Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Elisabetta Marchiori
In un tempo segnato da guerre, in primis quella che si combatte sulla Striscia di Gaza, che sembrano disintegrare ogni principio di civiltà e umanità, un’iniziativa internazionale rende disponibili gratuitamente online decine di film — documentari, cortometraggi e opere di finzione — che raccontano la realtà palestinese. È una riflessione sul valore culturale e politico di tale gesto: filmare come azione parlante di resistenza alla disumanizzazione, proporre immagini che ci chiedono di non distogliere lo sguardo.
Questo è l’incipit del saggio che Freud scrisse nel 1915 Considerazioni attuali sulla guerra e la morte:
“Presi nel vortice di questo tempo di guerra, privi di informazioni obiettive, senza la possibilità di considerare con distacco i grandi mutamenti che si sono compiuti o che si stanno compiendo, o di prevedere l’avvenire che sta maturando, noi stessi non riusciamo a renderci conto del vero significato delle impressioni che urgono su di noi, e del valore dei giudizi che siamo indotti a pronunciare. Ci sembra che mai un fatto storico abbia distrutto in tal misura il prezioso patrimonio comune dell’umanità, seminato confusione in tante limpide intelligenze, degradato così radicalmente tutto ciò che è elevato”(p. 123).
Continua un paio di pagine dopo:
“La guerra a cui non volevamo credere è scoppiata, e ci ha portato…la delusione. Non soltanto è più sanguinosa e rovinosa di ogni guerra del passato, e ciò a causa dei tremendi perfezionamenti portati alle armi di offesa e di difesa, ma è anche perlomeno tanto crudele, accanita e spietata quanto tutte le guerre che l’hanno preceduta. Essa infrange tutte le barriere riconosciute in tempo di pace e costituenti quello che è stato chiamato il diritto delle genti, disconosce le prerogative del ferito e del medico, non fa distinzione fra popolazione combattente e popolazione pacifica, viola il diritto di proprietà. Abbatte quanto trova sulla sua strada con una rabbia cieca, come se dopo di essa non dovesse più esservi avvenire e pace fra gli uomini. Spezza tutti i legami di solidarietà che possono ancora sussistere fra i popoli in lotta e minaccia di lasciar dietro di sé un rancore tale da rendere impossibile per molti anni una loro ricostituzione”(p. 126).
Freud si riferiva alla Prima Guerra Mondiale, ma sembra dipingere il quadro di quanto sta accadendo nella striscia di Gaza, con la complicità o nel silenzio dimolti governi del cosiddetto mondo “civilizzato”, che ci mostra che “quel che vi è di primitivo nella psiche è imperituro” (p. 133). Sappiamo come egli credesse che solo la consapevolezza del conflitto delle pulsioni umane più profonde e la rinuncia alla confortante e pericolosa illusione di potere eliminare quelle distruttive potessero aiutare l’umanità a non soccombere a esse.
Lo sforzo, come sottolinea anche nel carteggio con Einstein Perchè la guerra (1932), è quello di cercare la verità, la “franchezza e sincerità reciproca nei rapporti degli uomini tra loro, e nei rapporti tra governanti e governati” (Freud, 2015, 136), per arrivare a una qualche forma di padronanza delle forze distruttive e portare a una trasformazione, con l’ausilio dell’educazione, del rispetto di norme condivise e delle “acquisizioni morali”.
Oggi assistiamo impotenti, presi “nel vortice di questo tempo di guerra”, sopraffatti sia da fiumi di parole e grida, sia dal flusso incessante di immagini di atrocità trasmesse dalle televisioni e diffuse viralmente dai social network, alla distruzione di un popolo, indotti a distogliere lo sguardo di fronte al “dolore degli altri” (Sontag, 2003)[1].
A noi spettatori passivi, assuefatti e apatici, è rivolta l’iniziativa cui hanno aderito numerosi registi di tutto il mondo, che hanno reso disponibili gratuitamente online i propri film — documentari, cortometraggi e lungometraggi — che raccontano la storia, la cultura e le lotte del popolo palestinese.
Gli elenchi dei film e i link sono disponibili in rete su moltis siti:
su Alice.movie
su Pressenza
Non è certo il ruolo del cinema di guerra quello di far comprendere agli spettatori né le ragioni della guerra, né di sanare l’ignoranza rispetto alla Storia, ma può diventare una forma di resistenza della “mente sulla linea del fuoco”[2], difendendo la capacità di pensare di fronte a tanto orrore.
Come il film No Other Land, vincitore dell’Oscar 2025 e del 74° Festival di Berlino, un’opera potente che documenta con sensibilità e coraggio la vita sotto occupazione e il legame tra due giovani attivisti, palestinese e israeliano. I quali si chiedono “Cosa possiamo fare?”. E la risposta è: “Possiamo solo continuare a filmare”. Questa domanda interroga direttamente e disperatamente ogni singolo spettatore.
Filmare è atto artistico e contemporaneamente diventa “azione parlante” (Racamier, 1997), che richiama l’attenzione su aspetti drammatici di realtà che non possono essere espressi verbalmente o interpretati, che permette di trasmettere storie e memorie, opponendosi alla negazione dell’esistenza di un intero popolo e all’espropriazione dell’innocenza dell’infanzia[3].
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[1] Link a “Reflection” incontro all’IPA
[2] Richiamo al libro Mind in the Line of Fire: Psychoanalytic Voices to the Challenges of Our Times, che ha ricevuto il prestigioso Gradiva Award 2024 da parte della NAAP, curato da Cordelia Schmidt-Hellerau e Mira Erlich-Ginor, che raccoglie 120 saggi brevi di autori provenienti da 34 paesi, sui temi del clima, della cultura, dell’educazione, della salute, degli interventi umanitari, della giustizia, dei migranti e rifugiati, della violenza, dei pregiudizi, della discriminazione e del razzismo. Le riflessioni raccolte mostrano la vitalità e la potenza creativa della prospettiva psicoanalitica nel riflettere su queste tematiche e nel contribuire al dibattito quanto mai attuale sulle sfide che ci troviamo ad affrontare.
Link a recensione “No Other Land”
Il documentario Innocence (2022), diretto dal regista israeliano Guy David, evidenzia come anche i bambini israeliani siano vittime di tale espropriazione, ricevendo un’educazione che li introduce precocemente al culto delle armi e della guerra, all’odio disumanizzante verso il nemico. Attraverso l’uso di filmati amatoriali e diari personali, il film, in parte autobiografico, racconta le storie di ragazze e ragazzi israeliani che, durante il servizio militare obbligatorio, hanno affrontato conflitti interiori così intensi da indurli al suicidio.
Sono opere che costringono lo spettatore a confrontarsi con l’umanità e la disumanità dell’uomo, a fare i conti con se stesso, a capire cosa significhi riconoscere nell’altro l’essere una persona, riproponendo la questione posta da Primo Levi in Se questo è un uomo (1947).
Mi è tornato alla mente il film Dove bisogna stare (2018) di Gaglianone e Collizzolli che, trattando di un’altra “emergenza umanitaria” come quella del dramma dei migranti, invita a schierarsi, senza se e senza ma, dalla parte dell’essere “umano”, come aggettivo qualitativo e come essenza. Gaglianone, in un’intervista[1], dice che questo titolo si riferisce non solo a “dove bisogna stare per l’altro”, ma anche a “dove ho bisogno di stare io”. Fa appello dunque alla necessità urgente di prendere una posizione netta rispetto cosa ognuno di noi può fare rispetto al diffuso processo di disumanizzazione in corso, come persone e come psicoanalisti.
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Bibliografia
FREUD S. (1915), Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, OSF, vol. 8.
FREUD S. (1932), Perché la guerra?, OSF, vol. 11, Bollati Boringhieri, Torino.
LEVI P. (1947), Se questo è un uomo, Einaudi, Torino.
RACAMIER J.-C. (1997), Una comunità di cura psicoterapeutica. Riflessioni a partire da un’esperienza di vent’anni. In FERRUTA A., FORESTI G., PEDRIALI E., VIGORELLI M. (a cura di), La comunità terapeutica. Tra mito e realtà, Raffaello Cortina, Milano, 1998.
SONTAG S. (2003), Regarding the Pain of Others, Farrar, Straus & Giroux, New York.
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