Il silenzio dell’Albero

"Tous les chemins de la psychanalyse mène à Freud"
Illustrazione di Jean Dobritz

Il 21 Novembre ricorre l’annuale Festa dell’Albero.

Un’occasione per dare voce ad una silenziosa presenza in mezzo a noi.

 Abbiamo testimonianze che i Romani , imitando peraltro alcuni aspetti di feste già in uso tra i Greci e i popoli orientali,  celebravano feste in onore degli alberi, oltre a consacrare boschi e alberi a divinità. Durante molti eventi  era consuetudine piantare un albero. Tutto ciò  per ricordare e consolidare l’importanza degli alberi per la vita quotidiana , che l’uomo ha sempre riconosciuto come parte fondamentale del suo ambiente di vita.

Arrivando ai giorni nostri, numerosi  furono i  governi e le associazioni che  sentirono la necessità di educare la popolazione al rispetto ed all’amore degli alberi e pensarono dedicare un giorno all’anno alla piantagione di alberi, per creare una coscienza ecologica nella popolazione e per accrescere, così, anche il patrimonio forestale .

 La Festa dell’Albero fu istituzionalizza  nel nostro paese già nel 1929.  Tuttavia fu nel nel 1959 che lo Stato Italiano istituì formalmente una Festa dell’Albero da celebrare il 21 Novembre.

Si tratta di un periodo dell’anno in cui solitamente, ad eccezione di zone molto  fredde del Nord Italia ( dove la festa è spostata al 21 Marzo) è opportuno piantare nuovi alberi.

Nell’articolo che segue Roberto Valerio, un grande esperto di alberi, ci racconta il momento in cui si è reso conto della presenza e dell’importanza di questi generosi esseri viventi . Una scoperta straordinaria, che ha comportato  per lui anche un nuovo senso ad una sua  attività lavorativa quotidiana.

 Questo momento davvero interessante , vivo e vitale, dà modo allo psicoanalista di osservare e riflettere su alcuni elementi che riguardano il rapporto dell’uomo con l’albero e più in generale con tutta la Natura  che lo circonda.

Rapporto articolato e complesso, che comprende aspetti intrapsichici, relazionali, estetici ed etici.

Winnicott (1965) ha più volte sottolineato come per il bambino la presenza dell’ambiente materno (non della figura madre-oggetto) passa inosservata, quando le sue cure sono sufficientemente buone, così succede per l’Uomo nei confronti dell’ambiente di Vita. Non ci accorgiamo di esso, funziona bene, ci dà acqua, nutrimento, una giusta temperatura, protezione, benessere. Tuttavia questo particolare stile della prima esperienza dell’individuo con ciò che sta fuori di sé ha senso nelle prime fasi della vita, poi l’importanza dell’oggetto (comunque presente) salta in primo piano.

L’ambiente tuttavia, dato non solo dalle persone, ma da tutto ciò che circonda, resta un elemento importante, e a tratti ritorna ad emergere dallo sfondo

La psicoanalisi si è occupata  della funzione dell’ambiente “non umano” nella crescita dell’individuo. Un lavoro fondamentale è quello di Searls che già nel 1960 osservava che l’adulto sano vive in uno stato di “colleganza” con l’ambiente non umano. Cioè di intima affinità , che non significa essere una cosa sola con esso ma essere in una relazione di riconoscimento e rispetto , un Io-Tu.  Searls sottolinea che questo senso di colleganza ha numerose funzioni: innanzitutto serve ad alleviare la solitudine esistenziale dell’uomo nell’universo. Esso, in special modo quando si accompagna ad un ruolo attivo in rapporto con l’ambiente non umano, favorisce l’autorealizzazione dell’individuo, in particolare ha una funzione nello sviluppo della creatività.  Il terzo effetto vantaggioso per l’individuo che vive il rapporto di colleganza consiste nella possibilità di  sperimentare in modo più ampio, con maggiore accuratezza, profondità e forza,  la propria esistenza  e l’esistenza del mondo a lui circostante come reali.  Una caratteristica prioritaria della realtà è costituita ad esempio dalla consapevolezza dell’esistenza del tempo, e il  conseguente  riconoscimento del  ritmo e del cambiamento come costituenti della vita.  La vicinanza di un albero ce lo mostra in modo meraviglioso. Infine è un mezzo che aiuta a raggiungere un più profondo riconoscimento e una più profonda accettazione dei propri simili, come  facenti parte di un unico ambiente condiviso.

Il tema dell’estetica nel rapporto con l’ambiente è approfondito da Chianese (2015), il quale la considera non un elemento accessorio dell’uomo, ma fondativo della sua nascita e del suo sviluppo.” Il mondo è fatto della medesima stoffa del nostro corpo” egli afferma, e più avanti “ gli esseri umani reali vivono, camminano, abitano città, nuotano nel mare e spesso anche senza saperlo consciamente traggono nutrimento psichico dal vivere, camminare, nuotare, perché la vita è fatta per vivere e non solo per pensare e lavorare (…). Il pensiero che si forma da incontri col reale porta il marchio della vita e ci restituisce il sapore del mondo” (p. 127) Fra i simboli fondamentali per la sopravvivenza della comunità  e dei singoli individui (arte, cultura, tradizioni)  Chianese afferma che bisogna aggiungere la Natura.

 Schinaia  (2015) ci fa presente che nel nostro rapporto con l’ambiente, e in particolare di fronte alla mancata consapevolezza della gravità della crisi ambientale che abbiamo  ormai tutti sotto gli occhi,   la psicoanalisi è una preziosa risorsa perché  ci consente di studiare i  meccanismi di difesa individuali e comunitari che sottendono l’attitudine alla negazione  e al diniego . Anche nel rapporto con l’ambiente si giocano elementi inconsci dei quali possiamo prendere coscienza e imparare a gestirli.

 L’albero è uno degli elementi portanti di questo ambiente , esso ne è forse  l’immagine e la rappresentazione più sentita e più viva..

La sua presenza è costante, dappertutto, in quasi tutte le realtà climatiche. La sua capacità straordinaria di adattarsi  e la grande “intelligenza” evolutiva dell’albero, lo hanno reso un essere vivente che ci accompagna nella nostra vita, straordinario e affascinante.

Tuttavia c’è un problema, un problema sempre più grave, ed è rappresentato dal fatto che il nostro ambiente umano viene sfruttato e distrutto, molto di più di quanto sia in grado di recuperare e di ricostruirsi. La scienza da decenni ha lanciato l’allarme e ha mostrato l’enorme rischio di autodistruzione che corriamo.

CI stiamo davvero comportando da infanti che  non si curano della madre-ambiente, perché questa, attiva e silenziosa, provvede a noi. Così viviamo  senza prenderci la responsabilità del  fatto che infanti non siamo più , l’umanità è cresciuta, sia nella sua capacità di pensiero , di riflessione, ma anche di abilità scientifiche e tecniche, e soprattutto è cresciuta notevolmente di numero.

 

Siamo ormai adulti sulla Terra e siamo tantissimi. Non è più possibile pensare ad una terra da sfruttare, ma è necessario che l’Uomo si occupi , si prenda cura della Terra, che trovi un modo per proteggere questo ambiente con cui è silenziosamente e incessantemente in relazione in ogni momento della sua vita.

Gli alberi contribuiscono moltissimo, lo sappiamo, a recuperare e ricostruire l’ambiente. Ci aiutano .

E’ possibile ascoltare il loro silenzio?  Riconoscerli non solo come parte invisibile dell’ambiente, ma come oggetti con cui  costruire  una relazione positiva di colleganza?

                                                          

Bibliografia

Chianese Come le pietre e gli alberi. Alpes 2015

Schinaia L’inconsio e l’ambiente. Psicoanalisi ed Ecologia Hoepli. It 2020

F.Searls (1960) L’ambiente non umano nello sviluppo normale e nella schizofrenia. Einaudi 2004

D.W.Winnicott. ( 1965) Sviluppo affettivo e ambiente. Armando Roma 1970

 

 

Patrizia Montagner, Portogruaro (Ve)

Centro Veneto di Psicoanalisi

Membro del SAPI South African Psychoanalytical Initiative

patmontagner28@gmail.com

di Roberto Davide Valerio

Agronomo. Presidente della Associazione AlberiAmo

Me ne stavo lì, nella posizione della montagna…

-” Ecco la schiena diritta, i piedi paralleli, leggermente distanziati, braccia lungo i fianchi… adesso ascoltate i vostri piedi, sentite la terra … “-.

 Eravamo ritti sul prato, una ventina, una sera di fine novembre: la terra fresca e profumata sotto i piedi nudi: prima lezione del corso di yoga, per l’occasione, all’aperto.

 A un tratto, per un attimo, ho perso la posizione e ho alzato la testa.  E lì, che li ho visti: due giganti!  Due sagome scure che quasi si mimetizzavano col buio oramai incipiente.  Silenziosi.

Avevano le braccia allargate ed erano così lunghe che si protendevano sopra le teste di tutto il gruppo.

Possenti, silenti, imperturbabili, attenti: due maestosi esemplari di cipresso calvo (taxodium disticum).

Le fronde, quelle più alte, parevano quasi non aver gravità, tanto erano leggere nella brezza serale, ma qualche palmo più i giù, quella linea nera disegnata contro lo scuro che avanzava, si faceva via, via più marcata, più spessa, più grossa e voluminosa, si faceva tronco: rotondo, rugoso, incavato, nevrile e muscoloso, possente quando arrivava al terreno e lì, iniziava il suo secondo essere: l’apparato radicale.

 Non “piedi “che flebilmente percepiscono la terra ma” arti” che vi sprofondano, piedi-radici che la esplorano, la vedono   l’assaggiano e … se ne nutrono.

 Tanti anni fa, quando finita l’università, mi proclamarono dottore in Scienze Agrarie, avevo le idee abbastanza confuse sul da farsi, su quale strada prendere.  Stalle e seminativi sembravano settori già troppo affollati e il giardinaggio pareva invece un ambito con delle potenzialità. Lo confesso, la valutazione era più economica che passionale. Questo, fino a quando non ho imparato a conoscerli o meglio fino quando non ho imparato a percepirne la presenza viva, parlo degli alberi.

 All’università ci avevano insegnato come è fatta una pianta, come sommariamente funziona, ma non ci avevano mai detto che gli alberi, in un bosco, spesso si sfiorano senza però toccarsi, quasi avessero gli occhi.

Di giardino in giardino, spesso da una semplice aiuola a un’altra, gli alberi hanno continuato a stupirmi. Talora erano solamente i loro semi, come le samare  degli aceri che frullando eleganti nell’aria cadevano lontano dalla pianta madre a disseminare la specie , o la “la lanuggine “dei semi del pioppo che fra i fili d’erba pareva nebbia condensata, o ancora la scorza della lagerstroemia, liscia da sembrare pelle, per non parlare di quella della sughera, così spessa, così speciale, da resistere al fuoco. 

 In primavera gli alberi vegetavano, se li tagliavi, piangevano. 

Ci sono alberi che svettavano altissimi a catturare la luce e altri che strisciavno per resistere al peso della neve; alberi rossi   e alberi dalle foglie pelose, alberi slanciati o tarchiati.  Con le foglie di sì tante fogge che la fantasia più audace non saprebbe aggiungerne una i più.

Tuttavia, la ri-scoperta che più mi ha segnato in questi anni è stata quasi una meditazione interiore, un finalmente comprendere un insegnamento che veniva ripetuto ad ogni passaggio della carriera scolastica: la fotosintesi clorofilliana.

Il concetto sembra banale, scontato, risaputo… eppure!

Il fatto che io, anzi, tutti noi, non possiamo vivere che grazie alle piante è una verità che continuamente mi riempie di gratitudine nei loro confronti. Prendere quello che per noi è un “gas di scarico” l’anidride carbonica (CO2), romperne la molecola, restituirci pulito l’ossigeno (O2) e trattenere il carbonio (C) che, montato in catene grazie all’energia solare (non a caso si chiama fotosintesi), diverrà per noi, a seconda dei casi: cibo, calore, materiale da costruzione, ornamento… sollievo psicologico. 

 Eh sì, proprio così, gli alberi, specie in città, oltre ad avere un innegabile vantaggio ambientale in termini di miglioramento della qualità dell’aria, sono anche fonte di benessere psicologico. I casi che lo dimostrano sono innumerevoli: gli studenti le cui scuole si affacciano su aree verdi hanno rendimenti migliori, negli ospedali circondati dal verde le persone stanno meglio e tendono a guarire prima; in città, lungo le vie alberate, la velocità degli autoveicoli diminuisce e anche il comportamento delle persone risulta essere meno aggressivo e più disponibile al dialogo, solo per citarne alcuni.

 La presenza di alberi in città ha anche dei vantaggi economici: si stima che per ogni euro investito in alberi vi sia un ritorno economico di almeno 1,7 euro.

Il benessere personale, per esempio, che gli alberi generano, si trasforma in minor propensione alla malattia e quindi minori spese mediche, ma vi sono anche “piccoli” vantaggi commerciali: i negozi che si affacciano su viali alberati registrano un considerevole aumento delle vendite rispetto ad altri che non lo sono: la gente vi passeggia più lentamente e indugia più volentieri a guardar le vetrine. O ancora: l’evapotraspirazione fogliare contribuisce a ridurre drasticamente la canicola estiva e le “isole di calore “, questo si traduce oltre che un innegabile benessere fisico, anche in vantaggio economico, grazie al minor uso dei condizionatori. Insomma, sembra proprio che il benessere in città sia imprescindibile dalla presenza di queste straordinarie, fotosintetizzanti creature che, come giganti buoni, albergano immobili e silenziosi fra noi.

 

Roberto Davide Valerio, Portogruaro (Ve)

Agronomo. Presidente della Associazione AlberiAmo

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