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Dall’Hindu Kush alle Alpi.
Viaggio di un giovane afghano verso la libertà.

Recensione di Patrizia Montagner

Dall’Hindu Kush alle Alpi. Viaggio di un giovane afghano verso la libertà.

Fawad e Raufi

2018, Zel Edizioni  Treviso

pagg. 207 

Fawad e Raufi è nato a Kabul nel 1991, dove si è laureato e faceva l’insegnante.

Il 15 settembre 2015 ha lasciato la sua città, e come tanti altri profughi richiedenti asilo, ha percorso la Rotta Balcanica ed è infine arrivato, dopo circa un anno, in Friuli, dove ora vive.

In questo libro Fawad descrive il suo viaggio.

 Il racconto di un percorso così travagliato e sofferto e di tutti i dolori, le angosce, le tragedie e anche le scoperte che esso ha comportato sarebbero già un buon motivo per leggerlo.

Ma Fawad aggiunge qualcosa di più, di molto più toccante, che raggiunge il cuore del lettore e non si fa dimenticare; egli lo dice esplicitamente: ama leggere , ama la poesia , la filosofia, la storia , lo studio e la conoscenza, e ama scrivere, romanzi e poesie.

Questo racconto è una poesia, poiché Fawad riesce a guardare a tutto ciò che gli succede, sia dentro nella sua mente e nel suo cuore  che intorno a sé, con uno sguardo particolare, leggendo al di là del concreto delle cose, mettendoci i suoi pensieri e le sue emozioni. E le cose diventano oggetti poetici, che trascendono il loro senso immediato e alludono alla universalità della esperienza umana.

Così egli ci racconta com’era Kabul quando l’ha lasciata (ed allora era ancora sotto il controllo degli Americani): una città in cui “ i “kabuli”, gli abitanti (…) sono consapevoli di essere vivi, ma non vivono”, poiché “la vita è come un inferno, è una vita senza  speranza”: guerra, violenza, bombe, morte ovunque.  Egli scrive:”Ogni persona che vive a Kabul pensa solo di scappare, ad andarsene da quell’inferno, da quella non vita. Non può restare lì a vivere in quel mondo disumano, perché manca ogni speranza per il futuro” (p.9)

 La speranza è un sentimento vitale fondamentale. Non è la ricerca del benessere economico che lo spinge a  partire, poiché Fawed non proviene da un nucleo povero, ma è la possibilità di pensare al futuro come luogo psichico di vita, e aggiungerei, anche di sicurezza di vita.  La vita interiore, ci ricorda Fawed, conta in alcuni momenti più di quella concreta, senza di essa si può solo sopravvivere.

Fawad perciò decide di andarsene. Una decisione che, racconterà nel suo successivo libro, riesce a maturare soltanto  dopo la morte del padre. La famiglia lo aiuta, anche economicamente, pagando a caro prezzo un viaggio che i trafficanti promettono  sicuro e tranquillo, ma che sarà rischioso e traumatico.

dettaglio di copertina

Il libro è un lungo passaggio da una sofferenza ad un’altra, da una violenza ad un’altra. Questo giovane uomo attraversa esperienze  inimmaginabili, fame, freddo, dolore , ma soprattutto orrore per quello che esseri umani possono agire contro altri umani inermi. Ci colpisce l’evidenza del sadismo, gratuito e fonte di  piacere che poliziotti, guardie, autisti, gente comune,  agiscono su di lui.  Sadismo che Fawad non aveva mai riconosciuto prima, neanche nel suo paese in guerra, ma che qui non può evitare di riconoscere. Sadismo che il pensiero psicoanalitico ci ricorda essere presente in ciascuno di noi. Qui vediamo esempi di come possa essere attivato in un contesto di gruppo che consente di negare  (almeno all’apparenza) l’istanza superegoica, e di mettere da parte il codice morale  individuale capace di condannarlo e contenerlo (Freud 1921).

 

Colpisce anche come il denaro e il potere possano contare più della vita umana. Come può essere, si chiede l’autore, che esseri umani senza scrupoli, così tanti , approfittino del desiderio di chi vuole o deve andarsene, per guadagnare sulla vita di altri? Fawad è sconvolto da questo.

Ci possiamo chiedere come lui, abituato a morti, bombe, distruzione a Kabul, sia ora così sopraffatto da tanti orrori? Qui forse c’è qualcosa di più e di diverso, non vede solo l’effetto della violenza, ma può guardare in faccia chi la mette in atto. Ed è un essere con sembianze umane. E’ questo, credo, che lo sconvolge. E’ un fatto dell’Uomo.

Ed è altrettanto toccato dall’aiuto gratuito e generoso che gli viene da  altri esseri umani che non lo conoscono, per cui è solo un estraneo, ma che riconoscendo in lui l’umanità ,lo soccorrono, condividendo con lui il poco che hanno.

Per due volte viene rinchiuso in una prigione, la sofferenza è atroce, non solo per le condizioni fisiche disumane, ma perché per lui, musulmano osservante della legge e soprattutto portatore di un’etica personale solida,   è impensabile essere trattato come un delinquente.

Si trova  a fare più e più volte durante il viaggio  delle scelte che comprende cruciali, ma senza avere davvero le conoscenze sufficienti per sapere  che cosa incontrerà. Quando transita in Turchia, ad esempio, e lo spingono a salire sulla barca, per andare in Grecia, ma alla fine egli ascolta una voce dentro di sé, e sceglie di andare via terra, anche se la Rotta Balcanica sarà lunga e tormentata. Così quando di trova in Bulgaria, e deve scegliere dove rifugiarsi.

 Ci sono  incontri fuggevoli  e tuttavia  vitali con persone che a tratti incrociano il suo percorso. Succede che  aiutino lui, a volte solo con la presenza o un gesto, e nel contempo anche che lui aiuti loro.

Ci sono molti momenti in cui sono gli altri a decidere per lui, sembra  si trovi in balia di scelte estranee, eppure Fawad riesce  a mantenere una capacità di orientare almeno un poco la sua vita secondo i suoi desideri.

Dalla Slovenia lo trasportano , attraverso l’Austria , in Germania. Ma il nostro ha già deciso, sa che è l’Italia il luogo dove vuole andare. E ci riuscirà.

Alla fine sceglierà di vivere in Friuli, in un luogo dove la città è vicina alle montagne, e il loro profilo, e la neve che ne ricopre la cima d’inverno, gli ricorda la città dove è nato, la sua Kabul.

La sua disponibilità e le sue doti umane ed intellettive gli saranno di aiuto per inserirsi lentamente nel nuovo ambiente.

Così torna a studiare per imparare la lingua, a conoscere l’arte, la storia, la filosofia, le scienze. Trova una sistemazione e un senso alla sua nuova vita.

Fawad e Raufi a Venezia. Fonte: Twitter

Mi chiedo che cosa abbia consentito a questo giovane uomo di sopravvivere, di mantenere la rotta nonostante tutto ciò che ha visto e subito, e di riuscire a ritrovarsi.

Ciò che mi colpisce di Fawad è la sua capacità di rimanere in contatto con se stesso, credo proprio tramite la sua fede e il suo interesse per la vita e per la poesia e la cultura che sembrano rappresentare per lui il nucleo profondo del suo essere.

Così il suo percorso da Kabul a Pordenone diventa anche un percorso di crescita umana.

Sugli avvenimenti che gli accadono, anche nei momenti più tragici,  sembra riuscire a costruire un pensiero e lentamente anche un senso, talvolta non subito ma abbastanza presto da non perdersi.

Credo che questo legame con se stesso, con questo nucleo vitale e autentico da salvare (Amati Sas S.2020),  sia ciò che gli consente di attraversare il dolore, la delusione, l’angoscia, l’orrore, mantenendo vivo il desiderio.

Diremmo, leggendo la sua storia attraverso la lente del pensiero psicoanalitico, che questo ragazzo è riuscito a salvare dentro di sé i buoni oggetti vitali che il rapporto  con la sua famiglia e la sua storia precedente gli hanno consentito di costruire. Certamente devono essere stati abbastanza forti da aiutarlo a riprendersi dopo alcuni eventi traumatici (Garland C. 2001). 

 Un oggetto vitale  è stato  certamente l’amore per la scrittura e la cultura letteraria.  La spinta a condividere  questo racconto e comunicare i suoi pensieri ad altri ma, penso,  soprattutto il desiderio che non vengano perduti e che diventino una testimonianza, sembrano essere una motivazione importante a scrivere questo libro.

Così come il bisogno  di dare una immagine e di rappresentare i fatti per iniziare a dare loro un significato.

 La forza vitale che esprime nella scrittura sostiene il processo di dare forma  e quindi pensabilità agli eventi, e  costituisce  anche un potente mezzo di espressione di se stesso e della propria capacità creativa di guardare il mondo.

Alla fine trova  anche la forza di chiamare l’Italia, “Patria”, nella sua poesia.

(…..)

E’ una Patria accogliente.

Come una mamma che ha fatto del suo abbraccio

il paradiso per il suo bambino

e ha aumentato il battito del suo cuore

per riscaldare quello di una nuova vita,

 (…..)

 

 

Bibliografia

Amati Sas S. (2020). Ambiguità, conformismo, e adattamento alla  violenza sociale. Franco Angeli, Milano.

Freud S. (1921). Psicologia delle Masse e Analisi dell’Io. OSF. Vol. IX

Garland C. (a cura di) (1998). Comprendere il trauma. Un approccio psicoanalitico. Bruno Mondadori,  Milano 2001.

 

Patrizia Montagner, Portogruaro (Ve)

Centro Veneto di Psicoanalisi

Membro del SAPI South African Psychoanalytical Initiative

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