Teatro

Elettra di Sofocle

di Silvia Mondini

Titolo dello spettacolo teatrale: ” Elettra di Sofocle”

Dati: regia di Roberto Andò, 2025, 60. Stagione Teatro Greco di Siracusa, Fondazione INDA.

Genere: tragedia.

Ho assistito all’ultima replica di “Elettra di Sofocle” di Roberto Andò con un bagaglio già ricco di impressioni altrui, oscillanti tra entusiasmo e insofferenza. In entrambi i casi, l’attenzione convergeva sulla recitazione dell’attrice protagonista, Sonia Bergamasco: c’era chi ne esaltava l’intensità interpretativa e chi, al contrario, ne sottolineava l’eccesso espressivo.

A questi commenti si è aggiunta un’opportunità preziosa: ascoltare Sonia Bergamasco in un dialogo dedicato alle eroine tragiche dell’antica Grecia, promosso dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico. In quell’occasione, l’attrice ha posto l’accento sulla libertà espressiva concessale da Roberto Andò e sul piacere derivato dal sentirsi riconosciuta nelle sue proposte interpretative.

Tutti questi elementi mi hanno preparato a un’Elettra profondamente modellata dalla presenza viva dell’interprete, dal suo corpo, dalla sua voce, dalla sua sensibilità contemporanea. Un’Elettra che, come accade per ogni grande interpretazione classica, non può essere separata da una riflessione sul senso del mettere in scena, oggi, un testo di 2500 anni fa. Molte cose, certo, sono cambiate, ma le domande e i conflitti che agitano l’animo umano restano immutati: che si tratti dei limiti imposti dalla biologia, delle domande sul senso della vita e della morte, della felicità e della sofferenza, della giustizia e della vendetta, dell’equilibrio tra desiderio individuale e collettivo, non esiste mai una risposta definitiva. Ed è proprio in questa irrisolutezza che si manifesta l’origine e la potenza che anima la scrittura di questi testi: una rappresentazione privilegiata di quei moti inconsci che le difese tendono a mascherare.

Come Freud ha sottolineato (1907), compito della tragedia è svelare ciò che si vorrebbe tenere nascosto e consentire al contempo di piacere di osservarlo nella scena.

In questo spazio di permanente interrogazione si inserisce la regia di Andò, che punta al cuore incandescente del dramma: il conflitto tragico tra Elettra e Clitemnestra, sua madre. Un conflitto che, in apparenza, nasce dall’impossibilità per la figlia di perdonare l’uccisione del padre Agamennone, ma in realtà si configura tout-court come odio viscerale nei confronti della madre. Una madre forte, potente, che, pur ferita dalla perdita di Ifigenia — sacrificata da Agamennone — non ha mai rinunciato alla propria femminilità.

Andò indaga le profondità psichiche di un dramma che individua nella vendetta la giusta soluzione ma che in essa si consuma.

Questa Elettra può essere letta come una tragedia dell’ascolto: immersa nel proprio dolore, non ascolta nessuno e nessuno, realmente, ascolta lei. È prigioniera della propria invocazione, fanatica nella sua presunta purezza, estremista nella sua richiesta di giustizia. La sua parola non apre al dialogo, ma si riduce a ripetizione martellante. Nel rifiuto assoluto del femminile incarnato dalla madre — vista soltanto come nemica, mostro, assassina — si consuma il fallimento di ogni mediazione.

Elettra non cede di fronte alle spiegazioni di Clitemnestra: le motivazioni della madre non incrinano in alcun modo la sua determinazione, anzi, ne esasperano l’intransigenza. Lei, sola, ancora vergine, senza marito, senza altra identità che quella di figlia devota e sorella adorante, è intrappolata nel cuore di un conflitto edipico e in questa elezione amorosa si radicalizza sino a negare ogni altra relazione.

Elettra diviene allora figura dell’ostinazione assoluta nel rifiuto materno. Nessun dialogo è possibile. La parola non genera scambio, ma ripetizione. Il trauma non viene elaborato, ma solo fissato. Elettra non attraversa il complesso edipico: vi resta imprigionata. La sua fedeltà al padre è cieca, assoluta, cristallizzata. Nessuna trasformazione, solo identificazione mortifera.

In Lutto e melanconia (1917), Freud osserva che “l’ombra dell’oggetto cade sull’Io”. È ciò che accade in Elettra: la perdita del padre non viene elaborata, ma interiorizzata come fantasma identitario. L’Io si confonde con l’oggetto, diventando cassa di risonanza ossessiva.

In questo senso, Elettra diviene tragedia dell’ascolto mancato e dell’elaborazione fallita. Il palazzo di Micene, nella regia di Andò, diventa la scenografia claustrofobica di una mente ossessionata. Come scrive il regista: “Il palazzo è un edificio-natura morta […] a dimorarvi è una giovane donna lacera, ossessionata dall’idea della vendetta […]. La sua unica consolazione è la musica” (Andó, 2025, p.19). Una musica interiore, solitaria, che non redime ma accompagna: come una melodia malinconica che non risolve, ma custodisce la perdita, il lamento di sé.

Sonia Bergamasco incarna questa figura con una forza interpretativa che sfida la misura. La sua Elettra è tesa, vibrante, a tratti febbrile. Non teme l’eccesso, anzi, lo ricerca, perché solo attraverso l’eccesso è possibile rendere visibile l’insostenibile. La sua voce spezza, si alza e poi ricade, come l’onda di un dolore incessante.

L’unico gesto che, forse, lascia affiorare una dimensione altra è suonare il pianoforte accompagnando così il proprio lamento.


“Noi che la mettiamo in scena ipotizziamo che la sua unica consolazione sia la musica. Elettra suona il piano e lascia che la sua pena si sciolga nelle note, che nel suono si raccolga l’ombra della sua anima infelice” (Andò, ibid.).

E quando, a vendetta compiuta, Elettra si rannicchia sul pianoforte in posizione fetale, sembra tentare un ritorno all’origine, come se riconoscesse di non essere riuscita a diventare altro, a nascere come donna. E forse, proprio in quel gesto, la tragedia si compie davvero, poiché l’uccisione dell’oggetto odiato coincide con lo svanire di Elettra.

In questa luce, Elettra risulta una figura tragica e profondamente contemporanea: incarnazione di un’identità al limite, segnata da una ferita precoce che incrina irrimediabilmente l’alleanza madre-figlia. La sua rabbia incandescente, che non si placa neppure nel compimento della vendetta, sembra affondare le radici in una rottura originaria, forse proprio nel sacrificio di Ifigenia, evento traumatico che interrompe il continuum del legame primario. Come se, da quel momento, qualcosa nella madre avesse ceduto: il suo desiderio, la sua funzione di rispecchiamento, la sua capacità di sostenere la figlia nella sua crescita. E questo vuoto che non si colma sembra diventare urgenza distruttiva.

In questo quadro, la “triangolazione precoce” — teorizzata da Ruprecht-Schampera (1995) — quel passaggio prematuro al triangolo edipico senza un’anteriorità materna sufficientemente strutturante, getta ulteriore luce sulla fissità temporale e affettiva che governa il destino di Elettra fossilizzandola in un’idealizzazione del padre che copre il registro fusionale e vendicativo.

Così Elettra, più che figlia di un mito antico, ci appare come sorella inquieta delle soggettività contemporanee: abitate da un’assenza che non si lascia dire, inchiodate a un dolore che non si trasforma in parola. Il suo odio non è che una forma estrema di fedeltà a un legame spezzato troppo presto, a un nutrimento venuto meno, a un volto materno che troppo presto ha smesso di rifletterla, di ascoltarla, di desiderarne la crescita. In questo tempo congelato in cui Elettra vive, la triangolazione non ha mai potuto compiersi davvero: è rimasta sogno interrotto, gesto mancato, eco inascoltata, lamento. Lamento che si dissolve insieme a lei, rannicchiata in posizione fetale, fusa con il suo unico oggetto di consolazione. Il pianoforte.

(foto Elettra sul Pianoforte)

Bibliografia

Andò R. (2025). In Elettra. Ed. INDA.

Freud S. (1907). Il poeta e la fantasia. O.S.F., 5.

Freud S. (1915 -1917). Lutto e melanconia. O.S.F, 8.

Ruprecht-Shampera U. (1995). Il concetto di “triangolazione precoce” come chiave per un modello unificato dell’isteria. In Perché l’isteria? Attualità di una malattia ontologica. In F. Scalzone e G. Zontini, (a cura di), Napoli, Liguori, 1999.

 

Silvia Mondini, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

silvia.mondini36@gmail.com

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