AMICO FRAGILE

la forte fragilità ovvero il suo contrario

di Marta Oliva

Nel 1975 Fabrizio De André ha pubblicato il suo ottavo album, Volume 8, in collaborazione con Francesco De Gregori che è coautore di alcuni brani (Dolce Luna, Oceano, Canzone per lestate e La cattiva strada) e autore di una delle canzoni (Le storie di ieri). Nancy, invece, è una traduzione di Seems So Long Ago, Nancy di Leonard Cohen. Giugno ‘73 e Amico fragile sono interamente di Fabrizio De André.

Interessante pensare a queste collaborazioni e al fatto che Amico fragile e Giugno ‘73 sono state le ultime due canzoni, entrambe molto autobiografiche, di cui De André è stato autore sia del testo che della musica. Penso alle collaborazioni come a un lavoro di squadra certo, ma anche come a un modo per esprimere un bisogno, un modo per specchiarsi nell’altro e forse vivere la solitudine in modo diverso. Chissà…

De Gregori e De André hanno lavorato alla scrittura dei testi a Portobello di Gallura nell’inverno del 1974, studiando a vicenda i rispettivi modi di mescolare parole e musica. De Gregori in un’intervista ha detto “mi invitò, secondo me, perché era curioso: gli piaceva vedere come scrivevano gli altri. E poi, stranamente, era anche un po’ insicuro. Di me gli interessava il versante angloamericano che lui non conosceva bene perché si era formato sugli chansonnier francesi. Con me, figuriamoci, si ubriacò di Bob Dylan[1]”.

 

[1] Valtorta, L. (2009). Quando Francesco De Gregori andò a stare a casa di Fabrizio De Andrè : ‘Belin, vieni a scrivere da me!’. In Robinson, La Repubblica.

Hanno lavorato insieme alla creazione dei pezzi che sono stati incisi in Volume 8 e contemporaneamente De Gregori ha scritto alcuni testi che fanno parte di Rimmel (pubblicato sempre nel 1975), Volume 8 e Rimmel risentono sicuramente delle influenze reciproche nate in quel freddo inverno sardo di 50 anni fa…

 

 

Il 12 marzo del 2000 a Genova si è tenuto il concerto tributo a Fabrizio De André (Faber. Amico fragile…) durante il quale vari artisti hanno interpretato le sue canzoni. Vasco Rossi prima di cantare Amico fragile ha letto quanto De André aveva detto a proposito della genesi di quel pezzo “Stavo ancora con la Puny, la mia prima moglie, e una sera che eravamo a Portobello di Gallura, dove avevamo una casa, fummo invitati in uno di questi ghetti per ricchi della costa nord. Come al solito, mi chiesero di prendere la chitarra e di cantare, ma io risposi -“Perché, invece, non parliamo?”, era il periodo che Paolo VI aveva tirato fuori la faccenda degli esorcismi, aveva detto che il diavolo esiste sul serio. Insomma a me questa cosa era rimasta nel gozzo e così ho detto: “Perché non parliamo di quello che sta succedendo in Italia?”. Macché, avevano deciso che dovessi suonare. Allora mi sono rotto le palle, ho preso una sbronza terrificante, ho insultato tutti e sono tornato a casa. Qui mi sono chiuso nella rimessa e in una notte, da ubriaco, ho scritto ‘Amico fragile’”.

 

Ho letto che questa canzone ha vissuto una seconda giovinezza dopo il concerto tributo, come se le parole di De André, lette da qualcun altro, fossero state decriptate e rese forse meno spaventose. Il reale che irrompe e lenisce, ma allontana anche. Da cosa? Penso proprio a una sorta di lotta tra l’onirico e la realtà, tra il dentro e il fuori. Amico fragile parla del reale, di una serata estiva in una località sarda, parla di persone e delle chiacchiere più o meno evanescenti contrapposte al desiderio di essere visto e di vedere, di portare un peso diverso dentro alle parole.

 

Mi viene in mente l’area di transizione, così come la definisce Marco La Scala (2012), quel luogo che precede la vera e propria transizionalitá, un qualcosa che viene prima, quindi, della vera e propria creatività, ma che contiene in sé il pericolo di una confusione sé/oggetto. Amico fragile mi riporta in quella zona di confine nella quale i piani si confondono e quello che viene criticato diventa anche una cosa da cui è difficile separarsi. In fondo la creatività stessa, quella dell’area transizionale, diventa possibile proprio a partire da questo ed è così che “evaporato in una nuvola rossa” nasce Amico fragile.

 

Il testo è immaginifico, sfilano davanti agli occhi le scene e i personaggi, come in un film. C’è in questo testo lo scontro tra un familiare che diventa estraneo nello stesso tempo. Sembra che a renderlo perturbante sia proprio il fatto che è conosciuto e vicino. Da una parte è come se le parole della canzone si cristallizzassero in un’immagine dove il movimento, anche se c’è, è bloccato, sospeso (“sospeso dai vostri Come sta?”), come in un quadro.

 

Mi immagino di osservare questo quadro, come quando si osserva un’opera in un museo e la si guarda da angolazioni diverse per coglierne l’atmosfera e la luce. Ecco, Amico fragile mi offre questa possibilità mentre mi avvicino e mi allontano “dalla tela” per sentirla e metterla insieme in modo diverso. Sappiamo che a un certo punto De André è uscito dalla scena ed è così che la canzone è nata, ma contemporaneamente resta nella scena e ci offre la possibilità di cogliere la tensione  tra l’heimlich e l’unheimlich.

 

C’è un familiare e anche un estraneo e sono due facce della stessa medaglia perché ciò che genera disgusto e inquietudine è anche un qualcosa che si riesce perfettamente a cogliere e a comprendere, proprio perché conosciuto. Come se dietro le immagini evocate dal testo si annidasse un conosciuto negato. C’è l’angoscia in agguato se ci si specchia troppo in quel familiare che riporta a galla qualcosa di amato/odiato.

 

De André in chiusura della sua canzone dice:

 “E mai che mi sia venuto in mente/ di essere più ubriaco di voi/ di essere molto più ubriaco di voi” che può essere letto in molti modi diversi, ma che mi riporta alla circolarità, a un ritorno quasi al punto di partenza dove soggetto e oggetto si confondono. Sono diverso ossia sono uguale. Mi riprendo dentro ciò che mi inquieta per potermene poi distaccare ancora e ancora e ancora. Come dice Freud “…anche in questo caso, quindi, unheimlich è ciò che un giorno fu heimisch, familiare”. Il testo mi arriva come una specie di doppio, nel senso che nel testo può finire il rivale, l’alter ego, e questo permette alla barca di non andare alla deriva.

 

Mi torna in mente quello che diceva De Gregori nell’intervista a proposito della collaborazione con De André e al suo bisogno di essere confortato relativamente a quello che aveva prodotto, nonostante scrivesse benissimo. Guardare, guardarsi, essere guardati (Botella, 2004) come modo per entrare (e restare) in contatto con il desiderio, con sé stessi ma anche con l’altro.

 

Certo, Amico fragile è una critica nei confronti di un mondo che non piace e di un modo che non piace, De André stesso ne riconosceva una valenza politica legata alla possibilità di dire no, di differenziarsi, ma tutto questo è vero solo se consideriamo l’heimlich

“Pensavo è bello che dove finiscono le mie dita

debba in qualche modo cominciare una chitarra”

 

 

Bibliografia

Botella, C. e S. (2004). La raffigurabilità psichica. Edizioni Borla

La Scala, M. (2012). Spazi e limiti psichici. Fobie spaziali, funzionamento borderline, la vergogna, la melanconia. FrancoAngeli Editore

Freud, S. (1919). Il perturbante. O.S.F., 9.

Funari, E. a cura di (1986). Il doppio. Tra patologia e necessità. Raffaello Cortina Editore

Valtorta, L. (2009). Quando Francesco De Gregori andò a stare a casa di Fabrizio De Andrè : ‘Belin, vieni a scrivere da me!’. In Robinson, La Repubblica.

Marta Oliva, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

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