Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Massimo de Mari
Titolo: Elisa
Dati sul film: regia di Leonardo Di Costanzo. Italia, Svizzera, 105′,
82° edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, in Concorso
Genere: drammatico
Leonardo Di Costanzo è un autore di film caratterizzati da un particolare impegno nell’indagare l’animo di protagonisti inseriti in contesti difficili, potenzialmente devianti, come “L’intervallo” (2012) o “L’intrusa” (2017).
La sua indagine mira in qualche modo a fornire allo spettatore gli elementi per capire le dinamiche sociologiche e psicologiche che spingono l’individuo a mettere in atto comportamenti aggressivi, violenti o comunque fuori delle regole di convivenza sociale.
Con “Ariaferma”(2021)[1] ha rappresentato in maniera realistica e sensibile la realtà della vita in carcere, proponendo una sceneggiatura fatta di silenzi e dialoghi brevi e intensi, che spingeva lo spettatore a riflettere sul senso della pena e quindi anche sul senso del carcere come luogo in cui dovrebbe essere messo in atto un processo di recupero e reinserimento in società dell’individuo.
Con “Elisa”, traendo spunto dal libro dei criminologi Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali “Io volevo ucciderla” (2022), Di Costanzo fa un ulteriore passo avanti verso questa ricerca di una comprensione dell’indicibile e dell’impensabile che si nasconde dietro un gesto tragico e definitivo come l’omicidio.
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[1] https://www.spiweb.it/cultura-e-societa/cinema/recensioni-cinema/ariaferma-di-l-di-costanzo/
In questo caso si tratta dell’omicidio di una sorella (e del tentato omicidio della madre) da parte di una donna inquieta, rappresentata da una bravissima Barbara Ronchi, che vive i suoi fantasmi e i suoi sensi di colpa all’interno di una struttura di riabilitazione svizzera, dove sconta una pena a vent’anni di carcere.
Il prof. Alaoui, interpretato in modo molto coinvolgente da Rorschy Zen, è un criminologo, ospite della struttura di recupero, in cui effettua una ricerca personale che mira proprio ad indagare il percorso psichico che porta un individuo a commettere un omicidio.
La proposta che fa ad Elisa è quella di uscire dal suo ritiro psichico e confrontarsi con il crimine che ha commesso, per cercare di capire i motivi del suo gesto e fare i conti con le motivazioni inconsce che lo hanno condizionato.
Elisa è all’inizio resistente, evasiva, continua ad attaccarsi alle proprie difese psichiche primarie, in particolare la dissociazione e il diniego, che le hanno fino a quel momento provocato quella che lei chiama una forma di “amnesia” per “i fatti”.
Alaoui la provoca e la spinge a chiamare “i fatti” con il loro nome — omicidio — e le chiede di sforzarsi di rievocare quei giorni, a rivivere quello che ha provato.
Da un punto di vista psicoanalitico, Elisa è la rappresentazione del trauma, un concetto difficile da proporre perché sembra fungere da giustificazione del comportamento violento.
L’esperienza clinica con gli autori di crimini violenti evidenzia come, in questi pazienti, l’impossibilità di contenere mentalmente o addirittura di rappresentarsi un pensiero e il corto circuito che porta all’agito sono esperienze psichiche destrutturanti e simil-psicotiche che vengono poi vissute come veri e propri traumi.
Questo meccanismo, naturalmente, non mette in discussione la responsabilità di fronte alla società e alla legge che deve confrontarsi con il rispetto dell’altro.
La figura di Alaoui rappresenta dunque lo sforzo che gli operatori che lavorano in questo ambito così difficile cercano di fare, cioè di accompagnare questi pazienti nel complesso recupero di una capacità di gestire i pensieri, anche quelli più inaccettabili alla coscienza.
La prospettiva è quella di restituire alla società un individuo che abbia elaborato la propria esperienza e non l’abbia congelata in una parte di sé inaccessibile, ma potenzialmente capace di riattivarsi coattivamente in altre dinamiche relazionali simili.
L’altro tema che il film affronta è quello più ostico che, molto spesso, non trova risposte e non ha diritto di cittadinanza, persino nelle aule di tribunale, e cioè il ruolo della vittima e le conseguenze psichiche su chi resta.
Laura, che partecipa ai seminari del criminologo perché suo figlio è stato ucciso, interpretata da una Valeria Golino intensa e appassionata, rappresenta simbolicamente tutte le vittime dei reati di sangue, in particolare dei familiari, che hanno un vissuto traumatico più difficile, se non impossibile, da elaborare.
In un faccia a faccia particolarmente drammatico Laura contesta il tentativo di Alaoui di capire, lo accusa di tentare di giustificare qualcosa che non si può accettare, perché rientra nella categoria dell’ingiustizia, della prevaricazione, dell’abuso di un individuo sull’altro. Laura non è disponibile a sentire le ragioni di Alaoui, e probabilmente non lo sarà mai. Come tutti coloro che vivono esperienze così devastanti, a meno che non siano sostenuti da un’ideale forte, religioso e civico, di accettazione e redenzione, l’esperienza del dolore per una perdita causata da un altro individuo fatica a trovare una via di uscita.
Un film necessario, più di molte parole, nel momento storico che stiamo vivendo.
Bibliografia
Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali (2022). Io volevo ucciderla. Milano, Raffaello Cortina.
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