Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
Giornata Mondiale della Libertà di Stampa
La libertà di stampa.
Introduzione di Patrizia Montagner
Il 3 maggio ricorre la Giornata internazionale per la libertà di stampa.
Essa fu proclamata nel 1993 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dietro raccomandazione della Conferenza Generale dell’UNESCO. Il giorno fu scelto per ricordare il seminario dell’UNESCO per promuovere l’indipendenza e il pluralismo della stampa africana.
La Dichiarazione fa un richiamo esplicito all’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo il quale stabilisce che “Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione, tale diritto include la libertà di opinione senza interferenze e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza frontiere”.
La vogliamo celebrare con questo articolo di Paola Baretta, portavoce di “Carta di Roma”, codice deontologico per i giornalisti italiani, dedicato all’informazione su richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti.
Dunque i giornalisti si sono dati delle regole per parlare di un tema su cui le parole usate rappresentano un elemento molto delicato: l’utilizzo di un termine piuttosto che un altro qualifica un determinato avvenimento dando ad esso senso e significato.
La libertà di dire è una condizione fondamentale del pensiero e dell’operare psicoanalitico.
La grande intuizione di Freud, l’aver individuato un setting nel quale esiste la regola delle libere associazioni, consente l’espressione di qualsiasi pensiero , senza che questo implichi in seduta un giudizio o peggio un vendetta.
Quanto emerge durante l’incontro analitico è orientato alla ricerca della verità, una verità psichica che implica una responsabilità su di essa da parte del paziente e una funzione di testimonianza (non solo) da parte dell’analista.
La libertà di stampa è una espressione della più vasta libertà del dire e implica l’esistenza di una realtà democratica in cui essa può vivere e crescere.
Ma la libertà di stampa ai nostri tempi non è più una condizione scontata e nemmeno facile. IL giornalista che diventa testimone di verità scomode, che coraggiosamente le mette a disposizione del pubblico , diventa un pericolo, un nemico per coloro che quelle verità intendono coprire e/o distorcere.
Perchè anche sulla stampa, come in seduta, la verità implica una responsabilità.
Sappiamo quanti giornalisti hanno perso la vita negli ultimi anni, sia in Ucraina e Russia, sia perché hanno scritto su quanto sta avvenendo nel conflitto israelo-palestinese.
Paola Baretta parte dalla tragica notizia del rinvenimento del corpo della giornalista Viktoriia Roshchyna per farci riflettere sulla necessità di tutelare una libertà di dire che forse diamo per scontata, ma che, anche in Italia, scontata non è, e della quale, credo, tutti noi dobbiamo prenderci la responsabilità.
di Paola Barretta, Portavoce dell’Associazione Carta di Roma
Pochi giorni fa, la Russia ha restituito i corpi di i 757 persone ucraine morte in combattimento, tra questi uno “non identificato” che, grazie alle analisi del DNA si è scoperto essere non di un soldato ma di una donna, giornalista.
È il corpo di Viktoriia Roshchyna, giornalista ucraina di 27 anni rapita dai russi a Enerhodar, non lontano dalla Crimea, nell’agosto del 2023.
Di lei dopo l’arresto non si era più saputo quasi nulla: solo una telefonata al padre un anno dopo il rapimento. Il corpo mostra segni visibili di torture, mancano alcuni organi: il cervello, gli occhi e la laringe.
Un “avvertimento” a tutte/i coloro che fanno informazione: il cervello (pensiero), gli occhi (l’osservazione), la laringe (la parola). E anche se non fosse un “avvertimento”, commenta Nello Scavo, inviato speciale e Presidente della Carta di Roma, “vorrebbe dire che le torture hanno colpito quei tre organi, fra gli altri; e non l’avrebbero torturata in quel modo se non avessero voluto colpire proprio ciò che pensiero, osservazione racconto significano per chi commette crimini”.
Dall’inizio della guerra, nel febbraio del 2022, si stima che la Russia abbia ucciso 18 giornalisti e giornaliste mentre stavano facendo il proprio lavoro. Nei primi 4 mesi del 2025, secondo i rapporti di “Reporters sans Frontières”, sono stati uccisi 15 giornalisti (di cui 5 in Palestina), 526 sono detenuti, 99 sono dispersi. Dal 7 ottobre del 2023, sono almeno 173 i professionisti dell’informazione che hanno perso la vita nella striscia di Gaza a causa dell’offensiva israeliana.
Nel novembre del 2022, come racconta il Guardian, Roshchyna aveva ricevuto un premio dall’Internation Women’s Media Foundation per il coraggio – rischiare la vita per documentare arresti e torture degli ucraini nei territori occupati dalla Russia – proprio del suo lavoro giornalistico, “voglio dedicare il premio a tutti i giornalisti morti contrastando la propaganda russa, dopotutto sono morti nella ricerca della verità”.
L’inchiesta sulla morte della giornalista ucraina è stata realizzata da un gruppo di giornalisti internazionali guidati da Forbidden Stories, che include anche il Guardian, Le Monde, il Washington Post e l’Ukrainska Pravda (con cui collaborava Viktoriia Roshchyna). Questa inchiesta riafferma il ruolo decisivo del giornalismo nello scavare nei meandri dei fatti di rilievo sociale, portando alla luce attraverso indagini dettagliate ciò che il potere – politico, economico, lobbistico – vuole occultare all’opinione pubblica, finanche rendendosi responsabile di atroci crimini contro l’umanità.
Un ruolo significativo in un periodo in cui il mondo dell’informazione sta attraversando un momento di grande incertezza: difatti, secondo quanto rilevato dall’ultima edizione del Media Pluralism Monitor – uno strumento orientato a valutare i rischi per il pluralismo dei media nell’Unione Europea – la libertà e l’integrità dei media in Europa si stanno lentamente deteriorando, minacciando seriamente la salute della democrazia. Al contempo, le redazioni hanno subito una generale riduzione dell’organico, affidandosi sempre più al lavoro di esterni, i quali “lavorano in condizioni di elevata precarietà e ricevono bassi compensi” (Konrad Bleyer-Simon, Elda Brogi, Roberta Carlini, Danielle Da Costa Leite Borges, Jan Kermer, Iva Nenadic, Marie Palmer, Pier Luigi Parcu, Urbano Reviglio, Matteo Trevisan, Sofia Verza, Maria Žuffová, 2024, ).
Guardando al caso italiano, nel corso del 2024, sono peggiorate le condizioni economiche delle giornaliste e dei giornalisti – soprattutto quelle dei freelance indipendenti – mentre sono aumentati gli attacchi fisici, le intimidazioni e le minacce nei loro confronti, sia online che offline (K. Bleyer-Simon et al., 2024). Inoltre, secondo il rapporto World Press Freedom Index di Reporters Sans Frontières (2024), l’Italia si trova al 48° posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa, tra gli ultimi grandi paesi occidentali.
In questa situazione, un’idea molto diffusa è che il giornalismo d’inchiesta – costoso sia per quanto riguarda le risorse giornalistiche da impiegare e le spese da sostenere, sia per le pressioni politiche ed economiche da affrontare in caso di articoli o servizi scomodi – sia difficilmente praticabile per le società editoriali (A. Mincuzzi, 2017). Eppure, il giornalismo d’inchiesta è tutt’ora vivo e vegeto: le tecnologie della rete, ritenute tra le responsabili della “crisi del giornalismo”, hanno paradossalmente iniettato nuova linfa nel giornalismo investigativo, offrendogli nuovi strumenti e nuove modalità di lavoro. “Si pensi alla statistica, al data mining e alla data visualization, elementi fondativi del data journalism, una forma di investigazione che mira a sviluppare indagini a partire dall’analisi quali-quantitativa di banche dati e informazioni statistiche; ma anche all’utilizzo di tecniche di crittografia e cybersecurity per la comunicazione con le fonti”, si legge nel rapporto redatto in collaborazione con l’associazione Amici di Roberto Morrione in occasione del decennale del premio giornalistico d’inchiesta per giovani under 30 .
Reti di giornalismo investigativo che illuminano contesti dimenticati, che svelano i crimini dei colletti bianchi e che garantiscono la continuità delle inchieste “forniamo protezione dei dati, copertura delle fonti e soprattutto facciamo in modo che l’impegno e il sacrificio di un/a giornalista non siano vani e che colleghe/i possano proseguire il lavoro”, così afferma Frédéric Métézeau, capo-redattore di Forbidden Stories. Per quanto riguarda l’Italia, un importante esempio di giornalismo investigativo crossborder è IrpiMedia – Investigative Reporting Project Italy – una testata indipendente e non profit che collabora con giornalisti italiani e stranieri per realizzare “inchieste indipendenti di stampo transnazionale con l’obiettivo di portare a un dibattito pubblico più informato e a una società più equa”.
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