tra ciò che rimarrebbe oscuro, inconscio e la risonanza nell’altro. Il soggetto, attraverso la propria “domanda”, vedrà così rivelarsi, nel discorso dell’altro, i processi segreti del proprio stesso inconscio.
Eccoci allora giunti, tra linguaggio, segreti e amore, nella stanza d’analisi. La rivelazione del segreto, tra parole “per dirlo” e parole “per non dirlo”, prende forma nell’intimità di una relazione tra “amanti sui generis” che velano e svelano, tenendola in vita, un’unica scena, preclusa e invisibile.

Qui si dicono cose diverse da quelle che si nascondono, un eccesso di segreto può svelare l’impenetrabile, le parole giocano a nascondino tra verità e finzione, tra visibile e udibile e, forse, il segreto in sé non verrà mai intaccato, al più preservato, anche con la menzogna, custodito e trasmesso e con esso la conoscenza e la vita … “perché il segreto possiede una forza singolare. Una forza che brucia il tessuto della vita come una radiazione maligna, ma al tempo stesso dà calore alla vita e la mantiene in tensione. Ti costringe a vivere …” (Márai, pag. 88).

Nella stanza d’analisi parla chi non dovrebbe, l’inconscio, vero agente segreto dello spionaggio analitico e del segreto per eccellenza, la scena occultata, di cui tutti noi costituiamo le tracce visibili, denunciandone la ricchezza e la forza.

Come “allora” il bambino cerca e scruta indizi di verità, così “ora” paziente e analista inseguono, sfiorandolo, il segreto disseminato tra indizi, scarti e frammenti, unici, veri strumenti, all’ombra di accecanti evidenze, ancorché assenti di chiara codifica, analogamente al sogno, privilegiata via di accesso all’inconscio. Al pari di questo, il segreto, una volta manifesto o rivelato attraverso il linguaggio, non smette di secernere altri enigmi e misteri che rendono l’analisi infinita, come la conoscenza e la vita. Il linguaggio non svela il segreto, semmai lo traduce, lo dirotta in un’altra lingua, forse tradendolo, in un incessante divenire che mai ci sazia e ci lascia sospesi in una difficile distinzione tra vero e falso, desideranti di verità (aletheia, svelamento).

Il segreto è in perenne attesa di essere svelato, decifrato, disseminato, trasmesso, raccontato, raccolto, ascoltato, dunque esiste perché esiste l’altro in ascolto e muore sempre un poco se viene detto. Precede la relazione ma la presuppone. Più si svela e più si nasconde così esprimendo la sua inesauribilità e l’impotenza dell’altro. Esso, frainteso, deformato, esibisce il limite del linguaggio, perché la sua natura è di essere muto, è il vero alleato del silenzio, contrapposto alla vita sociale. È un “impossibile a dirsi” e vive anche della menzogna perché il nucleo più profondo della relazione e del legame d’amore si oppone al linguaggio, vi rinuncia, sacrifica la parola. L’amore chiede “di tagliare l’erba sotto i piedi del linguaggio” afferma Pascal Quignard in La vita segreta. Tuttavia ciò che permette la fuoriuscita da sé, l’oltrepassamento del proprio limite per raggiungere l’altro consiste proprio nel tentativo di condivisione del silenzio e del segreto anche mostrando l’impotenza dell’ascolto e il dramma della relazione con l’altro.

La pratica dell’ascolto analitico non è facile né scontata, occorrerebbe un termine che implichi l’ascolto delle parole sottintese, non pronunciate, le esitazioni, i silenzi, le pause, che offra una dimora al discorso profondo, anche muto dell’altro, compresa la sua radice più essenziale e vera.

Ascoltare vuol dire anche riconoscersi in chi chiede di essere ascoltato.

Anni fa Andrea Camilleri distribuì alcune copie di un delizioso testo rimasto inedito. Narrava di un rapporto tra due sacerdoti, uno giovane ed uno anziano, e un chirurgo che custodiva un segreto scandaloso. Vi si narrava dell’ascolto in confessione, delle difficoltà di un ascolto autentico, e l’anziano sacerdote mostrava al giovane come nell’incontro con l’altro, talvolta, occorra mettersi alla pari e cercare di non indossare una asimmetrica divisa d’orgoglio ma “mettersi addosso un sacco pieno di buchi”.

A tale felice espressione che rende il tentativo di afferrare l’altro nel suo segreto affiancherei quella di Elvio Fachinelli che parla di come talvolta, tra paziente ed analista si stabilisca un’area di co-identità che implica, in una situazione di parità, una continuità pre-verbale che ricorda il soggiorno intrauterino tra madre e bambino. Il feto-bambino stabilisce con la madre una comunicazione, muta e telepatica, di cui è parte integrante un elemento di segreto-mistero. Ad esso “accadono cose che egli non è in grado di comprendere, che lo permeano, diventano lui. All’altro polo, la madre nota il passaggio di cose sue al bambino, ma questo passaggio rimane per lei un mistero” (1983, pag. 179), un segreto.

           

 

 

 

Il segreto

 

Trasporta

lucente il vento

denuda

dei chiodi eterni

l’eco

e profondi.

Penombre di pioppi

ne svelano il secreto

da morte

rinasce e dorme

in muto luogo in me nascosto

di silenzio amante.

Sonda d’eterno

freccia di suono e luna

dal mare all’aria

            tregua a ponente!

            a oriente asilo!

Lo rivela tra i rintocchi

lo confessa

lo rompe

nel vero lo seppellisce

vivo lo riporta

il sesso.

Scorie

sulla ragazza il velo

accoglie

mute di desiderio

e sputo.

Lo scrive nei solchi

il sogno

lo mastica

falso

lo disperde

giallo

il secreto del mondo

lama nei fianchi.

                               (Mavi Stanzione)

 

 

Bibliografia

Fachinelli E. (1983). Claustrofilia. Milano, Adelphi Edizioni.

Freud S. (1895). Progetto di una psicologia. OSF Vol. 2. Torino, Boringhieri.

Freud S. (1919). Il perturbante. OSF Vol. 9. Torino, Boringhieri.

Márai S. (1998). Le braci. Milano, Adelphi Edizioni.

Quignard P. (1998). La vita segreta. Milano, Frassinelli.

 

Maria Stanzione Modàfferi, Napoli

Centro Napoletano di Psicoanalisi

stnmra@gmail.com

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