Masochismo

Il presente testo è la traduzione italiana della voce «Masochisme» per il Dictionnaire du corps, a cura di Michela Marzano, Paris, P.U.F., 2007, 548-551. Si ringraziano le Presses Universitaires de France e la curatrice per l’autorizzazione a pubblicarlo.

di Alberto Luchetti

(Padova) Membro Ordinario con Funzioni di Training della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Veneto di Psicoanalisi.

*Per citare questo articolo:

Lucchetti A. (2025), Masochismo. Rivista KnotGarden 2025/2, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 196-211.

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La strana congiunzione tra piacere e sofferenza è antica quanto il mondo (Nacht, 1965) e innumerevoli volte è stata descritta la peculiare inclinazione a trarre godimento dal dolore; la confessava ad esempio Jean Jacques Rousseau (1782-1789), facendola risalire ad una punizione subita da bambino, e che da allora in poi cercò di procurarsi meritandola. Il termine «masochismo», tuttavia, fu proposto solo nel 1886 da Richard von Krafft-Ebing nella sua celebre Psychopathia Sexualis. A differenza del termine «algolagnia» proposto da von Schrenck-Notzing (1892), il cui significato era ristretto al piacere procurato dalla sofferenza fisica, la nuova denominazione, come rilevato da Freud (1905), poneva in primo piano il piacere per ogni specie di umiliazione e assoggettamento, indicando la «direzione dell’istinto sessuale verso la cerchia di rappresentazioni della sottomissione ad un’altra persona, ed al maltrattamento inflitto da parte di quest’ultima» (Krafft-Ebing, 1886). Il neologismo era tratto dal nome dello scrittore austriaco Leopold von Sacher-Masoch, che nei personaggi di alcuni suoi romanzi – come Severin, protagonista di Venus im Pelz (1870) – aveva esaltato l’ideale della sofferenza subita, cercando di perseguirlo anche nella vita personale.

Inizialmente il masochismo ha dunque definito un comportamento sessuale perverso, ma immediatamente si è esteso ad indicare in generale l’atteggiamento di chi si procura maltrattamenti, umiliazioni e sofferenze di qualsiasi genere, fisiche o morali, concrete o simboliche, da persone reali o da istanze impersonali, consapevolmente o inconsapevolmente. Per considerare la possibilità di un atteggiamento ed un comportamento masochistico inconscio bisognerà però aspettare Sigmund Freud, con il quale peraltro il masochismo – con una parabola analoga a quella della nozione di narcisismo – da mera perversione assurgerà a dimensione basilare del funzionamento psichico dell’essere umano, nonostante la palese contraddizione con ogni logica del piacere come meta sessuale e tramite della sopravvivenza: se l’uomo, come ogni animale, persegue il piacere e fugge la sofferenza, com’è possibile trarre piacere da ciò che sembra incompatibile con esso ed anzi opposto ad esso, e addirittura ricercarlo? Perciò il masochismo appare «uno scandalo biologico, vera spina nel fianco della logica vitale» che sfida la «presunzione del soggetto dell’umanesimo» (Assoun, 2003) e risulta sovversivo più ancora che paradossale. Se Sándor Ferenczi (1931, p. 236) aveva imprecato contro «il maledetto problema del masochismo», già per Freud (1924) non si dava alternativa: o i processi psichici mirano ad evitare il dispiacere e ad ottenere piacere, e allora il masochismo è incomprensibile, oppure, se il dolore e il dispiacere possono addirittura costituire una meta dello psichismo, allora il principio di piacere che custodisce la nostra vita psichica è narcotizzato e paralizzato.

Già nel 1905, nei suoi Tre saggi sulla teoria sessuale in cui, partendo da un esame delle «aberrazioni sessuali», è introdotta una nuova concezione allargata della sessualità umana che include una sessualità infantile, Freud prende in considerazione il masochismo all’interno delle «deviazioni riguardo la meta sessuale». Più precisamente, vi include la coppia sadismo-masochismo, scorgendone le basi in alcuni caratteri generali della vita sessuale: la coppia antitetica attività-passività, l’aggressività, e la coppia maschile-femminile. Solo in una aggiunta del 1915 agli stessi Tre saggi si preciserà però una prima concezione del masochismo, definito come l’insieme degli atteggiamenti passivi verso la vita sessuale e l’oggetto sessuale, fino all’estremo del soddisfacimento mediante il dolore fisico o psichico procurato da quest’ultimo, ma ritenendolo un derivato del sadismo mediante un duplice capovolgimento (Freud 1915a): per trasformazione dell’attività in passività e per sostituzione della propria persona alla persona altrui. In questa prima concezione, il masochismo è pertanto distinto dall’autotormento o dall’autopunizione, ad esempio riscontrabili nel nevrotico ossessivo e nel melanconico (Lambotte, 2000). In questi ultimi si passerebbe infatti dal sadismo ad un autosadismo, da una forma attiva ad una forma media, riflessiva, in cui soggetto ed oggetto dell’azione coincidono o si identificano. Nel masochista, diversamente, si passerebbe alla forma propriamente passiva, giacché il soggetto si fa infliggere dolori e umiliazioni da una persona estranea (Laplanche e Pontalis, 1967; Assoun, 2003; Nacht, 1965); tuttavia Reik (1941) ravvisa nelle fantasie e pratiche masochistiche solo un sadismo espresso e rappresentato alla rovescia, semplicemente con uno scambio delle parti. D’altro canto, il sadismo originario è in realtà inteso più come una aggressività che non mira alla sofferenza altrui e non implica nessun piacere sessuale, e che anzi proprio passando per il masochismo si impregnerebbe dell’eccitamento sessuale estendendosi poi al sadismo propriamente detto (Laplanche e Pontalis, 1967). Inoltre a procurare piacere per Freud non è il dolore in quanto tale, ma l’eccitamento sessuale ad esso concomitante o co-eccitamento (Miterregung), prodotto da tutti i processi corporei, nella loro dimensione ad un tempo biologica e psicologica, fisiologica e patologica: gli eccitamenti delle superfici sensibili incluse le cosiddette zone erogene, tutta una serie di processi interni non appena la loro intensità superi certe soglie, e più in generale tutto ciò che di significativo può accadere nell’organismo (Freud, 1905). Non costituirebbe dunque un’eccezione il dolore che, come il dispiacere, è connesso agli incrementi di tensione ed ha un’essenziale connotazione economica e quantitativa, ma che a differenza di quest’ultimo non può fare a meno di un quadro topico, del modello di un corpo (vivente, geometrico, psichico o immaginario che sia) e del suo limite: «è indispensabile un corpo perché vi sia dolore» (Laplanche, 1970-1973, p. 195). Il dolore è cioè caratterizzato dalla effrazione di un limite, da una breccia che funge da fonte di eccitamenti che, in quanto continui e inevitabili proprio come gli stimoli interni, fanno sfumare la distinzione tra interno ed esterno (Anzieu, 1985) e costituiscono perciò una specie di «pseudopulsione» (Freud, 1915b, p. 37).

La preminenza e precedenza del sadismo saranno riaffermate anche quando in Freud (1919; Spector Person, 1997) sarà portata in primo piano l’essenziale (Reik, 1941) dimensione fantasmatica del masochismo, mediata dall’identificazione: nella fantasia inconscia di essere picchiato, il senso di colpa legato alla rimozione dell’amore e della gelosia edipici trasformerebbe il sadismo in masochismo anche per sostituzione regressiva dell’impulso genitale rimosso con quello proprio del precedente stadio sadico-anale, nel quale essere amato è uguale ad essere picchiato. Più in generale, dietro ogni masochismo vi sarebbe un fantasma inconscio, e per Anzieu (1985) il fantasma originario di una pelle comune alla diade madre-bambino che sarebbe stata scorticata; tranne forse per le forme estreme di algolagnia, che configurano una «schiavitù dalla quantità» (de M’Uzan, 1972; 2000) o una «tossicomania della sofferenza» (Reik, 1941) nelle quali emergerebbe una fantasmatica misera come nelle gravi psicosomatosi (de M’Uzan, 2000), per il deficit di un involucro psichico che possa accoglierne i contenuti (Anzieu, 1985). E dietro ogni fantasma vi sarebbe un fondo masochistico (Assoun, 2003), per la dolorosa intrusione cui esso espone costitutivamente l’Io.

Solo a partire dal 1920 il masochismo acquisterà infine centralità e articolazione con l’introduzione della cosiddetta seconda topica, cioè delle tre istanze psichiche dell’Io, del Super-io e dell’Es, e con il cosiddetto secondo dualismo pulsionale, quello della pulsione di morte e delle pulsioni di vita. Centralità, perché in Freud (1924; 1933) esso diventa la testimonianza ed il residuo dell’impasto originario tra pulsione di morte e pulsioni di vita fondamentale alla vita e all’organizzazione psichica, all’estremo il masochismo diventando l’equivalente della capacità per l’apparato psichico di mantenere la tensione costante minima essenziale al suo funzionamento ed alla sua esistenza, e dunque il nucleo primario dell’Io. Di qui l’ipotesi (Rosenberg, 1991) di un passaggio obbligato per il masochismo qualora questo impasto si incrini (psicosi, melanconia, psicosomatosi, ma anche nevrosi e processi di sublimazione). Articolazione, perché il masochismo è rifratto in tre forme, strettamente interconnesse: il masochismo erogeno, femminile e morale. Il masochismo erogeno o primario, che è sotteso alle altre forme, è biologico, organico (Nacht, 1965), costituzionale, espone in primo piano il corpo ed equivale al legame tra dolore e piacere sessuale mediante il coeccitamento libidico che ne è il fondamento fisiologico, pur esprimendosi differentemente a seconda delle fasi libidiche: essere divorato nella fase orale, essere picchiato in quella sadico-anale, essere castrato in quella fallica, e infine subire il coito e il parto in quella genitale. Con masochismo femminile non ci si riferisce ad un eventuale masochismo della donna, ma si indica il fatto che, dietro umiliazioni e punizioni, trapela una messa in scena fantasmatica in cui il soggetto è posto in una situazione che, inconsciamente, stabilisce un’«intima relazione» tra femminilità e masochismo attraverso la passività (Freud, 1932; André, 1995). Il masochismo morale è infine la ricerca mascherata del dispiacere e della punizione attraverso l’impersonalità e neutralità di eventi e contingenze negativi, apparentemente non riconducibili al soggetto stesso, che pur tuttavia vi ricava un segreto soddisfacimento sessuale. Laddove il masochista perverso gioca la colpevolezza carte in tavola, il masochista morale pratica la sua colpevolezza inconscia in tutta innocenza (Assoun, 2003). In realtà, nel passaggio dall’autopunizione da parte del Super-io al masochismo dell’Io si produce una sostanziale erotizzazione della relazione tra Io e Super-io ed una sorta di ripersonalizzazione edipica di quest’ultimo (Ribas, 2002): Dostoevskij potrebbe essere il corrispondente Sacher-Masoch di questa risessualizzazione della morale (Freud, 1927; Assoun, 2003). Al masochismo morale sono peraltro legate alcune delle forme di resistenza all’analisi più ardue da superare (reazione terapeutica negativa, bisogno di punizione), in cui la sofferenza da motore della cura si trasforma in suo scopo.

Per l’intima connessione stabilitasi con il secondo dualismo pulsionale, l’elaborazione postfreudiana del masochismo ha risentito delle posizioni che si assumeranno rispetto ad esso, anche indipendentemente dalle opzioni circa l’originarietà o meno del masochismo. Accanto a chi rifiuta con la pulsione di morte anche il masochismo originario e biologico mettendo in risalto nel masochismo una domanda d’amore e di piacere frustrata (Reich, 1949), vi è chi (Abraham, 1912 e Klein, 1948), pur abbracciando l’ipotesi freudiana della pulsione di morte, ha privilegiato la proiezione ed il sadismo come modalità originarie di suo trattamento. Accanto a chi (Reik, 1941) lo considera una strategia per preservare un rapporto col piacere schivando l’angoscia di castrazione con la «suspense», l’attesa voluttuosa che ritarda il piacere o ne anticipa le temute conseguenze, vi è chi (Lacan, 1966; Baladier, 1993; Assoun, 2003) considera superfluo il masochismo originario individuandovi l’etichetta del godimento che infrange la barriera del principio di piacere aprendo alla pulsione di morte: forzando un altro a forzarlo, il masochista – soggetto mascherato in oggetto, o in oggetto dell’oggetto (Green, 1993) – facendosi scarto del desiderio dell’altro che eleva a legge, incarna l’oggetto causa del desiderio e tramuta il dolore in un potere sull’altro.

Altrettanto variegate le posizioni assunte rispetto ai numerosi problemi lasciati aperti ed ai molti interrogativi trasmessi da Freud. Circa il rapporto tra masochismo e narcisismo, alcuni (Reik, 1941; Fischer, 1981; Caston, 1984) ritengono che a meno narcisismo corrisponderebbe più masochismo, che mirerebbe a colmare un deficit nella coesione del Sé o rappresenterebbe l’estrema difesa di un Io dalla resa incondizionata al potere dell’oggetto (Jeammet, 2000). Per altri, a meno masochismo corrisponderebbe invece più narcisismo, essendo quest’ultimo un movimento difensivo rispetto ad un disimpasto pulsionale (Rosenberg, 1991). Per altri ancora, masochismo e narcisismo cooperano nella ricerca di una invulnerabilità dall’oggetto (Green, 1993). Vi è inoltre chi stabilisce uno stretto rapporto del masochismo con eventi traumatici, scorgendovi un modo per andarvi incontro e padroneggiarli anziché subirli (Ferenczi, 1931; Loewenstein, 1957; Glenn, 1984), oppure una contromisura onnipotente di controllo sull’altro per regolare la propria autostima nell’impossibilità di stabilire relazioni competenti ed efficaci con gli adulti (Novick & Novick, 1991).

Se è stato riaffermato il rapporto tra sadismo e masochismo sul piano dei fondamentali destini pulsionali (Laplanche e Pontalis, 1967), e benché alcuni abbiano riscontrato clinicamente una loro compresenza e reciproca trasformazione (Reik, 1941), un «sadomasochismo» come entità unitaria è stato smentito (Deleuze, 1967; Dayan, 2000; Aisenstein, 2000; Roussillon, 2002): il masochista si confronta non con un sadico ma con un padrone freddo, crudele e indifferente, e dunque il partner sadico del mondo di Sacher-Masoch non è il sadico del mondo di Sade, né viceversa.

L’oscuro rapporto tra masochismo e femminilità, spesso riaffermato (Deutsch, 1944: Bonaparte, 1935), è stato connesso a monte con la stessa scissione strutturale dell’apparato psichico e con la formazione dell’inconscio, la femminilità costituendo l’elaborazione della posizione naturalmente ed originariamente passiva del bambino rispetto all’intrusione del sessuale adulto e della fantasmatica in cui esso consiste, e per la quale intrinsecamente il godimento si associa alla penetrazione/effrazione (André, 1995).

Differenziate anche le posizioni circa la necessità di distinguere o meno, perfino nella denominazione, i diversi significati e fenomeni compresi nella categoria del masochismo: dai gradi e dalle forme anche molto diverse di comportamenti perversi, all’ampio ventaglio di atteggiamenti di fondo della personalità, del carattere (Reich, 1949) e della condotta di vita, fino alle modalità di funzionamento dell’apparato psichico per conservare la tensione o l’(auto)investimento (Fischer, 1981; Roussillon, 2002) o gestire la forza pulsionale (de M’Uzan, 2000), e a quei fenomeni protomasochistici, quale la ricerca di stimolazioni dolorose, che possono costituire meccanismi arcaici fisiologici dal valore evolutivo (Glenn, 1989; Fischer, 1981; de M’Uzan, 2000).

In ogni caso, è stata tuttavia riaffermata in generale una fondamentale dimensione masochistica della sessualità, della psicopatologia e dell’esistenza umana, e nel masochismo un ombelico per la teoria come per la pratica (André, 2000). Bergler (1949) individua nella regressione orale la chiave del masochismo psichico e nel masochismo orale – con il suo caratteristico bisogno di essere rifiutato – il fondamento della «nevrosi di base» sottostante a tutte le strutture psichiche. Rosenberg (1991), riaffermando una progressione (ed una eventuale regressione) fra i tre tipi di masochismo, fa coincidere quest’ultimo con l’impasto pulsionale essenziale alla vita psichica, ma introducendo tre ribaltamenti rispetto alla concezione freudiana. Innanzitutto, non sarebbe la colpevolezza a contribuire a creare il masochismo dal sadismo primario, ma viceversa. Poi il masochismo non neutralizzerebbe bensì introdurrebbe il principio di piacere rendendo possibile un eccitamento ed una sua scarica, e di conseguenza il coeccitamento: diventa anzi il modello del piacere che permette l’esistenza, la durata e la continuità dell’organizzazione psichica, cosicché per ristabilirle allorché sono minacciate occorrerebbe proprio un masochismo secondario, che può tuttavia diventare mortifero. Diversi i ribaltamenti con cui anche Laplanche (1967; 1991) riafferma la posizione originaria del masochismo, ma estendendone l’enigma a tutta la sessualità dell’essere umano e confutando che i tre scenari su cui esso entra in gioco – il corpo (per il masochismo erogeno), la fantasia (per quello femminile) e la relazione interpersonale e intrapersonale (per il masochismo morale) – costituiscano una sequenza genetica, con possibili fissazioni e regressioni. Se Reik (1941) rifiutava la paradossalità del masochismo riconoscendovi una ricerca del piacere al di là della sofferenza che ne sarebbe l’araldo, per Laplanche (1992; 2000) il masochismo non è né un mistero né un «problema economico» non appena si riconosce che, anziché un piacere del dispiacere, è più propriamente un «eccitamento mediante il dolore», che, come ogni «coeccitamento», è inseparabile dalla fantasia, con la quale ha un legame originario. Infatti, la fantasia inconscia, in quanto corpo estraneo interno, esercita una pressione sull’organizzazione ed i confini dell’Io, da cui è necessariamente vissuta masochisticamente. Il piacere dell’incremento della tensione e dell’eccitamento è il reliquato, il resto archeologico dell’origine esogena della sessualità nella relazione del bambino con gli altri adulti, il cui intervento è necessariamente traumatizzante e comporta obbligatoriamente l’effrazione caratteristica di un dolore: la pulsione sta all’Io come il dolore sta al corpo. Di qui la centralità del masochismo come dimensione fondamentale della sessualità umana che scuote la terra da cui scaturisce (Gauthier, 1994), di cui la perversione sarebbe solo una esacerbazione e fissazione (Laplanche, 1992).

Il corpo si rivela dunque la chiave di volta del masochismo. Da un lato i masochismi poggiano sul masochismo erogeno, il cui scenario è il corpo sofferente. Dall’altro lato, e a monte, nel masochismo è doppiamente incluso il corpo. In primo luogo, come corpo libidico, che si costituisce – talvolta con incrinature o lacune che diventano punti di vulnerabilità psichica e corporea – sovvertendo e rifondando il corpo biologico, cioè mediante una rottura ed una «sovversione libidica» (Dejours, 2001) delle funzioni biologiche legata alla pulsionalità. Questa, scaturita nella relazione precoce con l’altro adulto, consiste nell’esigenza di lavoro imposta dai fantasmi inconsci al corpo e all’organismo dell’Io, che si costruisce anzitutto come un Io-corpo (Laplanche, 1986), essendo fondamentalmente la proiezione della superficie del corpo e la differenziazione superficiale dell’apparato psichico a partire dalle percezioni della pelle (Anzieu, 1985). In secondo luogo, il corpo è incluso nel masochismo come modello di ogni limite, limiti che il dolore al tempo stesso infrange e ripristina – differentemente dalla «diffusione di identità» che può provocare il piacere (Jeammet, 2000). Il masochismo sovverte e rifonda la funzione del dolore – il dolore come legame funzionale (Aubert, 1996) – investendolo del compito di vicariare una deficitaria definizione del corpo, del suo limite e della sua immagine, nonché dell’Io che se ne propone unico rappresentante. Il masochista esalta infatti la possibilità di usare il dolore per sentire il proprio corpo, esige la violazione dell’integrità corporea per assicurarsi della sua esistenza: proprio incarnandosi sfrenatamente in oggetto dell’altro e suo scarto, può trasformare un «corpo in sofferenza» in un «corpo di sofferenza» (Enriquez, 1984; in Anzieu 1985), in una «epopea dolorosa della soggettività» (Assoun, 2003). Mediante l’eccitamento del dolore, nel masochismo l’Io, prima e più ancora che trionfare lì dove è ferito, può infine essere proprio lì dove il corpo soffre (Pontalis, 1981; Anzieu, 1985), e il corpo procurarsi il proprio indice di realtà, di oggetto realmente esistente e vivente (Aulagnier, 1979).

 

 

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Patrizio Campanile, Venezia

Centro Veneto di Psicoanalisi

patrizio.campanile@libero.it

 

*Per citare questo articolo:

Lucchetti A. (2025), Masochismo. Rivista KnotGarden 2025/2, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 196-211.

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