Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
KnotGarden 2025/2 “A partire da: Il problema del masochismo, Freud 1924”
di Patrizia Paiola
(Padova) Membro Ordinario con Funzioni di Training della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Veneto di Psicoanalisi.
* Si tratta del testo di M. Aisenstein dal titolo Désir, douleur, pensée. Masochisme originaire et théorie psychanalytique. 2020, ed. Ithaque, Paris.
Marilia Aisenstein † Filosofa di formazione e psicoanalista di training della Società ellenica di psicoanalisi e della Société psychanalytique de Paris, di cui è stata Presidente. Segretaria del CPLF, ha ricevuto il Premio Bouvet nel 1992.
*Per citare questo articolo:
Paiola P. (2025), Desiderio, dolore, pensiero. Una rivisitazione ombelicale dell’enigma del dolore (riflessione sul testo di Marilia Aisenstein) Rivista Knotgarden 2025/2, Centro veneto di Psicoanalisi, pp. 162-172.
Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.
Vorrei avviare questa mia riflessione e recensione del libro di M. Aisenstein sul tema del masochismo originario utilizzando l’aneddoto che l’autrice riporta nell’introduzione al suo testo. Dopo essersi chiesta perché ci si appassioni di più ad un certo argomento psicoanalitico piuttosto che ad un altro, ella ci rimanda ad un suo ricordo personale.
Un giorno, durante un intervallo lavorativo, mentre pranzava insieme a Benno Rosenberg, colse l’occasione per chiedergli quale fosse l’origine del suo interesse per il masochismo. Egli le raccontò che suo padre, professore e capo della Medicina Interna a Bucarest, durante l’avvento del nazismo e a causa delle leggi antisemite, fu esiliato a fare il medico di un piccolo paese di campagna. Ma i paesani e le paesane nutrivano per lui una sorta di diffidenza.
Una di queste un giorno gliene spiegò il motivo: “il vecchio medico (che lo aveva preceduto) faceva loro male…. Tutte le cure che somministrava erano dolorose, e dunque dovevano fare bene…” Queste donne non potevano ora aver fiducia in un medico le cui cure erano indolori…
Questo è paradigmatico di un fantasma inconscio, osserva l’autrice, per cui la sofferenza è un prezzo da pagare, una sorta di “redenzione” da un “peccato originale”. In realtà il masochismo, per l’autrice, “è custode della vita” e “intricatore pulsionale”, proprio come per Benno Rosenberg. Senza di esso -afferma – noi ci suicideremmo al primo dispiacere. Il masochismo, invece, “ci permette di sopportare e sperare… anche in situazioni tragiche”, permettendoci di continuare a vivere. Sottolinea anche che a livello clinico non si deve cadere in un facile inganno: la ricerca della sofferenza masochistica non è dovuta a un eccesso di masochismo. In realtà queste persone soffrono di una mancanza di masochismo erogeno primario.
Sappiamo che per Freud il masochismo erogeno primario è alla base degli altri due (femminile, morale), le cui condotte e sintomi sono un epifenomeno del fallimento del masochismo erogeno primario – descritto da Freud nel 1924 – che ha il compito vitale di legare le pulsioni (intricazione/impasto pulsionale): per questo esso sarà garante della sopravvivenza, nonché della “resilienza” necessaria alla vita. Tuttavia, nota ancora Aisenstein, a livello teorico il suo “doloroso” riconoscimento avvenne per Freud circa vent’anni dopo il suo primo approccio descrittivo che ritroviamo nei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905-1915), passando naturalmente per la svolta del 1920 e la formulazione del nuovo dualismo pulsionale (Eros e Pulsione di morte).
Ma, per meglio entrare nelle atmosfere del testo Desiderio, dolore, pensiero che ripercorre queste evoluzioni storiche e teorico-cliniche, occorre seguire l’invito di Jean-Claude Rolland. Si tratta, più che altro, di un accorato auspicio espresso nella sua prefazione: “occorre lasciarsi passivamente impregnare dal pensiero di Marilia Aisenstein” (corsivo mio). Sarà presto evidente che questo non è un semplice suggerimento giacché ci avvia a un metodo di lettura consono al testo e ai suoi argomenti. Infatti, esso prevede, come in analisi, un lavoro “non di solo pensiero”, ma di tutto l’essere dello psicoanalista nel suo insieme. Occorre dunque affidarsi ad una lettura “fluttuante”, perché rappresenta il mezzo più consono per raggiungere nuove profondità e nuove emergenze, così come avviene nella cura analitica. Infatti, l’autrice ci pone in contatto con il suo modo di ascoltare il paziente, “ascoltandosi nell’ascoltare l’altro”, offrendo la possibilità di una riflessione attenta e profonda sul significato di quella che per lei è la solidarietà organica tra transfert e controtransfert e sulla necessità di riconoscerne l’effetto nel trattamento analitico, facendone uno strumento fondamentale per la comprensione del paziente.
In questo modo Aisenstein non esita a fare del masochismo originario “l’ombelico della teoria psicoanalitica”, a partire dall’apporto freudiano del 1924, laddove il padre della psicoanalisi si chiede come sia possibile che il dolore sia fonte di piacere, o peggio che la sua ricerca possa giungere a governare la vita psichica: nodo enigmatico che mette in crisi la formulazione teorica precedente. E dunque, in casi del genere, occorre nuovamente chiedersi “che ne è del principio di piacere?” Queste per l’autrice sono le domande cruciali che restano tali anche oggi e che la portano ad ipotizzare l’esistenza di un nucleo masochistico dell’Io (p.18) fondato sul masochismo erogeno primario, testimone della “lega” tra le pulsioni di vita e di morte.
Il testo segue un percorso storico abilmente tracciato attraverso cui è possibile cogliere lo sviluppo del concetto di masochismo, così come la sua autentica passione per questo argomento, configurandosi come una sorta di unicum nel panorama psicoanalitico, afferma Rolland. Vediamo infatti che ogni capitolo rimanda, nel tempo, a quelli che sono stati i suoi principali apporti su questo tema. E, proprio seguendo questo fil rouge, siamo condotti ad un singolare approdo finale: il “Dialogo Immaginario tra Benno Rosenberg e Michel Fain” sull’argomento che le sta più a cuore: il masochismo erogeno primario. Infatti, come ricorda, i suoi interlocutori sono (e sono stati) innanzitutto questi due autori, con i quali tra l’altro ha condiviso il lavoro teorico-clinico di anni.
Ricorda come Freud ad un certo punto dovrà accettare che il masochismo (come fatto clinico) metta in scacco la sua concezione economica del principio di piacere e perciò dovrà “riabilitare” l’eccitamento, accettando che la tensione che esso genera, benché dolorosa, possa produrre anche piacere. Da qui decolla l’idea che nel masochismo questo possa diventare il modello stesso per il piacere.
I passaggi attraverso l’enigma del dolore, che coinvolge il corpo ed il suo investimento narcisistico, e la nascita del desiderio col lavoro psichico necessario che ne permette lo sviluppo a partire dal bisogno e dall’iscrizione della traccia mnestica del suo soddisfacimento, saranno transiti che l’autrice svilupperà in capitoli ad essi dedicati. Ma, ella si sofferma anche a considerare che alcuni pazienti (in particolare borderline, psicosomatici o con pensiero “operatorio”), organizzino la loro vita psichica “contro il desiderio”, difendendosi altresì anche dall’oggetto.
“Il transfert implica un oggetto e un soggetto desideranti”, afferma (p. 41) e ricorda come il desiderio sia per sua essenza “masochistico”, poiché implica l’attesa e la messa in latenza dell’azione, comportando necessariamente il lavoro psichico.
Un capitolo a sé è dedicato alla questione di quello che Aisenstein chiama masochismo “al” femminile, anziché masochismo femminile, già descritto da Freud. E sceglie come esempio “la fatica”, che appare nelle donne come una “compagna di tutti i giorni” che, osserva, non può essere considerata separata dal masochismo erogeno primario nella sua valenza di “custode della vita” (B. Rosenberg, 2003). “Fatica” che permette di mantenere l’investimento sulla vita anche quando per diverse contingenze può diventare insopportabile.
L’autrice propone in modo originale di pensare che l’anatomia, ma anche il divenire complesso dell’edipo femminile, portino ad un maggior investimento dell’erotizzazione della tensione dell’eccitamento, mentre nel maschio viene investita maggiormente la scarica. Per questo motivo l’investimento della tensione dolorosa (di cui la fatica è una componente) è più facile o comune nelle femmine. Ciò la porta ad alcune buone intuizioni relative alle “nuove patologie di tensione dolorosa”, tipo la fibromialgia, collegate a disfunzionamenti dei sistemi inibitori del dolore che intervengono spesso in prossimità di un evento traumatico demarcatore di un cambiamento di vita (p. 47). Osserva che si tratta di soggetti, frequentemente donne, con iperattività e difese di comportamento che investono la motricità attraverso un eccesso di tensione, e che chiamano in gioco un “Io ideale feroce e insoddisfatto” le cui richieste di fare ogni giorno di più sono inesauribili. Molto spesso, come osservato da M. Papageorgiou (2003), citata nel testo, durante l’infanzia queste bambine hanno avuto una funzione terapeutica nei confronti delle loro madri, essendosi occupate della loro sofferenza. Si sarebbero dunque sentite responsabili dell’integrità psico-fisica della madre, la quale avrebbe così esercitato su di loro un eccesso di presenza psichica e di volontà di emprise.
Richiama poi, sulla stessa linea, i cosiddetti “disturbi del riposo” per impossibilità di rilassamento, facendo rifermento agli studi di P. Marty, che aveva approfondito le relazioni d’oggetto precoci fissate ad investimenti ancorati alla sfera sensomotoria in funzione della risposta materna e della sua capacità di assicurare l’integrazione pulsionale somatopsichica del bambino. Aspetti fondamentali, osserva, nell’assicurare appoggio e orientamento fantasmatico agli eccitamenti. Ci sono infatti madri che non possono “mollare la presa” sul corpo del bebè in mancanza di una sufficiente rêverie, quando la loro ansietà e il loro narcisismo impediscono il soddisfacimento del bambino. E ciò non permette “lo sbocciare del gioco e del sogno”. Aggiungerei che in tali casi viene a mancare quello spazio potenziale che consente una separazione non traumatica in cui l’impossessamento (emprise) “viene giocata” altrimenti e si sposta dal corpo, ovvero dai corpi di madre e bambino, agli oggetti dell’area transizionale. Viene anche sottolineato come “l’impossibilità di riposo”, in entrambi i sessi, denunci “una impossibilità di regressione e un contro-investimento forsennato di tutte le passività…”.
Così, molto spesso, le femmine affette da questi disturbi sono bloccate in una sorta di “coazione a riparare” che le obbliga ad essere “più performanti di un uomo virile, che del resto hanno a modello”, diventando “figlie ideali di una madre rotta” che continua a chiedere riparazione (p. 50).
Nel testo viene ricordato l’apporto fondamentale di M. Fain che, a riguardo della separazione dalla madre, parla della necessità di fornire al bambino un “ritmo alternante” di investimento e disinvestimento “affinché il sonno, custode del soma, possa stabilirsi, con il suo corollario del sogno custode del sonno”. Questa qualità materna è legata alla “censura dell’amante” (Braunschweig e Fain, 1975) che mette in gioco la “discontinuità tra la libido materna e la libido femminile della madre amante in grado di disinvestire il bebè per ritrovare l’intimità erotica con il suo compagno. Quando tutto va bene “la censura dell’amante rinforza le mire narcisistiche della funzione materna descritta da Marty”, afferma Aisenstein (p. 48).
La questione del narcisismo, e della sua costruzione, viene ripresa in seguito, sottolineando come “narcisismo primario e masochismo primario coesistano all’inizio della vita e siano indistinguibili”, essendo la parte libidica al cuore dell’impasto pulsionale corrispondente al narcisismo primario. Ecco dunque emergere l’aspetto ombelicale di questa teorizzazione. Quello che Rosenberg chiama “nucleo masochistico erogeno primario dell’Io” è infatti l’impasto primario della libido con la pulsione di morte nella costituzione dell’Io.
Per l’autrice, questo risulta cruciale nella clinica psicosomatica e va a ricollegarsi con la teorizzazione del “narcisismo negativo o di morte” di Green che prende il posto del “narcisismo positivo”, cemento dell’Io. Propone conseguentemente di considerare i fallimenti del narcisismo in funzione della messa in scacco del lavoro di intricazione pulsionale attraverso il masochismo erogeno primario, evocando un gradiente Narcisismo/Masochismo (N/M).
Infine, riprendendo Freud (1890) la cui teorizzazione è fondata sulle origini somatiche del pensiero, con il passaggio dal registro sensoriale a quello affettivo e dal bisogno al desiderio, si giunge a riaffermare il “pensiero come atto di carne”. A questo proposito – ribadisce – il lavoro della madre è fondamentale nel far accettare al bambino l’attesa che implica il lavoro psichico del pensiero, ma quest’ultimo sarebbe incomprensibile senza il collegamento con il masochismo erogeno primario che consente il legame tra pulsioni contraddittorie nell’Io. Laddove Ronsenberg parla della “madre intricatrice”, Aisenstein preferirà la locuzione “madre creatrice del lavoro di intricazione” (p. 63), ponendo l’accento sulla questione del pensiero come creazione materna “in divenire” di un lavoro che porterà il bambino ad accettare un’attesa spiacevole in funzione di un piacere che verrà, avviando il lavoro psichico e il pensiero necessari. Ma, avverte l’autrice, non dobbiamo confondere pensiero e funzionamento psichico: se abbiamo bisogno di rappresentazioni per pensare, il pensiero non si esaurisce in esse.
Il pensiero ha bisogno di un soggetto che pensa e di un oggetto (interno) investito che gli rimandi tale “investitura” (p. 70) (cfr. struttura inquadrante della madre in Green).
Tutto ciò conduce ad affrontare il tema della funzione del linguaggio e della parola analitica, dove il flusso delle libere associazioni “segna il ritorno della pulsione” e di una parola anch’essa atto di carne. Nascita e distruzione del pensiero vengono intese all’interno della dinamica legamento-slegamento che conduce al cuore del problema del “senso”.
Laddove legare gli elementi porta a creare un senso, slegarli significa annientare il senso, avviando così i processi di disoggettualizzazione e desoggettivazione, descritti da Green.
A questo riguardo richiama i lavori sugli stati operatori, descritti dalla Scuola Psicosomatica di Parigi, affermando che la “dementalizzazione” potrebbe essere intesa come una strategia anti-traumatica sotto il segno della sopravvivenza. E afferma che quando rimozione e negazione non sono più efficienti, si ricorre alla scissione, ipotizzando una forma di clivage che non avviene più tra sistemi psichici diversi, ma che si riversa contro le percezioni, anche endosomatiche (pp. 76-7). Ciò apre alla comprensione della “clinica del conformismo”, nei suoi aspetti disumanizzanti (cit. H. Arendt). Aisenstein riconosce nella scissione precoce dell’Io un organizzatore del diniego sul quale si baserà la sottomissione all’autorità, la perdita della capacità di pensare in termini soggettivi ed una dementalizzazione conformista o meglio una sottomissione dementalizzante, per incapacità del soggetto a legare gli eccitamenti (M. Fain, 1991), che viene collegata anche al “falso sé” di Winnicott, inteso come sottomissione precoce di sopravvivenza (pp. 91-2).
Per concludere, Aisenstein mette in rilievo come alcune esperienze precoci nel bambino abbiano la tendenza ad essere anestetizzate e non vissute, dando luogo a “inesorabili ripetizioni che generano un dolore opaco” in quanto “vuoto di oggetto e quindi di senso.”
Il lavoro psichico ha lo scopo di “risvegliare questo dolore” e portare il soggetto a “riviverlo” per farne una “sorgente viva di rappresentazioni” (p. 93), ricreando il terreno per una intricazione/impasto pulsionale e un’integrazione nell’Io “garanti di vita”.
Bibliografia
Aisenstein M. (2020). Désir, douleur, pensée. Masochisme originaire et théorie psychanalytique, Éd. Ithaque, Paris.
Braunschweig D. e Fain M. (1975). I ritmi della vita mentale, Roma, Borla, 1983.
Fain M. (1991). “Préambule à une étude métapsychologique de la vie opératoire”, Rev. Fr. Psychosom., 1/1, 59-80.
Ferenczi S. (1926). “Il problema dell’affermazione del dispiacere”. In Opere. Volume Terzo 1919-1926, Milano, Cortina, 1992.
Ferenczi S. (1932). “L’accettazione del dispiacere”. In Diario clinico, Milano, Cortina, 1988.
Ferenczi S. (2018). Réflexions sur le masochisme, Paris, Payot.
Freud S. (1890). Trattamento psichico (trattamento dell’anima), O.S.F., 1.
Freud S. (1924). Il problema economico del masochismo, O.S.F., 10.
Freud S. (1905). Tre saggi sulla teoria sessuale, O.S.F., 4.
Papageorgiou M. (2003). “L’insoutenable légèreté du corps de la mère”, Rev. Fr. Psychanal., 2/24, 127-144.
Rolland J.-Cl. (2020). “Un mode d’emploi”, in Aisenstein M., Désir, douleur, pensée. Masochisme originaire et théorie psychanalytique, Paris, Éd. Ithaque, 2020.
Rosenberg B. (2003). Masochismo mortifero e masochismo custode della vita, Roma, Alpes, 2022.
*Per citare questo articolo:
Paiola P. (2025), Desiderio, dolore, pensiero. Una rivisitazione ombelicale dell’enigma del dolore (riflessione sul testo di Marilia Aisenstein) Rivista Knotgarden 2025/2, Centro veneto di Psicoanalisi, pp. 162-172.
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