Il Re Cremisi del rock progressive e l’Uomo Scisso:

estetica della frattura nell’epoca della dissociazione

“Se all’uomo del Novecento veniva richiesta la rimozione, oggi il sistema richiede la scissione.”

di Chiara Buoncristiani & Tommaso Romani

 

“Said the straight man to the late man: Where have you been?

I’ve been here and I’ve been there / And I’ve been in between.”

— King Crimson, Talk to the Wind, 1969

Introduzione –

Abitare In Between: Frammenti per un’estetica della scissione

C’è un soggetto che non risponde. Non perché non sappia dove si trova, ma perché si trova ovunque e in nessun luogo. Questo soggetto — disperso, ripiegato, disgiunto — è la figura centrale della nostra indagine. È l’uomo schizoide, non come malato, ma come esito logico della modernità terminale. E il suono della sua voce è già stato registrato nel 1969, dentro il primo brano di un disco che non voleva spiegare nulla, ma prevedeva tutto.

In the Court of the Crimson King, primo album registrato in studio dai Crimson King, è il punto di rottura. Esce in un’epoca in cui le utopie si stavano ossidando e il sogno collettivo del Sessantotto lasciava il posto al sospetto paranoico del decennio a venire. 

È il 1969. L’uomo mette piede sulla luna, come se il progresso potesse ancora essere verticale. A Woodstock migliaia si radunano nel fango per credere, ancora una volta, che la collettività possa essere un’utopia sensoriale. Intanto, in Vietnam, si muore trasmessi in diretta. A Washington c’è Nixon; ovunque c’è qualcosa che si incrina: l’immaginazione politica mostra la sua crepa, l’innocenza si spezza senza nemmeno il rumore del vetro.

E poi Altamont: l’altro festival, quello del sangue. Il lato B del sogno hippie, dove l’acido non illumina, ma distorce. In questo scenario carico di promesse già infrante, In the Court of the Crimson King esce come una premonizione satura del rock progressive. Non suona come il presente. Suona come un futuro che ha già capito di essere passato.

King Crimson non canta il ’68: canta la fine del ’68 dal suo interno, come un virus culturale incubato nella liberazione e sbocciato nella psicosi. Non si limita a distruggere le forme musicali precedenti: distrugge anche la possibilità che la musica stessa possa ancora contenere un soggetto integro.

Tre anni più tardi Deleuze e Guattari pubblicano L’Anti-Edipo (1972), decostruendo l’inconscio edipico e inaugurando la schizoanalisi. Una teoria del desiderio non repressivo, non edipico, non nevrotico. Eppure, quel soggetto schizoide era già tutto lì, nel disco dei King Crimson: prodotto, musicato, incarnato.

King Crimson li aveva anticipati…  

21st Century Schizoid Man è già schizoanalisi musicale: un dispositivo affettivo e percettivo che mostra il soggetto non come unità, ma come costellazione di forze in lotta.

In quel tempo che si credeva ancora progressivo, il Re Cremisi portava già in scena la fine dell’integrità soggettiva.

Ecco allora che “I’ve been in between”, verso contenuto nella seconda traccia dell’album, non è una frase poetica: è una formula diagnostica. Lo spazio dell’in-between è il luogo psichico della scissione, dove i contenuti incompatibili non vengono rimossi, ma coabitano senza integrarsi. Klein aveva già intuito questa dinamica nella posizione schizo-paranoide: l’oggetto buono e quello cattivo sono separati, perché la loro integrazione distruggerebbe l’Io precoce. E Freud, alla fine del suo percorso, ammetterà che la scissione dell’Io è una ferita permanente, un meccanismo che sopravvive anche nella normalità apparente.

In Millepiani, Deleuze e Guattari scrivono:

“Un soggetto può essere scisso in molteplici soglie, in funzione di segmentazioni sempre mobili; non è più possibile definire un soggetto, ma soltanto dei percorsi.”

(Millepiani, p. 45, 1980)

Ecco il punto. Il soggetto non è più uno. È una traiettoria. Una traiettoria che attraversa identità parziali, affetti dissociati, ruoli incompatibili. L’uomo contemporaneo non reprime: si scinde. Non unifica: funziona per compartimenti stagni. Il suo Io è un software modulare, pronto a essere riconfigurato in base alle richieste del sistema.

21st Century Schizoid Man non è una canzone disturbante. È una testimonianza. È l’audio dell’anima che non riesce più a dire “io” senza contraddirsi.

Questo saggio non analizzerà semplicemente un brano o un album. Traccerà, attraverso la lente della psicoanalisi e della filosofia, la cartografia della scissione come forma di vita. Da Freud a Klein, da Bion a Kernberg, passando per Deleuze e Guattari, ciò che emerge è un’immagine inquietante e chiara: la frattura non è più un errore. È la condizione normale dell’essere nel tardo capitalismo.

E il Re Cremisi? È ancora lì. Che grida. Che ride. Che mostra i denti.

Non chiede coerenza. Chiede funzionalità psichica adattativa.

Non vuole la tua integrità. Vuole che tu stia in between.

I. Dal Rimosso allo Scisso – L’estetica del conflitto insanabile

Freud, nel suo itinerario teorico, ci consegna l’idea di un Io che lotta per mantenere una coerenza interna attraverso la rimozione. Ma già nei suoi scritti maturi, soprattutto a partire dal 1927, anno di pubblicazione del saggio sul Feticismo, la rimozione comincia a cedere il passo alla scissione: una frattura interna, permanente, un diniego che non cancella, ma sdoppia.

In 21st Century Schizoid Man, questa doppia esposizione psichica diventa suono. Ogni verso è una ferita che non guarisce, ogni sezione musicale una contraddizione che si rifiuta di integrarsi. È il canto di un Io irrimediabilmente scisso, che ospita simultaneamente contenuti opposti — esattamente come Freud descrive nella sua ultima visione dell’Io lacerato dal trauma (La scissione dell’Io nel processo di difesa, 1938). Le reazioni antitetiche al conflitto permangono entrambe: non più un inconscio da rimuovere, ma due realtà coesistenti che si ignorano a vicenda.

Klein radicalizza questa visione: l’Io scisso non è più solo il risultato di un trauma, ma una struttura primitiva di difesa, una modalità originaria dell’essere. La posizione schizo-paranoide è il punto zero del soggetto: odio e amore non si integrano, vengono separati per non esplodere insieme.

E cosa fa il brano dei King Crimson se non rappresentare esattamente questo? Una massa sonora amorfa, in cui il ritmo marziale convive con la dissoluzione jazzistica, e in cui la voce non parla, ma sputa frammenti non riconciliabili di realtà. Il soggetto non rimuove più. Non può. È già stato scisso.

 

II. Il Corpo Deterritorializzato – La macchina sonora della dissociazione

Se Freud parlava della scissione come di un meccanismo che indebolisce la funzione sintetica dell’Io, Deleuze e Guattari ne fanno il principio stesso della produzione soggettiva nel capitalismo avanzato. Il soggetto non si unifica: si smonta, si riprogramma, si adatta alle esigenze del flusso.

Nel brano di King Crimson, ogni nota è una manifestazione di questa logica: la forma musicale non è più contenitore ma residuo di una forma che non contiene più niente. Il corpo musicale è un campo di battaglia in cui convive l’eccesso e la forma rigida, il jazz e la marcia, il caos e l’ordine.

Bion lo chiamerebbe scissione minuta (1967): una frammentazione radicale, invisibile e continua, che impedisce ogni reale integrazione. Il brano non costruisce. Frantuma. L’ascolto non unisce. Lacera.

L’estetica che emerge è quella del corpo senza organi: non più un soggetto, ma una macchina pulsante, percorsa da flussi affettivi e contraddittori che non cercano sintesi. La musica non è lo specchio dell’uomo. È l’uomo scisso che suona se stesso.

Nel delirio musicale di 21st Century Schizoid Man, non assistiamo a una semplice frattura dell’identità, ma a un vero e proprio crollo dell’organizzazione corporea tradizionale. La soggettività non si esprime: si dissolve in una macchina sonora senza centro, senza confini, senza gerarchie. È qui che si innesta il concetto di corpo senza organi.

Per Deleuze e Guattari, il corpo senza organi (CsO) non è un’entità mistica né una negazione del corpo biologico. È un campo di intensità, un piano di consistenza dove le funzioni codificate del corpo (il mangiare, il parlare, il desiderare nel modo “giusto”) vengono sospese, scardinate, per fare spazio a una materia vibrante, amorfa, liberata dalle strutture simboliche del potere.

Il CsO è il contrario dell’organismo: dove l’organismo impone funzioni, ruoli, confini, il corpo senza organi destruttura, libera, apre nuovi circuiti.

Non è anarchia: è pre-logica. Non è assenza: è saturazione indifferenziata.

È l’arte di disattivare i codici per lasciare spazio al puro flusso, all’esperienza senza intermediazione.

E la musica dei King Crimson, in particolare in questo brano, non si comporta da organismo musicale. Non sviluppa, non armonizza, non risolve. Esplode e si ritrae. Il suono non accompagna l’ascoltatore: lo attacca, lo ingloba, lo attraversa.

Ecco, quindi, che l’estetica che emerge è quella di una macchina sensibile, un’estetica senza soggetto, fatta di pulsazioni, frizioni, violenza e silenzi improvvisi. Un’estetica del CsO che non rappresenta in quanto non parla di nulla, non ha una progressione lineare e soprattutto non rassicura perché non offre un centro affettivo a cui aggrapparsi. È un’estetica dell’intensità, dove il senso si frammenta e l’effetto rimane, come uno shock estetico non risolvibile.

Ma qui arriva il punto critico: questa deterritorializzazione del suono e del soggetto non è solo un disastro.

Non è solo frattura psichica. È anche possibilità sovversiva. Deleuze e Guattari ci ricordano che ogni deterritorializzazione apre un piano di fuga. Ogni volta che il corpo si libera da un codice — quello del linguaggio edipico, quello della morale, quello della produzione — si crea un varco, una fessura nel reale, uno spazio di ri-composizione. La scissione, se non ricondotta al controllo, può diventare arte, resistenza, contro-cartografia.

Ecco allora che 21st Century Schizoid Man non è solo il suono di una mente che si spezza: è anche il gesto creativo di chi rifiuta l’organismo musicale, di chi si fa corpo pulsante, fuori da ogni mappa, fuori da ogni sintassi.

Deterritorializzare è anche questo: rifiutare di essere leggibile per essere vivo.

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III. Alienazione Funzionale – La normalizzazione della scissione come prestazione

Ma torniamo alla nostra riflessione: dall’estetica alla politica passando per la psicoanalisi. Il soggetto postmoderno non ha bisogno di rimuovere nulla. La macchina sociale non pretende più obbedienza simbolica, ma adattamento plastico a contenuti incompatibili. Lavora otto ore, consuma otto brand, performa dieci identità. L’inconscio non è più il rimosso. È il campo visibile della scissione funzionante.

Freud già nel 1938 parlava di una lacerazione insanabile dell’Io. Oggi, quella lacerazione è la norma operativa. Non produce sintomi. Produce produttività. Kernberg (1952; 1966; 1975) avrebbe detto che la scissione è la strategia difensiva del borderline, e in un mondo strutturato come un algoritmo, la “borderlineità” è l’adattamento perfetto. Separare l’oggetto idealizzato da quello persecutorio, performare versioni di sé senza integrazione: il soggetto schizoide non è in crisi, è sul mercato.

21st Century Schizoid Man non è dunque una diagnosi. È un protocollo. Un manuale sonoro per comprendere e magari anche sopravvivere in un mondo che ti chiede di essere uno, nessuno, e multitasking.

 

Appendice al Terzo Capitolo – Il Terzo Inconscio e la Scissione Digitale

“Il terzo inconscio non è edipico, non è represso: è informazionale, instabile, sfinito. È generato dalla sovrastimolazione, dalla connessione perpetua, dall’ansia della visibilità” (Franco “Bifo” Berardi,  2022,Il Terzo Inconscio).

Se la scissione descritta da Freud, dunque, era un tentativo di sopravvivere al trauma, oggi è la struttura base dell’esperienza soggettiva.

Il soggetto non reprime più contenuti: li scrolla. Non difende un centro: lo delega al cloud.

Non è più diviso in senso edipico, né liberato in senso schizoanalitico. È esaurito. Funziona male, ma funziona.

Bifo lo chiama terzo inconscio: un inconscio plasmato dalla rete, prodotto non dalla rimozione di contenuti interni, ma dall’accumulo indiscriminato di segnali esterni.

Nel tempo del semiocapitale, non esiste più un conflitto interno da risolvere. Esiste una continua esposizione cognitiva, una tensione perenne a rispondere, a performare, a non sparire.

Il trauma non viene più narrato. Viene interrotto da una notifica.

E in questo scenario, la scissione dell’Io non è solo un concetto psicoanalitico. È diventata una condizione di sistema.

La mente salta da una finestra all’altra. Il corpo è presente, ma dislocato emotivamente.

Non si rimuove più nulla: si lascia tutto aperto, come tab mentali sovrapposti in background.

Byung-Chul Han, nel suo Psicopolitica (2012), osserva che la soggettività contemporanea è regolata non dalla repressione, ma dall’auto-sfruttamento volontario. Il soggetto è imprenditore di sé stesso, brand del proprio Io, agente e carnefice insieme.

Questa condizione produce un paradosso perfetto: la libertà si rovescia in ansia, la visibilità in trasparenza depressiva, l’autonomia in stanchezza psichica cronica.

La scissione non si avverte più come disfunzione. È la forma fluida e intermittente dell’identità in ambiente performativo.

Dentro 21st Century Schizoid Man, questa condizione è già suonata. La voce è distorta come lo sono le identità digitali, filtrate, rielaborate, accelerate fino al collasso. L’assolo frenetico non è virtuosismo. È iperproduzione dell’Io. Il ritmo spezzato non è ribellione. È interruzione interna, glitch psichico strutturale.

Il terzo inconscio non ha bisogno di sogni perché gli basta la connessione. Non reprime ma si replica.

E in questo scenario, la domanda non è più “chi sono?”, ma: quale frammento di me è performante adesso? Quale parte di me si adatta, si esibisce, sopravvive? Il soggetto non crolla. Vibra..

E il Re Cremisi?

Il Re Cremisi è ancora lì.

Non dice nulla.

Ma ti guarda scrollare in un tempo infinito.

 

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IV. La Cronologia del Delirio – Tempo, trauma e ripetizione nel soggetto infranto

Di che tempo stiamo parlando? Il tempo, per Freud, è già problematico: il trauma lo interrompe, lo spezza, lo fissa. Non esiste un prima e un dopo quando il trauma è inscritto nel corpo psichico — esiste solo un adesso eterno che ritorna sotto forme mascherate. E 21st Century Schizoid Man è un brano costruito interamente su questo principio: non ha sviluppo, ha ricorrenze. Non ha evoluzione, ha ritorni persecutori.

Bachelard (1957), con il suo pensiero poetico del tempo, parla del “tempo interrotto dalla verticalità dell’immaginazione”. Il brano dei King Crimson è esattamente questo: un montaggio sonoro in cui il tempo cronologico implode nella ripetizione delirante, in un eterno presente traumatico.

In ogni ciclo ritmico, in ogni ripresa tematica, si manifesta quella che Freud chiama coazione a ripetere: il tentativo fallito di simbolizzare il trauma, che non si sublima ma si ripresenta sotto forma di incubo. La musica non libera: riapre la ferita. È un sogno disturbato che non riesce a risolversi, come il soggetto psichicamente scisso che oscilla tra due configurazioni incompatibili.

La scissione qui si fa ritmica: è il battito irregolare di un sistema che non dimentica nulla, non rimuove nulla. Il tempo è un circuito chiuso, un disco graffiato dell’inconscio collettivo.

E in fondo — come dice Bion (1992) — “la scissione minuta produce una frammentazione temporale”: il tempo non è lineare, ma schegge disarticolate, lampi intermittenti. Una memoria affettiva che non sa più in quale istante abita.

La musica diventa il sintomo temporale del disagio. Ogni secondo è una confessione che non trova catarsi. È così che la cronologia si trasforma in delirio.

 

Coda – Il Re Cremisi e l’Eredità del Soggetto Frantumato

L’uomo del Novecento reprimeva. L’uomo del Ventunesimo si divide.

Non più custode dell’inconscio, ma contenitore di inconciliabili. Non più soggetto narrante, ma funzione scissa, performativa, adattabile, reattiva. L’unità dell’Io è stata sostituita da un algoritmo affettivo che seleziona, in tempo reale, quale parte di sé mostrare e quale espellere. Come direbbe Kernberg, la scissione non è più solo difesa: è condizione infrastrutturale (1952; 1966; 1975).

In Kernberg, la scissione non è solo una difesa primitiva: è un modo di organizzare l’esperienza quando l’integrazione affettiva risulta impossibile. Il soggetto borderline — costretto a mantenere separate rappresentazioni ideali e persecutorie degli oggetti — diventa il prototipo di un funzionamento adatto a un sistema che richiede adattabilità estrema, fino al sacrificio del proprio senso di coesione, velocità di risposta, capacità di convivere con contraddizioni non risolte. Costi quel che costi. Nel capitalismo tecnologico avanzato, l’identità scissa non è patologica: è performante. Serve a navigare ambienti sovraccarichi, a sostenere ruoli incompatibili, a sopravvivere in una realtà dove la coerenza interna è un ostacolo, non un valore.

Freud parlava di lacerazioni che non si rimarginano (1927). Oggi non si tenta più nemmeno di rimarginarle: si lucida il bordo della ferita, si monetizza la frattura, si condivide l’instabilità come prova di presenza digitale. Il Super-Io, un tempo guardiano severo, è stato licenziato. Al suo posto, una timeline. Un feed. Un ecosistema pulsante che chiede visibilità, molteplicità, e frammentazione performativa.

E in questo orizzonte stanco, 21st Century Schizoid Man non è un brano musicale: è un’immagine archetipica del nuovo umano. Il volto sfigurato in copertina non urla per paura, ma per eccesso di realtà. È il grido di chi ha visto troppo, pensato troppo, funzionato troppo — e non può più sostenere la coesione dell’Io.

Maurice Blanchot (1969) scrive che “scrivere è giungere al punto in cui non si può più scrivere.”

Forse quella musica oggi ci insegna questo: permettere all’Io di disfarsi, lasciando che ciò che resta — l’eco, il loop, il rumore — parli al posto suo. Non c’è più soggetto, ma solo l’opera che si fa nell’assenza dell’opera.

Ma non tutte le assenze sono uguali. La scissione, oggi, è ovunque — ma il suo destino è incerto.

C’è una scissione che si chiude in sé, si irrigidisce, si fa paranoica. Cerca un’identità forte, un confine, un nemico. Vuole guarire dal caos con l’ordine.

È la versione fascista del soggetto scisso: quella che sogna l’unità come annientamento dell’altro.

Deleuze e Guattari l’hanno chiamata macchina fascista.

“Il fascismo non impedisce alle persone di desiderare. Al contrario, le incita a desiderare la propria repressione” (L’Anti-Edipo, p.68, 1972).

Il desiderio non viene censurato: viene programmato per volere l’obbedienza, per godere della catena, per identificarsi con la struttura che lo mutila.

La scissione diventa reazione, feticcio di potere, chiamata all’ordine.

E poi c’è una scissione che si apre, si espande, si lascia attraversare.

Non cerca ricomposizione, ma dispersione produttiva. Non pretende coerenza, ma intensità sovversiva.

È il corpo che smette di servire e comincia a vibrare.

È la musica che non ti consola, ma ti mostra dove stai cedendo — e ti ci lascia stare.

Bataille direbbe che la bellezza abita nel disastro. Deleuze suggerirebbe che la soggettività non è più struttura, ma processo destrutturante. Fripp, invece, non direbbe nulla: suonerebbe. Perché tutto questo non si spiega. Si ascolta mentre cade a pezzi.

E allora ecco il Re Cremisi:

non un sovrano, ma un sintomo collettivo.

Un segnale trasmesso da un futuro che non ha più bisogno di individui, ma di parti intercambiabili.

Un simbolo che non salva. Ma testimonia.

Un urlo inciso su vinile. Che gira. E gira. E gira.

Bibliografia:

Bacherlard, G, (1957), Poetica dello spazio Bari, Edizioni Dedalo, 1990

Blanchot M. (1969), L’entretien infini Paris, Gallimard, 1980

Bifo,  Il terzo inconscio, Milano, Nottetempo, 2022

Bion W. R. (1992) Cogitations, Roma, Armando, 1996

 

Byung-Chul Han , (2012) Psicopolitica, Milano, Nottetempo, 2012

Deleuze, G. e Guattari, F. (1972), L’anti-Edipo, Torino, Einaudi, 2015

Deleuze, G. e Guattari, F. (1980), Mille Piani, Torino, Einaudi, 2016

Freud S. (1923) Nevrosi e Psicosi, O.S.F., IX

Freud S. (1925) La negazione, O.S.F., X

Freud S. (1927) Feticismo, O.S.F., X

Freud S. (1938a) La Scissione dell’Io nel processo di difesa, O.S.F., XI

Freud S. (1938b) Compendio di psicoanalisi, O.S.F., XI

Kernberg O. (1952) La teoria e la sfida di Fairbairn in: W. R. D. Fairbairn: Studi psiconalitici sulla personalità, Torino, Boringhieri, 1970

Kernberg O. (1966) Derivati strutturali delle relazioni oggettuali in: Teoria della relazione oggettuale e clinica psicoanalitica, Torino, Boringhieri, 1980

Kernberg O. (1975) Traslazione e controtraslazione nel trattamento di pazienti bordeline in: Teoria della relazione oggettuale e clinica psicoanalitica, Torino, Boringhieri, 1980

Klein M. (1921-1958) Scritti 1921-1958, Torino, Boringhieri, 1978

Klein M. e Riviere J (1953) Amore odio e riparazione, Roma, Astrolabio 1969

 

Chiara Buoncristiani, Roma

Centro Psicoanalitico di Roma

cbuoncris@gmail.com

 

Tommaso Romani, Roma

Centro Psicoanalitico di Roma

tommaso.romani@me.com

 

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