Dalla psiche al soma e ritorno: alcune considerazioni sull’enigmatico intreccio tra masochismo e corpo

di Caterina Olivotto

(Padova), Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana. Presidentessa del Centro veneto di Psicoanalisi (2025-2029).

*Per citare questo articolo:

Olivotto C. (2025), Dalla psiche al soma e ritorno: alcune considerazioni sull’enigmatico intreccio tra masochismo e corpo. Rivista KnotGarden 2025/2, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 93-111

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Fino al 1920 il masochismo era un’altra via

di soddisfacimento libidico tra le tante,

poi è divenuto essenzialmente il mezzo

di non-soddisfacimento della pulsione di morte.

(Benno Rosenberg, 1963-1964)

L’idea che ha ispirato questo mio lavoro si dirama in due direzioni che si intrecciano poi una con l’altra. Nella prima, seguendo il pensiero di Benno Rosenberg nel suo approfondimento del masochismo erogeno primario e l’ipotesi sul processo di depulsionalizzazione che sta per lui alla base della somatizzazione, vorrei riflettere su quanto può succedere dal punto di vista delle pulsioni e alle pulsioni stesse nel momento in cui la via del corpo diventa una scelta obbligata[1]. Esso viene così chiamato a concretizzare il dolore e l’angoscia che la psiche non può esprimere, che non può rappresentarsi dando ad essi senso e parola[2].

La seconda invece mi porterà a soffermarmi, in altro modo e attraverso il breve romanzo di Daniel Pennac La lunga notte del dottor Galvan, su come il corpo possa a volte essere teatro di una coazione a ripetere sadico masochistica espressione di un masochismo mortifero che evidenzia un disequilibrio nel masochismo erogeno primario.

 

Qualche accenno al masochismo erogeno primario

Ci muoveremo all’interno della seconda teoria delle pulsioni che prende il via quando Freud, in Al di là del principio di piacere (1920), si accorge che il modello della prima teoria delle pulsioni basato sul principio piacere-dispiacere e sulla scarica per allentare la tensione non era più sufficiente a spiegare i nuovi interrogativi che egli si poneva anche a partire dalla clinica. Egli propone quindi una nuova ipotesi basata su un dualismo pulsionale che chiama in causa un conflitto più elementare del principio di piacere e cioè il conflitto tra la pulsione di vita – che chiamerà Eros – e la pulsione di morte – Thanatos. Quest’ultima, che tenderebbe a riportare ogni essere vivente allo stato iniziale inorganico e quindi alla morte intesa come quiete e annullamento di qualsiasi tensione, viene intercettata e ostacolata dalla pulsione di vita per salvaguardare la sopravvivenza e permettere il proseguire della vita stessa.

Successivamente ne L’Io e l’Es (1922) Freud ipotizza, cercando di precisare la relazione tra le due pulsioni e appoggiandosi alla biologia, una intricazione, e quindi anche una possibile disintricazione tra le due; “in ogni parte di sostanza vivente sarebbero attive le due specie di pulsioni” (503) secondo un impasto di proporzioni variabili a seconda che prevalga Eros oppure Thanatos. A questo punto, Freud non ha ancora chiaro come avvenga questa intricazione, ma gli appare evidente che la spinta di Eros a legare e ad unire in unità sempre più grandi permette di neutralizzare Thanatos. È come conseguenza di questo legamento che la pulsione di morte si manifesterà, in maniera parziale, sotto forma di pulsione di distruzione rivolta verso l’esterno.

Come avviene allora questa intricazione pulsionale, cosa c’è alla base di questo impasto che è indispensabile al funzionamento psichico e che forma prende?

Arriviamo così al masochismo erogeno primario (Freud, 1924), primo impasto pulsionale, che viene descritto come il momento in cui l’Io prende forma e ne diventa condizione per la sua strutturazione. In questo vediamo un aspetto molto importante e fondamentale dello sviluppo della teoria freudiana dopo il 1920 perché, se da una parte Freud inserisce il masochismo erogeno primario nelle varie forme di masochismo insieme al masochismo femmineo e al masochismo morale, dall’altra, e ancor più questo viene messo in evidenza successivamente da Rosenberg, esso guadagna immediatamente un posto privilegiato; esso non è soltanto il terreno da cui gli altri masochismi (secondari) si sviluppano, ma è la base della vita psichica stessa, è il momento costitutivo dell’Io. Il masochismo erogeno primario diventa così elemento imprescindibile per la comprensione di qualsiasi aspetto del funzionamento psichico. Attraverso l’erotizzazione della distruttività ad opera della pulsione di vita che la imbriglia, esso permette all’Io primario di trattenere una parte della pulsione di morte e di usarla per difendersi dalla pulsione di morte stessa che, in primis, attacca l’Io dall’interno. È quindi per effetto di questo legamento che il masochismo si ritrova ad essere al servizio della pulsione di vita. Più semplicemente il masochismo erogeno primario è ciò che ci permette di sopportare il dispiacere, di sostarci mentre l’elaborazione psichica fa il suo corso e ci aiuta a tollerare la tensione dell’attesa dipingendola anche con tinte di piacere.

L’importante intuizione di Freud, il cui abbozzo si trova già nei Tre Saggi (1905), sta in questa combinazione tra piacere e dispiacere e che, in un certo senso e alla luce della seconda teoria delle pulsioni, cambia anche il senso del principio di piacere[3] che altrimenti tenderebbe immediatamente alla scarica per alleviare la tensione generata dall’eccitamento fino alla realizzazione della quiete assoluta, di quel principio di Nirvana che coincide con la morte stessa. Per impedire questo, una dose della pulsione di morte deve essere trattenuta all’interno dell’Io in modo che non venga totalmente proiettata all’esterno. Questa, dunque, “permane nell’organismo e con l’aiuto dell’eccitamento sessuale concomitante viene libidicamente legata. In questa parte dobbiamo riconoscere il masochismo originario erogeno” (Freud, 1924, 10). L’eccitamento cessa di essere soltanto una tensione dolorosa che deve essere immediatamente eliminata per garantire il mantenimento dell’Io piacere purificato (Freud, 1911). Il piacere dell’eccitamento può essere così giustificato ed anche l’attesa del soddisfacimento che protrae e amplifica l’eccitamento stesso. Entra così in gioco il tempo e con esso il ritmo: il masochismo erogeno primario apre quindi agli aspetti qualitativi che si aggiungono e accompagnano il modello quantitativo.

 

E arriviamo a Rosenberg (1991), per il quale il masochismo erogeno originario non solo è fondante lo psichismo, ma basilare nel suo pensiero teorico; egli ne estende la funzione e lo identifica come la difesa che lo psichismo mette in atto contro la pulsione di morte. A suo avviso, è la prima difesa. Seconda in ordine di tempo, la proiezione all’esterno della pulsione di morte è possibile soltanto a condizione che la libido l’abbia già in precedenza legata, cioè a condizione che esista già un masochismo erogeno primario. Ogni altra intricazione pulsionale proviene da questa ed è il masochismo erogeno originario che, a ben vedere, apre la via allo sviluppo delle relazioni oggettuali perché l’oggetto diventa sia il destinatario sia il contenitore delle pulsioni che in esso vengono proiettate. È questo il masochismo oggettuale.

Per questo autore, ogni malattia – di qualsiasi genere essa sia – è, in ultima analisi, causata dalla pulsione di morte e ogni difesa parte e si rifà al masochismo erogeno primario.

La sua importanza nasce dal fatto che esso fornisce una cornice all’attività delle due pulsioni sia che si tratti della loro opposizione sia della loro intricazione. Il masochismo non può esistere se non viene nutrito pulsionalmente nello stesso tempo sia da Eros che da Thanatos. È al suo interno che è possibile una erotizzazione, cioè una libidinizzazione della distruttività. In altre parole, è proprio lì che l’istinto di morte diventa pulsione di morte e può quindi essere legata. Esso ci appare come il campo in cui le due pulsioni fondamentali si incontrano, lo spazio-tempo-luogo in cui diventa possibile sia l’opposizione che l’intricazione tra le due.

Se da una parte per Freud, il legamento o impasto pulsionale avviene a livello organico, dall’altra esso è al tempo stesso il primo abbozzo di vita psichica. L’impasto pulsionale primario, o masochismo erogeno primario, è quindi l’anello di congiunzione tra l’organico e lo psichico, proprio perché la pulsione stessa è un concetto al limite tra il somatico e lo psichico “(essa) ci appare […] come il rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall’interno del corpo e pervengono alla psiche, come una misura delle operazioni che vengono richieste alla sfera psichica in forza della sua connessione con quella corporea” (Freud, 1915, 17). Viene quindi richiesto un importante lavoro di metamorfosi che consiste nella trasformazione degli stimoli somatici nei loro rappresentanti psichici. “La pulsione, non è soltanto un concetto economico ma anche qualitativo. Essa nasce nel corpo come energia somatica e arriva alla psiche come desiderio legandosi a delle rappresentazioni. Non c’è libido senza rappresentazione o quantomeno senza nesso tra eccitazione somatica e significazione erotica” (Conrotto, 2000, 38).

Disintricazione pulsionale e processo di somatizzazione

Quale è allora il processo che porta lo psichismo a percorrere la via del corpo? Che cosa spinge la psiche ad abbandonare la sua capacità di esprimersi attraverso rappresentazioni optando per un linguaggio che concretamente parla con il corpo?

Torniamo allora a Benno Rosenberg che, partendo dalla distinzione tra l’istinto – fonte somatica dell’eccitazione – e la pulsione – rappresentante psichico delle eccitazioni somatiche – propone l’ipotesi di una depulsionalizzazione della pulsione attraverso la quale, per via regressiva, la pulsione torna ad essere istinto o eccitazione somatica. “Abbiamo già dimostrato che essa (la continuità/discontinuità tra psiche e soma) dipende dalla intricazione pulsionale primaria. Ciò che aggiungiamo qui è che essa, contemporaneamente alla costituzione dello psichismo, trasforma gli istinti in pulsioni” (Rosenberg, 1998, 1682. Traduzione mia).

La somatizzazione sarebbe quindi il risultato di questo processo di depulsionalizzazione che coinvolge in maniera specifica la pulsione di morte trasformandola in istinto di morte attivo nel corpo. Il somatico è regolato dall’ordine dell’eccitazione, mentre lo psichico dall’ordine delle pulsioni. Questa idea di un processo di depulsionalizzazione corrisponde esattamente a ciò che P. Marty (1980, 1990) chiama movimento di disorganizzazione e a ciò che A. Green (1983) definisce processo di desoggettualizzazione[5].

Secondo Rosenberg il processo che porta allo sviluppo di una somatizzazione viene attivato da un problema di ordine pulsionale “… pensiamo si tratti di una disintricazione pulsionale che minaccia l’Io, insieme a una incapacità della pulsione di vita (libido narcisistica) di legare all’interno dell’Io la pulsione di morte, più esattamente un quantum importante di pulsione di morte” (Rosenberg, 1998, 1683. Traduzione mia).

Quando questo si verifica l’Io si trova a scegliere la soluzione somatica attraverso la quale conserva una certa integrità psichica sacrificando però il corpo.

Per Rosenberg – e qui procede per alcuni aspetti in parallelo alla scuola francese di psicosomatica – il processo di somatizzazione necessita quindi di due tempi successivi:

  • il primo tempo è quello del disimpasto pulsionale che, restando all’interno del funzionamento psichico, avvia la depulsionalizzazione della pulsione di morte trasformandola in istinto di morte che minaccia l’Io nella sua unità e nella sua organizzazione. L’angoscia che vediamo nei nostri pazienti è l’espressione di questo disimpasto che, per la sua forza e intensità, ha una qualità traumatica.
  • il secondo tempo è quello della somatizzazione; siamo ormai al di là delle frontiere dello psichico, siamo concretamente nel corpo. A livello psichico, l’angoscia pian piano scompare lasciando il posto ad una forma di depressione.

La scomparsa dell’angoscia diventa possibile perché il processo di depulsionalizzazione è arrivato a compimento. Nel momento in cui il quantum di pulsione di morte si è trasformato in istinto di morte di qualità esclusivamente somatica, una sorta di impasto pulsionale si ristabilisce e l’Io non è più minacciato perché ormai l’istinto di morte agisce nel corpo.

È nel momento in cui la capacità dell’Io di sopportare lo stato di disintricazione pulsionale raggiunge il suo limite, che la soluzione somatica diventa necessaria e inevitabile. L’Io cerca di difendersi trasferendo e richiamando a sé quantità di libido per attenuare la minaccia di una pulsione di morte ormai slegata. Per questa ragione gli investimenti vengono ritirati dagli oggetti – e quando l’investimento è prevalentemente narcisistico questo genera la condizione melanconica – per essere riportati sull’Io e aumentare così la parte di libido narcisistica nel masochismo erogeno primario. La causa di questo “… è l’insufficienza del nodo del masochismo primario dell’Io che dona senso al richiamo della libido oggettuale e alla sua trasformazione in libido narcisistica che cerca di ri-legare la pulsione di morte e così difendere l’organizzazione dell’Io” (Rosenberg, 1998, 1691. Traduzione mia).

Se lo sforzo dell’Io per impedire questa disintricazione ha successo e avviene un rinforzo del masochismo erogeno, si resta all’interno del funzionamento psichico; in caso contrario, la soluzione somatica diventa allora inevitabile[6].

 

Dalla mente al corpo, dal corpo alla mente

Dario inizia l’analisi a 8 anni dopo che è emerso e accertato un abuso. Nel corso del lavoro con lui per molto tempo l’evento traumatico sarà molto difficile da avvicinare e a lungo resterà come celato, avvolto nell’ombra. Sembra esserci qualcosa che spinge per trovare una via di espressione, ma la strada è sbarrata e quando comincia ad emergere l’impatto è traumatico; pian piano nelle sedute ci troviamo ad affrontare momenti di un’angoscia crescente, fluttuante nella quale siamo immersi e che si manifesta con giochi frenetici colmi di continui passaggi da una attività all’altra, senza storia, senza connessioni di senso, qualsiasi pensiero è bloccato … poi, come improvvisamente appare un malessere nel corpo. Questi sintomi, che nonostante i numerosi accertamenti non sembrano avere alcuna origine organica nonostante producano alterazioni importanti nel corpo segnandolo e ferendolo, cambiano nel tempo e si spostano man mano che il lavoro dell’analisi permette una lenta elaborazione del suo dolore e della sua rabbia. L’angoscia diffusa, all’apparire del sintomo organico, si placa e scompare e Dario sembra come ricompattarsi, la sua vita torna a trascorrere apparentemente tranquilla, ma priva di colore, piatta. All’inizio è uno strano male ai piedi con importante infiammazione dei tendini resistente a qualsiasi farmaco che gli impedisce di camminare in modo sciolto e che soprattutto lo ostacola nello sport che pratica; successivamente il male ai piedi scompare e appare per lungo tempo – dopo un altro momento di angoscia diffusa – un forte dolore allo stomaco che nei momenti peggiori si trasforma in conati di vomito e ancora, dopo un altro po’ di tempo, seguendo la stessa modalità, il dolore passa alla testa con fortissime emicranie spesso accompagnate di nuovo da vomito che lo costringono a letto con la luce spenta, immobile, sensibile alla luce e ai rumori. Il ritiro in se stesso di coloritura depressiva ha in questo momento la meglio. Colpisce l’impossibilità di trovare un nesso significante tra questi sintomi nel corpo e una loro rappresentazione psichica. Non è soltanto qualcosa che non può essere pensato perché ha perso il nesso con la sua rappresentazione, ma qualcosa che è fuori dalla psiche, che non appartiene più allo stesso registro e per questo difficile da agganciare. Il passaggio da un dolore all’altro nel corpo sembra però indicarci una via – o meglio permette di fantasticare su una via, una sorta di rêverie – che partendo dal basso, i piedi, pian piano risale e arriva alla testa, luogo di elaborazione psichica dove il dolore nel corpo pian piano si ritrasformerà in dolore psichico segnale di un riequilibrio dell’impasto pulsionale. Man mano che faticosamente diamo senso, parola, rappresentazione al dolore, alla rabbia e all’angoscia provata, che si esprimerà per lunghissimo tempo attraverso e intorno al gioco del cacciatore che invade con il fucile e butta all’aria la tana della piccola volpe cercando di catturarla, i sintomi nel corpo scompariranno definitivamente.

 

Possiamo pensare che l’impatto con il trauma, abbia generato un dolore e un’angoscia troppo forti per essere contenuti in quel momento dalla psiche del bambino e abbia così avviato il disimpasto pulsionale per il quale la pulsione di morte, ritornata istinto di morte abbia iniziato ad attaccare il corpo. Il lungo lavoro di elaborazione del suo dolore e della sua rabbia nell’analisi attraverso l’incontro con un nuovo oggetto rispecchiante, l’analista, ha permesso l’avvio di un lento riequilibrio dell’impasto pulsionale che ha portato l’istinto di morte libero nel corpo a ritrovare la via di rappresentazione psichica.

L’equilibrio nel masochismo erogeno primario appare in Dario ritrovato e rinforzato; la libido, corsa in aiuto all’Io può ora, per una parte, lasciarlo e portando con sé anche la pulsione di morte tornare ad investire gli oggetti. Il desiderio si rianima, i giochi, le amicizie, lo sport esprimono la spinta alla vita che si rinnova.

Secondo A. Green (2011), la sofferenza del soggetto ha bisogno di incontrare un oggetto che possa rispecchiarla nel senso di riconoscerla empaticamente dandole così un nuovo senso. “E dobbiamo concludere tacitamente o anche esplicitamente, come ad affermare un diritto inalienabile, che tocca all’oggetto (del transfert) sopportare ora quello che il bambino ha dovuto soffrire un tempo. (…) È quindi attraverso uno spostamento del legame primitivamente intra-psichico, quello che si scarica quasi automaticamente affinché nulla si conservi né rischi di perdersi definitivamente, che si presenta la proposta di un legame intersoggettivo (che collega cioè i due intrapsichici), dimostrando che il rapporto può oggettualizzarsi. È allora che il gioco della rappresentazione si sviluppa, si arricchisce, si diversifica – diventa vivo, insomma” (Green, 2000, p. 156-57).

 

 

Il corpo come teatro …

Prendiamo ora l’altra direzione di questo mio lavoro che ci riporta a Il problema economico del masochismo (1924) dove Freud, come già accennato, distingue tre tipi di masochismo: il masochismo erogeno primario, che figura come la base da cui si originano gli altri due, il masochismo morale e il masochismo femmineo.

Spesso nei pazienti che rientrano nel masochismo morale e votati al fallimento, quelli per cui “ciò che conta è la sofferenza in sé” (Freud, 1924, 11) ho osservato che il corpo, in alcuni periodi, diventa il teatro in cui il senso di colpa inconscio mette in atto la sua punizione.

Rosenberg ci offre una interessante distinzione tra la colpa e il masochismo morale “Nella colpa l’Io «è sottomesso» al Super-Io, mentre nel masochismo morale si tratta di un suo desiderio: l’Io non è sottomesso al Super-Io, desidera questa sottomissione. Dunque, ciò che separa fondamentalmente la colpa dal masochismo, è la questione del luogo del soddisfacimento. Nella colpa si tratta di un soddisfacimento libidico che ha un proprio oggetto, con la colpa che insorge come conseguenza di questo soddisfacimento; mentre nel masochismo morale il soddisfacimento, o almeno la sua parte essenziale, risiede nella colpa stessa: il senso di colpa viene erotizzato, ossia viene investito masochisticamente” (1991, 2022, p. 24).

Così mi è tornato in mente un breve romanzo di Daniel Pennac, La lunga notte del dottor Galvin, che lessi molti anni fa e in seguito la rilettura, come capita spesso, mi ha offerto nuovi spunti di riflessione e nuove suggestioni. Se ci pensiamo Pennac deve avere un particolare interesse per ciò che gira intorno al masochismo: tutta la saga del Signor Malaussène, di professione capro espiatorio, appare emblematica e ancor di più la storia del dottor Galvin. Molto brevemente:

 

Galvin racconta ad un ipotetico ascoltatore la notte che cambiò la sua vita quando era un giovane medico specializzando. Il suo grande sogno, che egli si rappresentava in un sempre più meraviglioso biglietto da visita, era quello di diventare un medico famoso, un grande professore; lui che proveniva da una famiglia di tutti medici non poteva e non voleva deludere nessuna aspettativa, soprattutto la propria. Galvin lavora con entusiasmo, è sempre presente, copre i turni dei colleghi, non si tira mai indietro, lavora instancabilmente, si prodiga per i pazienti e intanto sogna, fantastica sul suo biglietto da visita. Poi un giorno arriva al Pronto Soccorso un uomo “non mi sento tanto bene”, dice, e da lì comincia l’escalation. Il paziente inizia a presentare i sintomi più svariati, complicati e incomprensibili che spingono Galvin a chiamare altri colleghi esimi professori; in questo strano paziente che ripete come in una cantilena “non mi sento tanto bene” i sintomi montano, montano fino a portarlo alla situazione critica tra la vita e la morte e quando Galvin, con il professore specialista di quella determinata patologia, sta per intervenire … il sintomo sparisce all’improvviso spostandosi in un’altra parte del corpo e tutto si ripete di nuovo, all’infinito. Veniamo trascinati in un’atmosfera di crescente confusione, di ironici e esilaranti colpi di scena, come Pennac sa ben fare, in cui succede di tutto. Galvin si prodiga e cerca di fare il massimo ogni volta per salvare il suo paziente, ma ad ogni apparire di un nuovo sintomo, la sicurezza di Galvin nelle sue capacità crolla pian piano: si sente svilito, svalutato, dubita sempre più di sé, pensa di non essere degno di fare il medico e così il sogno del biglietto da visita si infrange lentamente e egli ne esce sempre più mortificato … fino al momento in cui il paziente magicamente guarisce, spiegando poi ai medici che il suo intento sprezzante era quello di metterli semplicemente alla prova. Galvin viene preso da una rabbia esplosiva e … passando all’atto mette definitivamente fine ai suoi sogni di diventare un medico …

 

Questo divertente, ironico, al tempo stesso amaro e, infine, liberatorio racconto mi ha fatto riflettere su alcuni aspetti. In primo luogo cosa è successo nel corpo di questo “paziente”: quel suo vago dire “non mi sento tanto bene” privo di qualsiasi affetto di angoscia, questa aspecificità del sintomo e la sua indole migratoria che passa da un organo all’altro, certo resa paradossale nel racconto e amplificata dall’ironia dello scrittore, mi hanno riportata alla ipotesi di Rosenberg su un istinto di morte depulsionalizzato che vaga per il corpo attaccandolo e sfuggendo ad ogni tentativo di legamento attraverso la cura, segnale di un disimpasto pulsionale all’interno del masochismo erogeno primario. Scrive Freud “Il masochismo morale diventa così una testimonianza dell’esistenza dell’impasto pulsionale. La sua pericolosità deriva dal fatto che esso trae origine dalla pulsione di morte, corrispondendo a quella parte che non è stata estroflessa sotto forma di pulsione distruttiva. Ma poiché d’altra parte esso ha il significato di una componente erotica, perfino l’autodistruzione della persona non può compiersi senza soddisfacimento libidico” (1924, p. 16).

Nel finale del romanzo, il “paziente” però dà la sua spiegazione trionfante e sprezzante e questo mi permette un’altra riflessione. Ho provato a pensare ai due personaggi del romanzo come a due parti del mondo fantasmatico interno di Galvin stesso che ne mettono in scena due aspetti contrapposti: da una parte l’Io-Galvin che ambiziosamente – probabilmente troppo ambiziosamente – attraverso la fantasia del super professore dal biglietto da visita sfavillante rischia o, meglio, ci fa pensare al suo desiderio inconscio di superare e spiazzare, detronizzandoli, tutti gli altri professori. Intravediamo così il suo desiderio edipico di detronizzare il padre e di superarlo e, ad un altro livello, il suo disperato desiderio di essere da lui amato. Dall’altra, il Super-Io-Galvin che attiva la colpa e veste i panni del “paziente” mettendo in scena nel corpo la sua punizione: più grande è il desiderio di Galvin di venire a capo del sintomo, non solo per salvare il paziente, ma anche e soprattutto per salvare il suo sogno di procedere e realizzarsi nella sua vita che possiamo immaginare si inceppi nelle vicissitudini edipiche, più il sintomo nel corpo, rendendosi inaccessibile a qualsiasi cura, lo mortifica, lo svilisce, lo ostacola e lo blocca. Tutto questo fino a quando Galvin, divenuto consapevole di quello che è successo, rabbiosamente si scaglia contro questa sua parte che sadicamente trionfa portando a compimento il suo scopo: il sogno di Galvin viene infranto e il poveretto masochisticamente ritrova sì la sua pace poiché il conflitto svanisce, ma il prezzo è la rinuncia a tutte le sue aspirazioni. Il trionfo finale del “paziente” che mette in scacco Galvin e tutti i suoi sforzi fa pensare ad una erotizzazione della punizione e quindi dei sintomi nel corpo.

Non è forse esattamente questo che ci fa vedere Freud quando mette in evidenza nel masochismo morale come il conflitto edipico si riattualizzi regressivamente e le relazioni con gli oggetti edipici tornino ad essere erotizzate (Freud, 1924)? La punizione allora non è più la conseguenza della trasgressione di un divieto edipico messa in atto da un Super-Io desessualizzato, ma essa diventa il passaggio necessario per attivare la colpa e godere in fantasia della punizione da parte del padre edipico. Tutto ciò ci diventa molto chiaro se ritorniamo a Freud e alla fantasia di un soddisfacimento masochistico di un desiderio di punizione sessualizzato/erotizzato che troviamo ne Un bambino viene picchiato (1919). “Il senso di colpa non sa trovare punizione più dura del rovesciamento di questo trionfo: «No, lui non ti ama, tant’è che ti picchia». Così nella seconda fase della fantasia, quella di essere picchiati dal proprio padre, si esprimerebbe direttamente il senso di colpa a cui ora soggiace l’amore per il padre. La fantasia è dunque diventata masochistica […] il senso di colpa è invariabilmente l’elemento che trasforma il sadismo in masochismo. Il senso di colpa non può essersi guadagnato il campo in modo esclusivo; anche all’impulso amoroso deve spettare la sua parte. […] Questo esser picchiati è ora una combinazione di senso di colpa ed erotismo; non è soltanto la punizione per il rapporto genitale severamente proibito, è anche il sostituto regressivo di esso, e da quest’ultima fonte trae l’eccitamento libidico che d’ora innanzi gli sarà ancorato e che riuscirà a scaricarsi in atti onanistici. Ma è proprio questa, finalmente, l’essenza del masochismo” (1924, p. 50-1)

Seguendo Rosenberg (1991), il soggetto non trasgredisce quindi per il soddisfacimento libidico ottenuto attraverso la trasgressione, ma per provocare il proprio senso di colpa e darsi in questo modo il soddisfacimento masochistico della punizione.

Nel racconto però sembra venir messo in scena anche ciò che Freud (1915) diceva della perversione sado-masochistica nella quale assistiamo ad un rovesciamento attivo/passivo che instaura una coazione a ripetere mortifera: da una parte sadicamente il “paziente” provoca attivamente il povero Galvin mettendolo in scacco e svilendolo. Egli subisce ed è travolto, ma al contempo in qualche modo eccitato, da tutti quei sintomi con i quali non riesce a venire a capo e che lo rendono pian piano impotente e passivo di fronte a qualcosa di inspiegabile. Dall’altra, nel finale del racconto tutto si capovolge e il passaggio all’atto rende Galvin giustiziere attivo del “paziente” che reso, a sua volta impotente, diventa in quel momento la vittima. L’inversione attivo/passivo, portando con sé una distruttività mortifera e slegata, non può che portare al fallimento definitivo del povero Galvin. La disintricazione pulsionale sembra avere la meglio e la forza legante di Eros sembra qui non riuscire a riequilibrare il masochismo erogeno capace di interrompere la coazione a ripetere mortifera.

Un ultimo punto, che mi resta come un interrogativo, parte dalla posizione lacaniana sul masochismo (Fiumanò, 2016): molto sinteticamente, perché ci sia una condotta masochistica perversa è necessaria la presenza dell’Altro, come anche Freud (1915) aveva ben sottolineato, e soprattutto l’essenza del masochismo è provocare l’ansia nell’Altro; questo è il suo vero e proprio godimento. È una posizione che trovo molto interessante e chiaramente visibile sia nelle situazioni patologiche sia in alcune situazioni definite più “normali”.

Nel racconto Galvin è costantemente preoccupato, in ansia di fronte ai sintomi inspiegabilmente inafferrabili del paziente, sente una enorme pena che lo spinge a cercare di salvarlo a tutti i costi e vegliarlo per tutta la notte nel timore di lasciarlo da solo. Galvin con angoscia prende la colpa su di sé perché non riesce a guarirlo e, anche se l’atmosfera è surreale ed ironica, soffre di questo e il “paziente” gode di questi suoi affanni e della sua angoscia. Ma, e parte da qui il mio interrogativo, non ci ritroviamo comunque nel campo dell’inversione attivo/passivo dove attraverso la proiezione e poi l’identificazione il masochista assume su di sé il ruolo sadico e gode del dolore provato dall’altro? E di nuovo, non possiamo vedere anche qui all’opera una falla nel masochismo erogeno primario che porta con sé un disimpasto pulsionale che nella perversione produce un sistema chiuso da cui difficilmente il paziente accetta e desidera uscire?

Mi ritrovo allora con Rosemberg a riflettere sulle vie elaborative che è possibile percorrere nel lavoro analitico in modo che il masochismo erogeno resti o torni ad essere il guardiano della vita proteggendoci così dalle sue stesse derive mortifere.

 

 

Bibliografia

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Valdrè R. (2020). Sul masochismo. L’enigma della psicoanalisi. Celid, Torino.

 

 

NOTE                                                                                

[1] Pur mantenendo sullo sfondo principalmente le teorizzazioni collegate alla scuola francese di psicosomatica legata a P. Marty, M. Fain, M. de M’Uzan e C. David, vorrei seguire in questo lavoro una via un po’ diversa.

[2] Non prenderò qui in considerazione la conversione isterica dove il sintomo nel corpo esprime simbolicamente un affetto rimosso.

[3] Secondo B. Rosenberg con il passaggio alla seconda teoria delle pulsioni, il concetto di principio di piacere si allarga e “il piacere masochistico diventa il modello del piacere al quale il principio di piacere stesso fa riferimento” (2019, 144. Traduzione mia). I due concetti sembrano sovrapporsi avendo entrambi la stessa genesi.

[4]I riferimenti alla pulsione che troviamo nei Tre Saggi vengono aggiunti da Freud al tempo di Pulsioni e loro destini come ad indicare una sua lunga e laboriosa riflessione su questa definizione che appare così complessa.

[5] Per P. Marty l’economia psicosomatica, basata su movimenti evolutivi e movimenti regressivi, è caratterizzata da punti di fissazione, cioè punti di intricazione tra gli istinti e le pulsioni di vita e tra gli istinti e le pulsioni di morte. Questi punti di fissazione hanno una funzione difensiva di fronte al movimento di disorganizzazione che viene messo in atto a causa di una situazione traumatica. Nel momento in cui questo movimento viene messo in moto a livello psichico esso prosegue il suo cammino dalla disorganizzazione psichica alla disorganizzazione somatica se non viene fermato da un punto di fissazione che, grazie alla intricazione tra pulsioni e istinti permette il riavvio dello sviluppo evolutivo.

  1. Green, invece, fa coincidere la teoria freudiana del legamento con la funzione oggettualizzante che porta alla rappresentabilità come espressione della pulsione di vita; la funzione desoggettualizzante si riconduce invece allo slegamento e conduce al disinvestimento e alla irrappresentabilità quali espressioni della pulsione di morte.

 

[6] Per P. Marty è invece l’assenza di punti di fissazione che ha come conseguenza il proseguimento del processo di disorganizzazione che porta alla somatizzazione.

 

Patrizio Campanile, Venezia

Centro Veneto di Psicoanalisi

patrizio.campanile@libero.it

 

*Per citare questo articolo:

Olivotto C. (2025), Dalla psiche al soma e ritorno: alcune considerazioni sull’enigmatico intreccio tra masochismo e corpo. Rivista KnotGarden 2025/2, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 93-111

Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.

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