Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Silvana Rinaldi
Dopo Essere senza destino (1975) Kertész scrive Fiasco (1988). Il titolo si riferisce al fallimento a cui sono esposte le vite degli esseri umani quando vengono travolte dai meccanismi di regimi totalitari (nel caso di Fiasco quello dell’Ungheria stalinista).
Fiasco è caratterizzato dal fatto di essere un romanzo nel romanzo. Il primo protagonista è “il vecchio” (ib.,7), uno scrittore che sta scrivendo la storia che andremo a leggere. Lo seguiamo nel percorso di avvio del processo di scrittura per poi entrare nella storia di Köves – il protagonista, appunto, del romanzo nel romanzo – il quale arriva in una città sconosciuta in cui vigono regole di vita (o meglio, di sopravvivenza) incomprensibili. Si muove tra una umanità schiacciata dalla paura, ma resta caparbiamente fedele alla ricerca della felicità (che coincide con la possibilità di avere in mano il proprio destino), ogni volta fallendo e ogni volta ritentando. Ad un certo punto Köves incontra Berg, personaggio chiave, il quale a sua volta sta scrivendo uno “scritto” dal titolo “Io, il carnefice…”( ib., 233).
La complessità di Fiasco parte dalla sua struttura e dal linguaggio usato che provocano nel lettore un senso crescente di fatica e irritazione. É un espediente usato dall’Autore: attraverso la costruzione formale del testo, egli riattualizza una memoria traumatica calandoci, a livello sensoriale ancor prima che di pensiero, nell’atmosfera creata da un sistema totalitario.
Lungo tutto il testo traspare il tema dell’impotenza, declinato nella forma dell’impossibilità di conoscere-comprendere il senso di quello che accade nel mondo in cui i personaggi si muovono. L’unico messaggio certo è racchiuso nello scambio “Si può forse sapere?” a cui segue “No, non si può” (Kertész,1988, 122). La quotidianità diventa una roulette russa.
In un regime totalitario l’attacco è tanto verso la sopravvivenza fisica, quanto verso il pensiero. È sul piano del pensiero che l’Autore lancia la sua sfida, partendo da una posizione inaspettata: il rifiuto di essere identificato come vittima e la rivendicazione di sé come agente attivo della propria vita.
Kertész vuole reclamare per sé il proprio destino, è una scelta coraggiosa perché passa attraverso un’assunzione di responsabilità che non può derogare a nulla, nemmeno al riconoscere come parte di sé anche il male.
Lo afferma quando Berg inizia a leggere a Köves ad alta voce l’attacco di “Io, il carnefice…”. Il passaggio alla prima persona è repentino e porta il racconto su un piano fastidiosamente personale. Proprio nel momento in cui il lettore vorrebbe guardare tutto a debita distanza, Kertész ci costringe ad avvicinarci. ‘Il carnefice’ appare come la rappresentazione del male, di tutto quello che siamo pronti a giudicare e a condannare. A cosa è dovuta la nostra urgenza di distanziamento?
Klein ipotizza che l’Io sia in grado di scindere tanto l’oggetto quanto il rapporto con esso e che “il risultato della scissione è sempre una dispersione della pulsione distruttiva avvertita come fonte di pericolo” (1946, 413). Vediamo all’opera l’azione composita di scissione e proiezione. Pensando alla relazione primitiva dell’infante con la madre Klein afferma: “la madre viene a contenere le parti cattive del Sé, essa non è sentita come un individuo separato ma come il Sé cattivo” (ib., 417). Si tratta di una particolare forma di identificazione, definita dall’Autrice ‘identificazione proiettiva’ e proposta come il prototipo delle relazioni oggettuali aggressive. Parliamo di relazioni perché, se spostiamo fuori ciò che era dentro, la realtà è che non ce ne liberiamo, anzi: siamo spinti a mantenere il contatto. Dobbiamo insomma guardarlo a vista.
Per spiegare le atrocità che si ripropongono lungo la storia umana, non può però bastare questo meccanismo. Può illustrare una parte del processo, ma non tutto. Cerco di chiarire questo punto. Il racconto de “Io, il carnefice” è costellato dal riproporsi di un pronome personale: Loro (ib., 237), la cui ripetizione ossessiva crea un effetto persecutorio; sorge a poco a poco il dubbio che la cosa riguardi il lettore di Fiasco.
L’altro termine ricorrente è il sostantivo “il Lettore” (ib., 234) . Anche qui: sono io, che sto compiendo l’azione di leggere? È un terzo?
“Il carnefice” ci accompagna nelle sue riflessioni sulla colpa e sul senso di colpa, questo ci aiuta a comprendere meglio l’uso del ‘Loro’ e de ‘ il Lettore’.
Credo che ‘Loro’ – che sono coloro che hanno delegato al carnefice di fare appunto il carnefice (cfr. ib., 240) – sia usato come rappresentazione della colpa e quindi del giudizio; mentre il senso di colpa, che implica un’assunzione di responsabilità ed è un atto morale, è delegato alla figura de ‘il Lettore’. In un passaggio di “Io, il carnefice” Kertész fa dialogare questi due livelli: “Sì: quando ebbi compiuto l’azione decisiva – la prima azione omicida […]: quando dunque l’ebbi compiuta su spinta della pressione esterna, questa pressione esterna […] non era affatto presente […. Perché la pressione esterna non è che secondaria, non è altro che la proiezione della volontà vera e propria, che diventa reale, se il reale la favorisce. E la maglia sconnessa di una simile pressione esterna […] il mondo potrebbe facilmente strapparla. Eppure no, il mondo non fece nulla; con eccitazione soffocata aspettava gli eventi, voleva vedere cosa sarebbe accaduto, per poi ritrarsene con orrore – e si ritrasse con orrore da sé stesso” (ib., 240, corsivo mio).
Nella prima parte di questo brano è all’opera l’identificazione proiettiva. Tornano anche alla memoria le parole di Freud “[…] credete veramente che un pugno di arrivisti e corruttori senza coscienza sarebbe riuscito a scatenare tutti questi spiriti maligni, se milioni di uomini al loro seguito non avessero anch’essi la loro parte di colpa?” (Freud, S. 1915,123) .
Ma Kertész non si ferma qui, parla di eccitazione, di attesa degli eventi, parla di desiderio. L’affermazione è sconvolgente. Certamente nella storia, ontogenetica e filogenetica, si è attuata la spinta a scindere in noi (noi come individui ma anche come gruppo) per poi allontanarla da noi la dimensione del male. In questo allontanamento siamo arrivati ad illuderci di poterlo collocare nell’inumano. L’opera di civiltà (Kulturarbeit) è un punto originario di ancoraggio, ciò che caratterizza il singolo e lo inserisce nella trama dell’umanità. Questa base originaria è il luogo sicuro, un legame inconscio con la specie umana (cfr. Zaltzman, 2011). Fuori da questo legame si è fuori dall’umana specie e questo non deve accadere, a nessuno.
Per ‘nessuno’ si intende tanto la vittima quanto il carnefice. E credo che stia in questo passaggio la forza di Kertész. Quello che in Fiasco afferma è che, per restare umani, si deve riconoscere l’umano anche nel carnefice. Il male non può essere estromesso dal consesso umano. Esiste ed è sempre possibile, date le circostanze favorevoli, che si esprima con forza dirompente.
Sempre dalle parole de ‘il carnefice’ sulla propria esperienza: “ io l’ho vissuta non contro di Loro, ma al posto Loro” (Kertész,1988, 240). Noi siamo spinti a riconoscerci in ‘Loro’, ma mentre stiamo seguendo il racconto siamo anche ‘ il Lettore’. Ecco allora che l’Autore ci chiama in causa: ci invita a riconoscere insieme a lui quanto sta accadendo, ad ammettere il nostro essere parte attiva di tutto quello che accade.
Kertész ha fiducia nella specie umana, così tanto da affermare che la salvezza sta proprio nell’assumersi la responsabilità del riconoscimento di essere un intero: Köves, Berg, ‘il carnefice’, ‘Loro’, ‘il Lettore’.
Bibliografia
Freud S. (1915). Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte. O.S.F., 8.
Kertész, I. (1988). Fiasco. Milano, Feltrinelli, 2011.
Klein M. (1946). Note su alcuni meccanismi schizoidi. In Scritti 1921-1958, Torino, Bollati Boringhieri, 1994.
Zaltzman N. (2007). Lo spirito del male. Roma, Borla, 2011.
E’ possibile scaricare questo articolo assieme agli altri contributi della serata anche in versione PDF
*Per citare questo articolo:
Capitanio M. (2025). “Ricorrenze di Umanità 2025: Imre Kertész: leggerlo insieme”. Centro Veneto di Psicoanalisi, Sito wwww.centrovenetodipsicoanlisi.it, sezione “Report e Materiali”, 1-32.
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