Ricorrenze di Umanità, Giorno della Memoria 2025

“Imre Kertész: leggerlo insieme”

“La felicità dei campi di concentramento”. Un contributo metapsicologico.

di Mariagrazia Capitanio

“Sì, è di questo, della felicità dei campi di concentramento che dovrei parlare loro, la prossima volta che me lo chiederanno. Sempre che me lo chiedano. E se io, a mia volta, non l’avrò dimenticata”. (Kertész I.,1975,220). 

A partire dalle ultime parole del romanzo Essere senza destino e ricercando quando, nell’opera, il protagonista  impiega il termine ‘felicità’, ho iniziato l’esplorazione metapsicologica di un sentimento che, in prigionia, presenta molte sfumature. Ne ho individuate alcune a cui ho dato nomi provvisori a seconda  dei meccanismi di difesa e delle fantasie inconsce che ipotizzo stiano alla base: felicità spietata narcisistica; da diniego; odiante; antropofaga; felicità per investimento oggettuale; felicità ‘in pausa’ . In questa sede accennerò solo della felicità spietata narcisistica .

Felicità spietata narcisistica. L’ingresso al campo  ne avvia il processo di sdoganamento, il quale comincia con un sorriso.

Arrivato alla selezione tra chi sarà giudicato idoneo al lavoro e chi no, il quindicenne Gyurka ha molti elementi per intuire/capire che  si tratta di un momento  molto pericoloso: oltre a tutto quanto gli era già successo (a partire dalla discriminazione razziale e la deportazione del padre per arrivare  all’imprigionamento tramite rastrellamento e al terribile viaggio in treno),  doveva averlo messo in guardia  anche “la grande agitazione” (ib.,69) manifestata dai prigionieri  ebrei  tramite un ‘rapido e frenetico mormorio” ( ib.,69) quando avevano saputo che, tra i nuovi deportati, c’erano ragazzini sotto i 16 anni. I detenuti,  in un certo qual modo, ordinano loro di mentire sull’età: “A quel punto l’uomo non solo mi ha afferrato il braccio con la sua mano secca, ossuta e giallognola, ma me lo ha scrollato forte e ha detto ‘Seschzajin’  […]. Ho visto che era arrabbiato e per di più mi è sembrato che tenesse molto alla questione quindi […] ho accondisceso […]. Inoltre, ci hanno messo in guardia: qualunque cosa ci venisse detta […] non dovevano esserci tra noi fratelli […] e in particolar modo gemelli” (ib., 69) e nessun malato.

Dopo tutto ciò Gyurka si ritrova in coda per sottoporsi alla ‘visita’ del medico SS; prima di lui c’è Moskovics, un suo compagno. Sebbene dica di avere 16 anni  e di voler lavorare, viene afferrato e spinto dalla parte dei non idonei. “Io mi ritrovai al suo posto. Mi accorsi che lo sguardo ponderante, serio e attento del medico su di me indugiò più a lungo. Allora mi rizzai bene per mostrargli il mio torace e […] mi venne anche da sorridere al pensiero che il mio turno fosse subito dopo Moskovics” (ib.,75). Il confronto con il rivale è tutto a suo vantaggio.

Sorridere comporta il ‘mostrare i denti’. In questo caso potrebbe corrisponde ad una espressione  aggressiva mascherata? Contro chi? Contro Moskovics il quale improvvisamente  e del tutto irrazionalmente è diventato un potenziale  rivale: il sorriso mi pare essere frutto dell’intrico tra  le pulsioni narcisistiche auto-conservative e quella distruttiva. Constato che non c’è  stata una alleanza con quella libidica oggettuale, magari con un pensiero del tipo: “Non è che, se  scelgono te caro Moskovics, non sceglieranno me. Non siamo rivali. Sceglieranno entrambi”. Ipotizzando che Gyurka sorrida con inconscia spietatezza, mi chiedo: “Perché?” Perché l’odio in tutte le sue forme ha la funzione di rafforzare l’Io: creare un rivale, in situazioni di pericolo, ne consente  la coesione.  Evolutivamente parlando, quell’affetto permette di delineare  i confini tra Io e non Io favorendo lo sviluppo dell’esame di realtà e mettendo  progressivamente  l’istanza egoica in grado di difendersi. Distruttività e capacità  difensiva sono psichicamente collegate; il sorriso indica che l’Io si sta armando. Come procederanno  le “manovre difensive”  nel caso di Gyurka?

Durante la selezione si verifica un inatteso investimento libidico del protagonista nei confronti dell’SS: “Quel medico mi ispirò fiducia perché aveva un aspetto gradevole, la faccia lunga e simpatica, […]. Ebbi la vaga impressione di piacergli” (ib.,75). Si tratta probabilmente dell’identificazione con l’aggressore, meccanismo che consiste nell’identificarsi inconsciamente con l’aspetto minaccioso della persona temuta. Penso che questa difesa possa essere  connessa con quella che chiamo felicità spietata. 

Anna Freud,  parlando della identificazione nell’aggressore, ricorda che a Mowgli era stato insegnato che, qualora avesse incontrato un animale pericoloso, bastava che gridasse “ ‘Siamo dello stesso sangue, tu e io’, e non succede niente” (Sandler, 1985, 249). Ora, la trasformazione della paura suscitata dall’SS  in ‘fiducia’ avviene perché una parte dell’Io si identifica  con il potere spietato del  carnefice: “Se divento spietato, divento uguale all’SS, e allora non ho nulla da temere”.  Inconsapevolmente Gyurka allora si comporta come l’SS:  sorridendo spietatamente  si sente  al sicuro  e può, come vedremo tra poco, addirittura gioire.

Passata la selezione e raggiunto il gruppetto degli “idonei” al lavoro (Kertész 1975, 75), il protagonista in un primo tempo  prova felicità per interposta persona: “I ragazzi   già mi aspettavano esultanti, ridevano dalla gioia. E alla vista di quelle facce raggianti compresi la differenza che davvero separava il nostro gruppo da quelli sul lato opposto: era il successo, se il mio intuito non mi ingannava” (ib.,75).  Poco dopo  anche lui partecipa – facendo intendere con gioia-   all’accoglienza di altri ragazzi: “è naturale” (ib.,76).

A livello conscio l’aver avuto successo corrisponde a un pensiero – frutto della razionalizzazione – del tipo: “Se siamo qui per lavorare  è ovvio che scelgano i più forti; siamo stati giudicati tali da un dottore”. Se c’è razionalizzazione  vuol dire che c’è un conflitto.  Ipotizzo che, in questo caso, esso riguardi la parte dell’Io che vuole soddisfare la pulsione di autoconservazione e  il Super-io. Da un lato quest’ultimo ‘sentenzia’: “Tu gioisci  mentre il tuo compagno morirà. La tua gioia è colpevole”. Dall’altro,  una parte dell’istanza egoica ‘dice’: “Ti sei salvato. Gioisci!” Allora, poiché “l’intuito non inganna”, l’Io nella sua globalità  ricorre alla razionalizzazione.

 Il pensiero “ho avuto successo”, inoltre, fa sentire Gyurka ulteriormente potente:  implicando un positivo giudizio  di valore su di sé, il narcisismo (‘naturale’ in quanto legato all’autoconservazione) rafforza l’Io, il quale non collasserà e ciò permetterà all’individuo di vivere: è questo il vero successo.

L’insegnamento che posso trarre dalle azioni e pensieri del protagonista è che  la ‘felicità spietata narcisistica’, in situazioni ambientali dove la sopravvivenza è costantemente messa in pericolo,  è potenzialmente sperimentabile da tutti noi.

 

Bibliografia 

Kertész I.  (1975). Essere senza destino. Milano, Feltrinelli, 2023.

Sandler J. (1985) L’analisi delle difese. Torino, Bollati,1990.

 

E’ possibile scaricare questo articolo assieme agli altri contributi della serata anche in versione PDF

*Per citare questo articolo:

Capitanio M. (2025). “Ricorrenze di Umanità 2025: Imre Kertész: leggerlo insieme”. Centro Veneto di Psicoanalisi, Sito wwww.centrovenetodipsicoanlisi.it, sezione “Report e Materiali”,  1-32.

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