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Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana

 

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Introduzione. Fantasticare tradurre indovinare.

di Franca Munari

 

Gli elementi comuni alle riflessioni a più mani che abbiamo proposto a colleghi italiani e stranieri da cui prende le mosse questo KnotGarden si sviluppano a partire da queste due domande:

Che cosa nella teorizzazione di Melanie Klein reputiamo essere indispensabile nel nostro lavoro?

Che cosa di prezioso nella originalità del suo pensiero continua a stimolare la nostra riflessione clinica e teorica?

Questioni di vasta e complessa portata perché, come vedremo, inevitabilmente si vanno a articolare fra la teoria, la tecnica e il metodo.

La cura di questo insieme di testi, mi ha consentito di immergermi in alcune aree del pensiero di Melanie Klein espresso dalle differenti prospettive dei vari autori, approfondendo la fertilità delle sue idee “originali”, ma anche potendo riflettere su molte questioni inerenti la psicoanalisi in generale.  Ad esempio mi è venuto da chiedermi che relazione ci potrebbe essere fra il costituirsi per M. Klein del Super-io e il processo che permette il prodursi del masochismo erogeno. Infatti per M. Klein il Super-io si costituisce “dalla proiezione di una porzione della pulsione di morte in una parte scissa di sé che viene così a trovarsi in opposizione con il resto dell’Io, andando a costituire il nucleo di base del Super-io. Va ricordato tuttavia che con questa porzione della pulsione di morte viene deviata (proiettata) anche quella porzione della pulsione di vita che vi è commista e parti degli oggetti buoni e cattivi ad esse associati (Klein, 1958, 544).” (vedi infra Petrelli p.36) e la descrizione di questo processo mi pare in un certo senso utilizzare il vettore opposto all’interno dell’Io rispetto a quello che determina il prodursi del masochismo primario erogeno, cioè quella possibilità di legare alle origini quella quota di distruttività che non si scarica all’esterno attraverso la motricità sull’oggetto ma che rimane all’interno e viene legata dalla libido. Per Freud infatti dopo che la maggior parte del sadismo originario è stata portata all’esterno sugli oggetti all’interno dell’organismo permane, come suo residuo, il masochismo erogeno vero e proprio, che da un lato è diventato una componente della libido, e dall’altro continua ad assumere come oggetto lo stesso soggetto. (Freud, 1924). La questione potrebbe avere una grande rilevanza clinica, vuoi per la reciproca influenza di un processo sull’altro, vuoi per la possibilità del soggetto di tollerare, o viceversa esasperare, dilazioni, limitazioni e inibizioni del soddisfacimento. La questione richiederebbe evidentemente ancora un grande importo di lavoro e di riflessioni su questi argomenti.

In filigrana, questi lavori consentono di ripercorrere le molte e costanti connessioni del pensiero di M. Klein con l’opera freudiana nei suoi rilievi clinici, teorici e tecnici. Infatti essa è sempre, nel suo intero percorso, profondamente e consapevolmente freudiana, nelle sue posizioni sia teoriche, sia tecniche. Valga per tutti la sottolineatura tecnica, mai sufficientemente enfatizzata, a proposito dell’interpretazione del gioco del bambino, della imprescindibile necessità di considerarlo e trattarlo come il contenuto manifesto del sogno, quindi della indispensabilità per interpretarlo di utilizzare le associazioni del bambino sul gioco. Siamo in I principi psicologici dell’analisi infantile (1926), fino all’impostazione “reiteratamente” edipica della sua riflessione sull’Orestiade, uno dei suoi ultimi lavori del 1959, relativamente all’uccisione della madre e dell’amante di lei, lo zio, da parte di Oreste.

Queste sono evidenze importanti, ma alla fine la sua “assoluta” spontanea e inconsapevole aderenza a Freud credo risieda nella sua assunzione a metodo della basilare terna fantasticare tradurre indovinarephantasieren, ubersetzen, erraten – con cui Freud, in una lettera a Wilhelm Fliess scritta il 25 maggio 1895, indica il lavoro in cui era incessantemente impegnato in quel periodo, alle prese con la teoria del funzionamento psichico (Freud, 1887-1904, 155).

Ne è un esempio la genesi del brevissimo scritto su L’enfant et les sortilèges, l’opera di Ravel su libretto di Colette, all’interno del testo Situazioni d’angoscia infantile espresse in un’opera musicale e nel racconto di un impeto creativo (1929b). Melanie Klein non vide questa rappresentazione, ne lesse solamente la recensione della sua messa in scena berlinese – che portava il titolo di La parola magica – fatta da Eduard Jakob sul Berliner Tageblatt, dalla quale prese il contenuto dell’opera.

Questo le fu sufficiente per “fantasticare” e delineare con pochissimi tratti, in un particolarmente agile lavoro che presentò alla Società britannica di psicoanalisi il 15 maggio 1929, una situazione condizione del bambino, che rappresenta e raffigura con estrema chiarezza il momento dell’insorgere e del configurarsi dell’edipo e dà ragione delle componenti aggressive distruttive che inevitabilmente ne conseguono, così come le vicissitudini cui sono soggetti gli oggetti interni e le loro corrispondenti, complementari, proiezioni rappresentazioni all’esterno.

Tutto questo si complica incredibilmente in quel necessario processo che è il “tradurre” le azioni dei bambini, perché nel riprodurre simbolicamente nel gioco fantasie, desideri, esperienze, essi “si servono dello stesso linguaggio, della stessa forma di espressione arcaica e filogeneticamente acquisita che ci è ben nota dai sogni” (Klein, 1926, 156). Quindi come un sogno il gioco deve essere inteso e lavorato, non solamente nella sua dimensione simbolica, ma anche, soprattutto, come avevo anticipato sopra, attraverso le associazioni che il bambino produce e tenendo presente che in esso sono attivi gli stessi meccanismi che presiedono alla formazione e al lavoro del sogno. Ma nel “tradurre” con il bambino bisogna tenere conto anche del fatto che “oltre che di questa forma arcaica di rappresentazione i bambini si servono di un altro meccanismo primitivo; essi cioè sostituiscono alle parole le azioni (che sono originariamente gli antecedenti del pensiero)” (ibid., 157).

“Tradurre”, ma anche “indovinare” quindi. E, nel mentre, collaborare alla messa in forma e allo svolgersi del gioco, partecipare all’allestimento e poi interpretare adeguatamente il personaggio assegnato. “Giocare” il ruolo, agirlo.

“Quando i bambini mi chiedono di recitare parti scabrose o spiacevoli io assolvo ai loro desideri dicendo: “Faccio finta di fare così!” (Klein, 1929a, n.12, 237).

Introduzione protettiva, discriminante e definitoria: stiamo giocando, si tratta di una finzione, quello che accade, quindi, non è la realtà. Questo viene espresso tramite il linguaggio, definisce e delimita un interno ed un esterno al gioco, un setting nel setting quindi, una scena “rappresentata” nel senso teatrale del termine; e soprattutto discrimina il livello della fantasia da quello della realtà.

Ma anche l’analista ha la necessità di dirselo, innanzitutto per immettersi nella parte, nel personaggio, per affrontarne il fantasma dentro di sé, per sottrarsi al luogo psichico della fantasia, e del fantasma, che inevitabilmente condivide e immettersi nelle multiple e molteplici scelte dell’“interpretazione”. L’ambiguità della parola è voluta. Che cosa transiterà di lui nella performance, che cosa scoprirà, o gli sfuggirà, di sé, quali inibizioni o impossibilità incontrerà nel mettere in scena il fantasma? Più lavori, Hinshelwood, Ithier, Oliosi, di questo KnotGarden descrivono la posizione prudentemente guardinga di M Klein nei confronti del controtransfert.

La necessità di condividere l’azione espone agli antecedenti del pensiero, M. Klein ne era ben consapevole.

Nel lavoro che qui presenta Florence Guignard mette al primo posto delle sue “rilevanze” kleiniane la relazione d’oggetto parziale che definisce come:

la “modalità di funzionamento che per l’intero corso della vita sottende la relazione d’oggetto totale. Quest’ultima infatti, seppur consapevole ed educata, si sgretola rapidamente in caso di conflitto intrapsichico e/o in caso di disaccordo con l’altro, lasciando trapelare il teatro vivente della vita psichica, con il proliferare dei suoi personaggi. Questi ultimi sono oggetti parziali derivanti dalle nostre proiezioni identificatorie di aspetti percepiti, il più delle volte inconsciamente, nelle persone della nostra storia passata.” (vedi infra Guignard, p.45). 

Si tratta di un concetto che in modo fluido e complesso condensa molti punti di appoggio ai vari momenti della teorizzazione freudiana: la prima topica con le pulsioni parziali e l’oggetto della pulsione, la seconda topica, con le pulsioni di vita e le pulsioni di morte, che diverranno struttura della posizione schizo-paranoide, la centralità e necessità del conflitto, la ripetizione. Tutto questo può essere colto nel movimento del suo divenire, nella instabilità e provvisorietà del suo farsi continuo che nel corso dell’intera esistenza anima i personaggi del mondo interno e i potenti fantasmi del passato che ritornano, vuoi nelle forme dei fantasmi originari, vuoi nelle forme delle fantasie inconsce per come si sono connesse e hanno significato il corpo e i processi corporei di sé e dell’oggetto appunto nella relazione con esso.

La relazione d’oggetto parziale è quindi un’altra forma dell’applicazione di questo metodo del fantasticare tradurre indovinare nel procedere della riflessione di M. Klein come di una trama sull’ordito freudiano.

Altrettanto interessanti come frutto del medesimo metodo mi sembrano i palinsesti della fantasia inconscia, e della identificazione proiettiva o, e mi trovo ancora una volta in sintonia con Florence Guignard, della proiezione identificatoria come lei preferisce denominarla, che meglio rende il senso del processo. Qui l’immagine del palinsesto, che definiva una pergamena dalla quale era stata raschiata una precedente scrittura per riscrivere nuovamente su di essa, mi sembra adeguata, perché questi due processi hanno finito per sostituire la pulsione e la proiezione. O meglio, pur derivando da essi e senza alcun intento di eliminarli, sono diventati altro.

 

In questo KnotGarden i contributi sono stati suddivisi, con una certa difficoltà, in gruppi tematici ‘di prevalenza’, non solamente perché alcuni lavori apparterrebbero, almeno in parte, a diversi raggruppamenti, ma anche perché il contenitore stesso risulta parziale nella sua definizione, ad esempio “Le transizioni Freud Klein”, necessiterebbero di un prolungamento “Klein Freud” … 

 

Riflessioni longitudinali sul pensiero di Melanie Klein: Robert D. Hinshelwood, Diomira Petrelli, Florence Guignard

Concetti kleiniani: Camilla Pozzi, Béatrice Ithier

Le transizioni Freud Klein: Costanza La Scala, Patrizio Campanile, Caterina Olivotto

Ultima Klein: Mariagrazia Capitanio, Manuela Oliosi, Franca Munari

 

 

Bibliografia

 

Freud S. (1887-1904). Lettere a Wilhelm Fliess 1887-1904. Boringhieri, Torino, 1986.

Freud S. (1924). Il problema economico del masochismo. OSF, 11.

Klein M. (1926). I principi psicologici dell’analisi infantile. In Scritti 1921-1958, Torino, Boringhieri, 1978.

Klein M. (1929a). La personificazione nel gioco infantile. In Scritti 1921-1958, Torino, Boringhieri, 1978.

Klein M. (1929b). Situazioni d’angoscia infantile espresse in un’opera musicale e nel racconto di un impeto creativo. In Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino.

Klein M. (1958) Sullo sviluppo dell’attività psichica. In Scritti 1921-1958, Torino, Boringhieri, 1978.

Klein M. (1959). Alcune riflessioni sull’Orestiade. In Il nostro mondo adulto e altri saggi. Firenze, G. Martinelli & C., 1991.

 

Franca Munari, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

franca.munari.ls@gmail.com   

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