Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
KnotGarden 2025/2 “A partire da: Il problema del masochismo, Freud 1924”
di Roberta Guarnieri
(Venezia) Psicoanalista, Membro Ordinario con Funzioni di Training della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Veneto di Psicoanalisi.
*Per citare questo articolo:
Roberta Guarnieri (2025), Introduzione. Rivista KnotGarden 2025/2, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 7-23.
Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.
Abbiamo considerato questo numero di KnotGarden dedicato al masochismo come il frutto di riletture, del testo di Freud del 1924 e dell’uscita, in traduzione italiana, del libro di Benno Rosenberg del 1991.
Il numero è stato preceduto da un incontro tra alcuni degli Autori degli articoli qui pubblicati, tenutosi all’Ateneo veneto alla fine del 2024, e ciò nelle nostre intenzioni ha contribuito all’avvio di scambi e riflessioni che ci auguriamo possano essere di stimolo anche per i lettori della rivista.
Le riletture che abbiamo fatto e iniziato a condividere sono anche state sollecitate dall’osservazione che, nel panorama dei contributi di psicoanalisti italiani della SPI ma non solo, tranne i contributi lacaniani, il tema del masochismo è scarsamente presente, ad eccezione del libro di Rossella Valdrè.[1]
Nell’introduzione e nel primo capitolo del suo libro, Valdrè offre una approfondita rivisitazione della teoria freudiana e dei principali apporti post-freudiani, che permette al lettore di cogliere la centralità della questione del masochismo sul piano della teoria così come della pratica clinica. Vedremo come questa congiunzione sarà anche uno dei vertici dell’argomentazione di Benno Rosenberg, che ha voluto mettere al centro del suo pensiero metapsicologico le conseguenze, proprio sul piano della pratica clinica, l’assunzione del “concetto” di pulsione di morte da parte di Freud.
Non so se il poter ripercorrere, attraverso queste riletture, la questione del masochismo, alla fine lo farà risultare meno enigmatico, meno incomprensibile nella sua paradossalità: mi sembra comunque di poter affermare che la sua centralità teorico-clinica sia tuttora piuttosto indigesta, nel panorama italiano perlomeno, forse perché esso ci fa prendere contatto, come analisti, con i limiti del nostro lavoro clinico. Mi interrogo perciò, come analista al lavoro, se la presa in considerazione del “problema economico” del masochismo non sia un passaggio necessario per affrontare i paradossi che incontriamo nella nostra pratica così come nelle nostre vite.
Quando Freud, nelle righe iniziali del suo saggio, parla dell’”enigma” del masochismo, dobbiamo ricordare che egli sta riferendosi al “punto di vista economico: “Ha ragione chi afferma che l’esistenza di una tendenza masochistica nella vita pulsionale umana rappresenta un enigma dal punto di vista economico” (Freud,10, p. 5). In questo senso crediamo che quella del masochismo sia a tutti gli effetti una “questione metapsicologica”, che, per dirla con le parole di Claude Le Guen nella prefazione al libro di Rosenberg, afferma:” […] trattare veramente del masochismo non può che condurre a porsi delle questioni essenziali su ciò che contribuisce ad organizzare i fondamenti stessi della psicoanalisi” (C. Le Guen, (1991/2022) in Rosenberg, “Masochismo mortifero e masochismo custode della vita”, Prefazione).
I contributi che presentiamo, attraverso articoli originali (Chervet, De Giorgi, Filocamo, Fiumanò, La Scala, Olivotto) e letture di testi e Autori particolarmente significativi ( Luchetti, Paiola, Sancandi ) costituiscono la trama di una sorta di dialogo che si è sviluppato nel corso del tempo: la scelta di proporre la traduzione del libro di Benno Rosenberg fa da sfondo allo sviluppo di una riflessione metapsicologica che condividiamo, consapevoli che altre aree e culture psicoanalitiche, in particolare nordamericane, hanno sviluppato una riflessione clinico-teorica di indubbio interesse che in questo numero di KnotGarden non verrà trattata e che speriamo di affrontare in un secondo momento.
Una parte consistente della pratica clinica dei nostri giorni, così caratterizzata dalla presenza massiccia di modalità di funzionamento psichico in cui prevale la scarica rispetto ad eccitamenti pulsionali percepiti come eccessivi, non può, a nostro avviso, non prendere in considerazione ciò che, all’interno dell’economia psichica, la soluzione masochistica offre: come possibilità di arginamento dei processi di scarica, da un lato, ma anche come rischio che tale argine possa, esso stesso, risultare mortifero. Sarà questa la doppia prospettiva che Rosenberg svilupperà nel suo libro che è un lungo e assai complesso commento al testo di Freud del 1924.
Il masochismo in questione.
Il contributo teorico di Rosenberg, che seguirò in questo mio commento, si sviluppa attorno alla scelta di Freud, nel suo testo del 1924, di rendere concettualmente autonomo il masochismo, non solo svincolandolo dal sadismo – nei Tre saggi esso compariva collegato al sadismo – ma anche oltrepassando le considerazioni della sua organizzazione, sul piano fantasmatico, elaborate nel saggio “Un bambino viene picchiato”; ciò implicherà una nuova prospettiva metapsicologica che, partendo dall’introduzione del ‘concetto’ di pulsione di morte, renderà possibile riconsiderare il masochismo erogeno primario, così denominato da Freud in questo testo, come nucleo strutturale, dal punto di vista pulsionale, della vita psichica e della vita tout court.
Come sempre in Freud, in questo caso a mio avviso ancora con maggiore evidenza, l’avanzamento sul piano della teoria, particolarmente sollecitata dalle difficoltà cliniche incontrate, non elimina le acquisizioni precedenti: esse rimangono valide ma devono venir riformulate. Ciò è particolarmente rilevante nel passaggio dalla prima alla seconda teoria delle pulsioni che implica anche la presa in considerazione dell’introduzione del narcisismo.
La scelta di Freud è dunque, secondo Rosenberg, una necessità intrinseca alla teoria psicoanalitica che si è dovuta riorganizzare con l’introduzione del concetto di pulsione di morte. La considerazione delle conseguenze sul piano della metapsicologia, di tale autonomizzazione sono tali da far affermare che sia possibile “… mostrare l’esistenza di una dimensione masochistica della sessualità, della psicopatologia e in ultima istanza dell’esistenza umana” (Rosenberg B., Masochismo mortifero e masochismo custode della vita, p. 110)
Il masochismo, nelle sue diverse forme che tutte, comunque, si fondano sul riconoscimento dell’esistenza del masochismo erogeno primario, è il terreno clinico, psicopatologico, vitale in ultima istanza, che permette di dar conto della esistenza della pulsione di morte come concetto necessario per avvicinare fatti clinici altrimenti non spiegabili psicoanaliticamente. Ciò permette di comprendere come l’affermazione di Freud che considerava l’ipotesi della pulsione di morte una “speculazione”, non sia condivisibile. L’esperienza clinica psicoanalitica, oramai lunga di più di cento anni, ci ha portato ad avvicinare situazioni cliniche di pazienti molto lontane da quelle per le quali la situazione analitica era stata inventata, permettendoci di verificare la necessità della presa in considerazione del concetto di pulsione di morte. Sul piano extra-clinico, il pensiero psicoanalitico sulla cultura, sul lavoro di cultura, è l’altro versante attraverso il quale guardare alla questione della pulsione di morte. In questa prospettiva desidero ricordare il lavoro di Conrotto del 2007 che tratta di questo aspetto. Il riferimento alla teoria freudiana della cultura è presente anche in Rosenberg e ciò meriterebbe una riflessione a sé stante.
Per poter capire la rilevanza dell’autonomizzazione del masochismo, e cioè del “problema economico” che esso poneva alla teoria psicoanalitica e che Freud ha voluto decisamente affrontare, possiamo seguire il percorso qui individuato: il lungo e lento avvicinamento all’introduzione del concetto di pulsione di morte segue alcuni passaggi molto precisi. È importante sottolineare che Rosenberg fa sempre riferimento al ‘concetto’ di pulsione di morte, alla sua necessità teorica, ben consapevole che la pulsione di morte, in quanto tale, non ha un’evidenza clinica diretta, essendo ‘muta’.
Vorrei citare per esteso un breve brano dell’introduzione al volume, che, per la sua densità e chiarezza, dà conto del suo modo di procedere che presenta una valenza anche epistemologica. Vale la pena, prima, di fare cenno al fatto che per questo Autore “ l’evoluzione del pensiero freudiano abbia un carattere paradigmatico per tutti noi psicoanalisti, funzionando come una sorta di filogenesi rispetto all’ontogenesi del nostro pensiero metapsicologico” ( ibidem, p.12): letture, riletture, riformulazioni, ricapitolazioni e tentativi di andare un po’ più avanti, sembrano essere dunque parte di un processo analogo ad una crescita organica in cui, freudianamente, l’ontogenesi riassume la filogenesi.
Si tratta, per Rosenberg, di dar conto del lungo processo che porterà alla formulazione del concetto di pulsione di morte, indispensabile per riformulare il concetto di masochismo.
Il punto di svolta, di non ritorno, per la teoria, è stata l’unificazione della libido e della pulsione di autoconservazione sotto la formulazione del nuovo concetto di “pulsioni di vita”; passaggio che è stato segnato dell’introduzione del narcisismo da un lato e dal riconoscimento di un sadismo primario dall’altro. Si può così riconoscere da una parte l’Io, come nuovo oggetto per le pulsioni libidiche e di autoconservazione, dall’altro la presa in considerazione di una violenza che non tende al soddisfacimento libidico (sull’oggetto). “Questa descrizione del sadismo originario ci sembra l’espressione di una distruttività che, questa volta, diversamente da prima, non proviene dall’esterno, dall’oggetto, bensì dal soggetto. È un’evoluzione interessante, perché assistiamo a una collocazione interna all’apparato psichico della distruttività, almeno dal punto di vista della sua fonte, del suo punto di partenza. Tutto avviene come se in questa evoluzione non restasse da compiere che un terzo passo, che consisterebbe nel concepire una distruttività che ha la propria fonte pulsionale nel soggetto, e che al tempo stesso tende e si indirizza in primo luogo al soggetto stesso; il che, beninteso, si riallaccerebbe al concetto di pulsione di morte.
Anche qui constatiamo un’evoluzione dall’interno della prima teoria delle pulsioni, una logica di auto-superamento che la porta alla soglia della seconda teoria delle pulsioni” (ibid., p.13).
E, poco più avanti “Ritorniamo dunque alla nostra conclusione che l’elaborazione della pulsione di vita a partire dalla libido, elaborazione nella quale il narcisismo gioca un ruolo determinante, è il processo fondamentale dell’auto-superamento della prima teoria delle pulsioni” (ibid., p.14).
Questo passaggio, che segna un cambiamento radicale nella concezione psicoanalitica delle pulsioni, apre delle questioni cruciali: la teoria psicoanalitica si fonda su una concezione dualistica del funzionamento psichico e ha nella considerazione del conflitto psichico la sua espressione clinica. Il rischio di reintrodurre una concezione monistica era ben presente a Freud stesso, in particolare con l’introduzione del narcisismo. Lo stesso possiamo dire dell’introduzione del masochismo erogeno primario.
L’introduzione del concetto di pulsione di morte, come abbiamo visto, risponde alla necessità di mantenere il dualismo pulsionale e la dimensione conflittuale della vita psichica. Il dualismo da un lato si ritrova all’interno del concetto, unificante ma differenziato, di pulsioni di vita: esiste e viene mantenuta una dialettica tra libido e auto conservatività, erede della prima teoria delle pulsioni. Dall’altro lato la pulsione di morte non si dà mai, sul piano clinico, allo stato puro ma solamente impastata con la pulsione di vita: anche in questo caso, all’interno del ‘polo’ pulsione di morte, esiste una dinamica propria ed una conflittualità specifica.
Di fatto, nella rielaborazione di Rosenberg del testo di Freud sul masochismo, che egli attua attraverso una rilettura trasversale di alcuni snodi teorici, da Pulsioni e loro destini fino al Compendio, la questione del mantenimento del dualismo, a tutti i livelli, e della conflittualità psichica (che rischiava di venir messa in crisi con l’introduzione del narcisismo), viene affrontata in più modi: da un lato egli deve mantenerla all’interno della sua concezione del “ masochismo custode della vita”, e lo fa attraverso la considerazione dell’esistenza del “masochismo mortifero”;
dall’altro lato, tutta la sua rilettura del modo in cui l’impasto pulsionale, che è il masochismo erogeno primario, opera lo obbliga a considerarlo sempre come un impasto/disimpasto (se pur relativo). Dall’altro lato ancora la posizione dell’oggetto, della rappresentazione dell’oggetto, che è implicato anche nell’organizzazione del masochismo erogeno primario, è definita dal suo investimento bi-pulsionale.
Queste posizioni che hanno appunto lo scopo di mantenere al centro del funzionamento psichico il conflitto, sono valide a tutti i livelli della patologia psichica e di ogni fatto psichico in generale: ciò è importante perché conferma la continuità nel modo in cui la psicoanalisi considera le organizzazioni psicopatologiche nel loro insieme e, in generale, la vita psichica.
Il paradosso del masochismo.
Il lavoro teorico che porterà Freud a dover dedicare una riflessione al “problema economico del masochismo” nasce da un paradosso che la teoria analitica non poteva più evitare: “se il principio di piacere domina i processi psichici in maniera tale che il loro primo scopo è quello di evitare il dispiacere e ottenere il piacere, il masochismo è incomprensibile” (Freud, 10, p. 5).
Cosa fa Freud di fronte a tale aporia? Seguiamo Rosenberg:” L’ “incomprensibilità” del masochismo non lo spinge a costruire una teoria del masochismo che lo renda comprensibile… […] Al contrario, questa incomprensibilità o paradosso del masochismo viene accettata in quanto tale e diventa il punto di partenza per una modificazione della teoria psicoanalitica (in primo luogo del principio di piacere), implicitamente accusata di rendere incomprensibile un fatto clinico, di non riuscire ad integrarlo al proprio interno” (Rosenberg, op. cit., p. 47).
È lecito pensare che all’interno delle esperienze analitiche fino a quel tempo fatte, da Freud e dagli analisti suoi contemporanei, gli insuccessi e i fallimenti della cura analitica, dovuti a fattori inspiegabili che portavano a quella che viene definita “reazione terapeutica negativa”, l’attaccamento dei pazienti ai loro sintomi e alla loro sofferenza, sia stato ciò che ha messo gli analisti di fronte ai limiti delle possibilità terapeutiche della cura analitica. Ciononostante, tali limiti dovevano essere riconosciuti, ma anche compresi e spiegati. Tale passaggio, per molti commentatori, segnerebbe l’abbandono dei residui in qualche modo meccanicistici presenti nella prima teorizzazione del principio del piacere: la questione dell’eccitamento, della quantità di eccitamento, non è più il perno della spiegazione dei processi psichici; il piacere e il dispiacere non dipenderebbero dunque da una diminuzione e da un aumento dello stimolo, ma da un’altra caratteristica che implica la presa in considerazione della qualità, con un riferimento significativo al ritmo e al tempo.
Questa rivoluzione interna alla teoria, la concezione della pulsione di morte (principio di nirvana), modifica profondamente la concezione del funzionamento psichico che, da questo momento in poi, è il prodotto dell’impasto pulsionale che è opera dell’oggetto.
“E’ dunque il modello del masochismo erogeno che ci permette che aumenti di tensione, che sono “dell’ordine del dolore o del dispiacere, possono essere vissuti come un piacere” (ibid., 10, p. 49).
Il masochismo rimane, a questo punto dell’elaborazione della teoria psicoanalitica, ancora un paradosso? Dovremmo poter rispondere a questa domanda. Si potrebbe intanto affermare che esso rimane un paradosso, una condizione che non ha una comprensibilità diretta, al di fuori della teoria psicoanalitica: all’interno di essa, la sua paradossalità, sembra essere diventata strutturale. Il principio di piacere /dispiacere si organizza una volta che l’originario nucleo masochistico dell’Io arcaico ha preso forma attraverso il primo impasto pulsionale. E, in questa prospettiva, bisogna sottolineare, e Rosenberg lo fa in modo netto, che non si tratta di datare tale momento iniziale, ma di considerarlo in termini strutturali: il masochismo erogeno primario è strutturalmente primario e la cura analitica, così si può pensare, può creare le condizioni per una sua riorganizzazione e rimodulazione.
Il tempo, l’attesa, l’erotizzazione del dolore.
Se il masochismo non è più spiegabile attraverso considerazioni di ordine quantitativo, la questione della “qualità” entra nella costruzione teorica attraverso la considerazione del tempo e obbliga a porsi il problema del “legame tra il tempo e il masochismo”.
Le considerazioni di questo Autore attorno a tale questione e le conseguenze che egli ne trae mi sono sembrate della massima importanza.
Se il principio di piacere funzionasse, e a volte ciò accade, alla “vecchia maniera”, secondo un funzionamento di tutto-o niente e di tutto-e-subito, la vita psichica, l’organizzazione dell’apparato psichico, sarebbe di fatto impossibile. È il masochismo erogeno primario ciò che, permettendo alla psiche di sopportare il dispiacere, attraverso la capacità di attesa e di rinvio della scarica che porta al soddisfacimento pulsionale, ciò che rende possibile la durata e perciò la stabilità stessa della vita psichica nel tempo. “Il principio di piacere – afferma Rosenberg – può trasformarsi in principio di realtà perché ingloba il piacere masochistico” (ibid., p. 55). È l’esperienza del soddisfacimento allucinatorio del desiderio, che si organizza nei primi tempi della vita dell’infans e dell’adulto che fornisce le cure, e che rimarrà attiva lungo tutto il corso della vita, ciò che permette l’erotizzazione dell’attesa dolorosa del soddisfacimento.
L’elemento tempo come attesa e durata, in questa condizione, è di importanza cruciale.
Ogni attesa e ogni rinvio è dell’ordine dell’eccitamento e del dispiacere, così si esprime Rosenberg, e perciò siamo costretti a considerare che perché si dia un’organizzazione psichica è necessario che si stabilisca certa successione temporale, che permetta al soggetto di oltrepassare la tendenza alla puntualità temporale della scarica.
È la capacità di “sopportare il dispiacere” ciò che sta alla base della vita psichica: in ciò risiede il masochismo custode della vita.
Il piacere masochistico è il nucleo, determinato dal co–eccitamento libidico, che permette di legare la quota di pulsione di morte che permane nell’organismo non venendo proiettata all’esterno.
“Il masochismo assicura la durata, la continuità interna, è il ponte che collega l’atemporalità dell’Es alla temporalità specifica del sistema preconscio-conscio, nella nuova topica, dell’Io conscio e inconscio” (ibid., p. 56).
Mi sembra di poter individuare qui un aspetto problematico perché, nella formulazione di Rosenberg, centrata sulla “sopportabilità” del dolore, rischia di perdersi appunto il paradosso fondante del masochismo: il piacere del dolore. Riprendendo il testo di Freud, egli così si esprime: “Il primo, il masochismo erogeno – il piacere del dolore – è anche alla base delle altre due forme di masochismo” (Freud, 10, p. 7).
Se il masochismo erogeno primario assume dunque questa posizione centrale, ciononostante il masochismo come fenomeno clinico, il masochismo morale, permane come uno scoglio sul piano della pratica clinica. Il masochismo erogeno primario, il cosiddetto impasto pulsionale, è una concettualizzazione metapsicologica, che Freud ha creato per poter affrontare le incongruenze nella teoria psicoanalitica generate dalla presa in considerazione del concetto di pulsione di morte. Credo che sia necessario distinguere la costituzione di questo nuovo concetto dal fenomeno clinico del masochismo, in particolare del masochismo morale. Il masochismo femmineo e perciò i fantasmi masochistici di natura perversa sono, al contrario, più facilmente comprensibili dal punto di vista metapsicologico e clinico.
Distinguere non vuol dire separare il discorso teorico da quello clinico, ma considerare come utilizzare i concetti a nostra disposizione per poter dar conto delle difficoltà che si incontrano nella pratica clinica.
Il masochismo e il dispositivo analitico. Il masochismo dell’analista.
Sembrerebbe un tema che non necessita di altre riflessioni, la considerazione che, rispetto a quanto detto sopra, il dispositivo analitico sia stato inventato e costruito su una base masochistica: la rinuncia al soddisfacimento pulsionale diretto, il valore del tempo e del ritmo, la sollecitazione di una condizione di attesa, che produce una quota di sofferenza sempre più tollerabile, sono i nostri strumenti di lavoro quotidiano. Dall’altro lato la seconda regola fondamentale, l’analisi dell’analista, il suo aver reincontrato lo stato di Hilflosigkheit e averlo potuto, almeno in parte, trasformare in un’attitudine recettiva, di ascolto perlaborativo, gli hanno permesso, pur non rinunciando allo strumento interpretativo, di dare peso e valore trasformativo ai movimenti pulsionali più profondi presenti in seduta e lungo il corso della cura. Il masochismo erogeno primario è, prima di tutto, ciò che agisce all’interno della psiche dell’analista al lavoro e gli permette di investire libidicamente l’attesa dei movimenti, transferali nella sostanza, del paziente. Ma proprio nella permanete attivazione e del masochismo nell’analista può manifestarsi, in modo anche subdolo, una paradossale prevalenza, usando i termini proposto da Rosenberg, di masochismo mortifero: ciò accade quando si creano condizioni transfero-controtransferali di impasse, nelle quali si può pensare che la capacità di ‘sopportazione’ da parte dell’analista delle posizioni masochistiche mortifere del paziente funzionino per alimentare una relazione analitica intrasformabile e interminabile in termini clinici.
I rischi all’interno del dispositivo analitico ci sono, proprio legati alla compresenza di masochismo custode della vita e masochismo mortifero: essi incontrano problematiche che sono affrontabili tenendo in considerazione il problema più generale della passività e i limiti dell’analizzabilità che Freud indicava con il riferimento alla “roccia biologica”….Ma il dispositivo fondato sul transfert-controtransfert è comunque il modo più importante per cercare di avviare un processo di riequilibrio pulsionale di cui io masochismo erogeno primario è il prodotto.
Questioni aperte.
Nel masochismo morale il piacere masochistico è in gioco in una forma non direttamente evidente, in ciò sta il paradosso che abbiamo imparato a conoscere: ciò che viene soddisfatto, e perciò il soddisfacimento come riferimento al piacere/dispiacere, è il Super-Io: l’Io soffre ma la sua sofferenza è mantenuta grazie al tornaconto di soddisfacimento dell’istanza superegoica. Possiamo parlare in questo caso, che è l’evenienza più frequente del lavoro analitico, di masochismo mortifero e perciò di un fallimento parziale del masochismo erogeno primario?
Credo che le risposte possano darsi su piani diversi: se il masochismo erogeno è al centro della vita psichica, anche il masochismo morale, in un certo modo, lo è. La lotta tutta interna tra Io e Super-io è pur sempre vita psichica, anche se sotto il segno della sofferenza per l’Io. Sappiamo molto bene che rimanere in pace con il Super-Io può valere il costo che esso richiede, un costo che può rivelarsi altissimo: un costo che non è solo un costo ma è anche un piacere, che si gioca tutto sul piano inconscio. Arrivare a modificare, almeno un po’, tale equilibrio, mi pare continui ad essere la posta in gioco del lavoro analitico, all’interno delle organizzazioni nevrotiche.”. Mi domando se la comprensione e la presa in considerazione del masochismo erogeno primario non sia ciò che ha modificato l’assetto analitico di fronte al masochismo morale, rendendo più comprensibile la posta in gioco di questa soluzione nevrotica che, in ultima istanza, permette al soggetto di non avvicinare la condizione di inermità, coperta dal conflitto interno Io-Super-io.
Le domande aperte sul masochismo, sul piano clinico, sono molte e forse nel numero che qui presentiamo il lettore potrà trovare dei vertici da esplorare ulteriormente.
In uno degli affreschi della Villa dei Misteri a Pompei è raffigurata una scena di flagellazione le cui protagoniste sono tutte donne. Cosa può dirci quel misterioso affresco?
[1] Ricordiamo i contributi di F. Conrotto (Il masochismo: da posizione libidica fondamentale ad operatore della Kultur, Rivista di Psicoanalisi,2007, LII, 2, p. 309-30), di E. Mangini (Sul masochismo morale: riflessioni teorico-cliniche, Rivista di Psicoanalisi, 2024/1) e, recentemente, M. Montemurro (Masochismo morale: angeli e diavoli nella relazione analitica, Rivista di Psicoanalisi, 2024/4). A parte consideriamo il libro di F. De Masi, La perversione sadomasochistica, che affronta una questione specifica dal punto di vista psicopatologico secondo una linea di pensiero che meriterebbe una trattazione a sé.
Bibliografia
Freud S. (1924). Il problema economico del masochismo, O.S.F., 10
Le Guen C. (1991). Prefazione. In Masochismo mortifero e masochismo custode della vita, Alpes Italia, 2022.
Rosenberg B. (1991). Masochismo mortifero e masochismo custode della vita, Milano, Alpes Italia, 2022
*Per citare questo articolo:
Roberta Guarnieri (2025), Introduzione. Rivista KnotGarden 2025/2, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 7-23.
Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.
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